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e H ed L due specie rispettivamente l’una sussunta e l’altra non sotto
F, ma sotto G, nell’ontità il genere F è relazionato ad H pel vincolo di
sussunzione diretta e ad L pel tramite indiretto di B che, sussumendo sotto di
sé F e G come sue specie, instaura in sé l’unità di F e di G e quindi di H e di
L -; e analogo discorso è lecito fare per la zona esistenziale dell’ontico e
per la sfera delle rappresentazioni in quanto sistematicamente ordinate in
funzione dei loro diritti ad esistere: anche in queste la connessione che per
la prima sarà ontica e per la seconda esistenziale può avvenire tra un
sovraordinato e un qualsivoglia subordinato sussunto oppur no sotto questo, in
quanto al sovraordinato si sovraordina sempre un’entità di grado superiore atto
a ricondurre a sé e ad unificare in sé sia il sovraordinato primo sia quel suo
subordinato sotto cui il subordinato primo è sussunto: nelle tre gerarchie la
negazione è inesistente al livello dell’ente supremo, e agli altri livelli è un
momento puramente relativo che deve la sua esistenza o all’arresto illegittimo
a un piano medio tra l’ente supremo e gli enti infimi o a un modo di giudicare
valido esclusivamente per un soggetto conoscente a condizioni cognitive di tipo
umano; la negazione invece diviene reale nella sfera delle rappresentazioni
sistematicamente ordinate a fini di intelligibilità, perché ivi la connessione
tra sovraordinato e subordinato è di fatto e di diritto solo nel caso di un
effettivo nesso di sussunzione tra i due, mentre resta circoscritta allo stato
di fatto e quindi illegittima se il nesso sussuntorio manca, a nulla servendo
in questo caso il risalire a livelli di sovraordinazione superiore nei quali
non solo non compaiono affatto quelle note che assenti nel preteso sussumente
sono invece presenti nel preteso sussunto, ma scompaiono sia alcune note del
presunto sussumente sia quelle note che nel legittimo sussumente facevano di
questo il predicabile di diritto e di fatto del legittimo sussunto, con la
conseguenza che il ricondurre la predicazione posta di fatto a una predicazione
di livello sovraordinato non arricchisce per nulla la predicazione di fatto
facendone una predicazione di diritto bensì dà vita a una predicazione che,
essendo eterogenea sia dalla predicazione di fatto che dalla predicazione di
fatto e di diritto, non serve ai fini cognitivi né all’una né all’altra; ma per
un platonismo la gerarchia concettuale come sistema scalare di rappresentazioni
a fini di
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intelligibilità non solo non ha nulla che fare coll’ontico sistema
scalare degli intelligibili in sé, ma addirittura ne è la deformazione e il
capovolgimento - sarà poi compito per un platonismo di giustificare e di
argomentare l’inferenza dalla gerarchia degli ontologici rappresentati della
gerarchia degli ontologici ontici, e inoltre di eliminare tutte le altre aporie
che l’eterogeneità materiale e formale evidentemente affetta le due gerarchie
-; e allora per il platonismo, essendo siffatto sistema scalare un’entità
puramente soggettiva e fenomenica, nulla di ciò che essa abbraccia e provoca è
reale assoluto e ha che fare con l’ontico, e, poiché tra gli effetti suoi c’è
anche la negazione, si estende a questa l’attributo di relativo e di valido
solo per un soggetto conoscente di tipo umano. Ma il discorso dev’essere ben
altro per l’aristotelismo: qui già la sfera dell’ontico non manifesta affatto
quella equivalenza totale, materiale e formale, che nel platonismo si dava tra
sistema scalare di ontici ontologici e sistema scalare di ontici esistenziali:
nella gerarchia piramidale dei reali in sé, considerata dal punto di vista
dell’ontologia, il moto dialettico che voglia offrire al pensiero una successione
logica di intelligibili deve muovere dall’alto al basso, dai livelli del
generico verso quelli dello speciale, per lo stesso motivo per cui in seno ad
ogni ontico lo stesso movimento deve darsi dall’attuale al potenziale, ossia
per il fatto che, come qui il potenziale è l’indeterminato che attende dalla
causalità effettrice dell’atto l’impulso ad elevarsi al reale definito che va
ad arricchire di nuova determinazione il già determinato, così là, nel sistema
scalare, il movimento discensivo parte da universali e necessari già dati per
scendere verso quelli che sempre nuovi si danno nelle sottoordinate specie e
che s’aggiungono ai primi per costituire con questi una sfera di più elevata
definizione; ma non altrettanto può dirsi della medesima gerarchia, se
considerata dal punto di vista esistenziale, perché sotto questo angolo le
ragioni sufficienti non vengono offerte per il tutto ontico dalla parte già
attuata, nel senso che la connotazione di una specie trova argomentazione in
una dialettica la quale parta dalle note prime, che sono poi la connotazione del generico sovraordinato
denotante la specie stessa e pervenga alle note successive che sono
connotazioni di generici denotatori medi fino alle note ultime che sono lo
specifico della specie stessa, bensì sono costituite dal tutto ontico e da
queste offerte alla parte puramente potenziale, nel senso che il processo di
ascesa all’esistenza non ha a suo principio
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il potenziale in sé, massa assolutamente indeterminata e caotica in cui
non è dato trovare linee o canali preordinati di determinabilità, ma l’attuale
stesso in quanto sintesi dell’atto speciale definiente l’atto generico e in
quanto unità di un atto speciale che è il semplice possibile esistenziale
tratto all’essere secondo certi modi determinati dall’atto generico che ha
bisogno di siffatti modi per perseguire la propria completezza ontica, e
dell’atto generico che per dir così plasma quel possibile ontico implicitamente
immerso nella sua realtà e lo trae all’ontico secondo quelle modalità dalle
quali attende la propria definizione, sicché il moto dialettico a finalità
esistenziale non segue la direzione dal vertice alla base, ma dalla base al
vertice; per questo in un aristotelismo la gerarchia scalare degli ontici deve
sdoppiarsi in due ordini sistematici di proporzionalità inversa, come quelli in
cui a un momento che nell’uno è principio di tutto il sottoordinato ed è
argomentato dal sovraordinato come da ragion sufficiente, corrisponde
nell’altro il momento simmetrico che si pone a ragion sufficiente del
sovraordinato e attende da ciò che gli si subordina la propria ragion
sufficiente; per questo, volendo tradurre i due ordini nell’immagine dei due
triangoli ABC, A’B’C’, si deve o rovesciare l’orientamento dei moti dialettici
argomentativi se si vuol conservare identico l’orientamento geometrico delle
due figure, o capovolgere qui l’orientamento geometrico dell’una di esse per
mantenere omogeneo il primo:

e il quadro aristotelico conserva le stesse condizioni per i sistemi
scalari degli intelligibili in quanto rappresentati, in quanto oggetti di
pensiero; qui ogni momento rappresentato è certo più povero del momento che
simmetricamente gli corrisponde nell’ontità, in quanto nel pensato è assente la
sfera del potenziale, essendo l’attuale del pensato un conosciuto e il
potenziale ontico uno sconosciuto, la cui ignoranza è conseguenza e insieme
equivalenza del possibile reale in sé; ma in forza dell’equivalenza che tra
l’ignoto o assente dal pensiero e il potenziale o assente dal reale ontologico
instaurano l’indeterminatezza e l’impotenza causatrice di entrambi, la
differenza che per siffatte cause insorge tra pensiero conoscente ed ontico
conosciuto è molto meno grave e meno essