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dall’elevazione ad universalità di tutte le componenti di ciascun
intuito percettivo loro corrispondente e in quanto unificate in una sfera che
non ne escluda alcuna: un mondo in cui le percezioni fossero intuite in quanto
attuate in tutto ciò che la loro potenza è in atto e in quanto quindi immobili
e immutabili sarebbe l’ideale ontico per eccellenza in quanto totale ed
assoluta coincidenza di reale e razionale: e io penso che il pensiero di Dio
pensato da se stesso dovesse apparire ad Aristotele,, o meglio ancora a Duns
Scoto con la sua ecceità, come una sorta di piramide alla cui base si sarebbero
potuti scorgere nell’infinita ricchezza di tutta la loro varietà tutti gli
individui presenti passati futuri, reali e possibili -possibili in quanto
immessi all’atto dall’esclusione di ogni causalità impediente -, di tutte le
classi, nella loro più assoluta delle perfezioni, tutti arricchenti con la loro
realtà ontica che è intelligibilità totale, l’intelligibilità essenziale, ma
pur sempre depauperata, dei razionali generici sovraordinati; e s’intende che in siffatto mondo ideale la negazione
non può essere elisa, se per negazione s’intende quel che sul piano ontico
corrisponde alla negazione fenomenica o di situazione umana: qui, negativo è
esclusione di un rapporto di inerenza tra un sovraordinato ed un subordinato o di un rapporto di cogenerità tra due
subordinati colatidudinari ed eterogenei, rapporto questo la cui esclusione è
sinonimo di affermazione della loro diversità; là il negativo è esclusione di
un’identità immediata o mediata tra due intelligibili a piacere e tra due intelligibili in genere, in forza o della
differenza estensiva delle zone attuali e potenziali di ciascuna connotazione
nel caso del rapporto di inerenza o dell’asimmetria delle zone attuali e
potenziali nel caso di un rapporto di cogenerità, essendo la mancanza di
negazione l’incastro reciproco di tutte le specie infime che darebbe vita al
puramente intelligibile sfero parmenideo, incastro possibile di diritto,
impossibile per realtà ontica, essendo la negazione l’autonomia assoluta di ogni
specie infime nei confronti di tutte le altre, in forza del principio di
ragione che dall’eteronomia essenziale degli intelligibili essenziali inferisce
la liceità di determinazione dell’uno sull’altro solo per alcuni e non per
tutti e da questa liceità la unificazione di alcuni solo in unità sintetiche
razionali. Da questa differenza tra un platonismo in genere ed un aristotelismo
promana la seconda delle disgiunzioni che la negazione, assunta a
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punto di vista, impone di inserire tra i due. Si può affermare con
sufficiente certezza che fin dai tempi più remoti, da quando il pensiero era
già parola, ma non ancora scrittura, nella mente umana la nozione di reale non
sia stata una ed univoca: anche se come classe abbracciava una sfera di enti ben
più vasta di quella che oggi riteniamo lecito sussumere sotto di essa, pure è
dato già ritrovare una traccia, ad esempio nei culti agrari, tra il reale in
quanto pensato e il reale in quanto in sé, e un reale in sé in quanto di fatto
e un reale in sé in quanto di diritto; tuttavia una determinazione
intelligibile di siffatte distinzioni comincia a costituirsi col primo
pitagorismo e con l’antagonista corrente eleatica, per la quale il reale in sé
si pone uno ed univoco e contrapposto alla duplice classe del pensato di
diritto e del pensato di fatto, essendo il reale in sé il reale in quanto
determinato da una razionalità esclusiva e gelosa, essendo il pensato di
diritto la rappresentazione del reale a razionalità esclusiva e quindi
l’intelligibile in quanto intelletto, essendo il pensato di fatto la
deformazione soggettiva che il reale in sé può patire per vari motivi e quindi
l’intelligibile in quanto intuito sensorialmente. Se conserviamo questa
tripartizione dopo averla spogliata di quel che di contraddittorio e di
insufficiente l’eleatismo vi aveva lasciato, ci resta un reale relativo al
soggetto conoscente il quale coincide con la sfera delle rappresentazioni, un
reale assoluto o in sé o ontico a
natura ontologica, un reale relativo ((relitivo??))) al reale assoluto o ontico
a natura esistenziale: è lecito conservare una separazione tra i due ontici
qualora si parta dal presupposto che nell’ontità si diano dell’universale e del
particolare irriducibili l’uno all’altro, come pure è lecito negare la separazione
dei due ontici sulla base del presupposto che ontico universale ed ontico
particolare siano riducibili o il primo al secondo o il secondo al primo;
poiché le due teorie metafisiche sia quella platonica che quella aristotelica
argomentano una eterogeneità irriducibile tra l’ontico universale e l’ontico
particolare, fin che si resta nel loro ambito tutte le cose debbono essere classificate o sotto il
pensato o sotto l’ontico ontologico, che sarà l’intelligibile in sé, o sotto
l’ontico esistenziale, che sarà il particolare mutuante la sua realtà almeno in
parte dall’intelligibile in sé. D’altra parte entrambe le metafisiche
asseriscono e dimostrano una struttura scalare sia dell’ontologico che
dell’esistenziale: ed è appunto nel rapporto che tra scalarità dell’ontologico
e scalarità dell’esistenziale esse pongono che platonismo ed aristotelismo
ancora una volta divaricano: in un platonismo, se da un lato abbiamo la
gerarchia dei generi e delle specie che è a portata ontologica e che vede i
suoi livelli sottostanti depauperarsi via via in intelligibilità, come quelli
che man mano scendono verso i grandi infimi
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smarriscono la ricchezza razionale e con ciò lascian cadere sia dei
contenuti intelligibili sia i rapporti unificanti i contenuti, e dall’altro
abbiamo la gerarchia degli esistenti che ad ogni piano ricostituisce in
molteplicità frazionata l’unità sintetica del piano sovrapposto fino a giungere
al livello infimo che ripete per dir così l’intero livello supremo escludendo
da sé tutti i fattori di unità che di questo fanno un uno, entro la sfera
dell’ontità in sé le due piramidi si fanno equipollenti essendo in entrambe il
moto dialettico dal vertice alla base e il moto dialettico dalla base al
((alla??)) vertice rispettivamente processo di degenerazione e processo di
rigenerazione; che se poi le due gerarchie equipollenti vengono comparate con
l’ordinamento scalare secondo cui la mente di condizione umana ordina le
proprie rappresentazioni concettuali, allora i
movimenti non risultano più proporzionalmente diretti: infatti,
confrontate simmetricamente le due gerarchie, ad un momento delle gerarchie
ontiche, il quale rispetto a tutti i subordinati risulta di tanto più ricco di
questi quanto inferiore è la distanza che lo separa dall’intelligibile sommo,
sicché la sua ricchezza sarà massima nell’intelligibile sommo e minima nelle specie infime, corrisponde
nella gerarchia delle rappresentazioni un momento simmetrico che sarà tanto più
povero rispetto ai suoi subordinati quanto minore è la sua distanza dalla
categoria somma la quale risulterà dotata del minimo di connotazione di contro
al massimo di connotazione delle specie infime: è logico, allora, che il moto
dialettico di intelligibilità, tendente a ricostituire entro la
rappresentazione del pensiero il valore dell’ontità ontologica, sarà dalla base
alla vertice, come quello che muovendo dalla categoria somma ritrova in questa
un minimo di essenziali universali e necessari mediante i quali è lecito
cogliere tracce di universalità e necessità entro le specie sottostanti in
forza del ricomparire nella connotazione di queste degli essenziali
categoriale, e i quali vedono arricchirsi di nuovi universali e necessari via
via che da un genere si scende attraverso le specie subordinate fino al livello
speciale infimo dove la quantità di universali e necessari noti si fa massima e
insieme inutile agli effetti
dell’intelligibilità di qualcosa d’altro, mentre invece il moto dialettico a
finalità esistenziale, tendente cioè a garantire una validità esistenziale ad
ogni singolo piano gerarchico, è a senso opposto come quello che dal vertice
procede verso la base, essendo gli intelligibili del vertice quelli che dotati
di autosussistenza paiono donare la propria sussistenza autonoma agli
intelligibili che vedono il proprio numero aumentare via via che si scende alle
specie infime. In un platonismo, dunque,
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indicato con i triangoli ABC, A’B’C’, A’’ B’’ C’’, A’’’B’’’C’’’
rispettivamente la piramide degli ontici ontologici, la piramide degli ontici
esistenziali, la piramide dei rappresentati in quanto intelligibili, la
piramide dei rappresentati in quanto esistenti si deve instaurare una equivalenza o
proporzionalità diretta tra la piramide degli ontici ontologici, la piramide
degli ontici esistenziali e la piramide dei rappresentati in quanto esistenti
giacché
in esse il moto dialettico discensivo è per dir così involutivo e degenerativo
e impone ad ogni salto scalare un impoverimento materiale che impone all’ontità
e insieme al pensiero di risalire ai gradi abbandonati onde ritrovare quella
ricchezza e completezza di ragioni sufficienti che il nuovo piano raggiunto ha
conseguito; di contro si deve instaurare una proporzionalità inversa tra le tre
piramidi suddette e la terza dei rappresentati in quanto intelligibili, per il
fatto che in quest’ultima il moto dialettico deve farsi ascensivo dalla base al
vortice ((vertice??)) per dar luogo ad un impoverimento di intelligibilità
universale, essendo il moto dialettico contrario quello destinato ad offrire la
pienezza dell’intellezione umana

S’intende allora che per siffatto modo di pensare la negazione non
appartenga in genere alla sfera ontica nella cui zona ontologica la connessione
costantemente inserita tra ogni generico ed ogni speciale comporta che
nell’atto stesso in cui un genere vincola se stesso con una specie, questa sia
sussunta ad esso oppur no indifferentemente in quanto la relazione di quel
genere a quella specie trae seco la connessione simultanea di tutti gli altri
generici sovraordinati a quel genere e assieme ad essa l’unità di tutti i
subordinati entro quel particolare generico sovraordinato sussumente il genere
cui la specie considerata è legittimamente sussunta - essendo F un genere
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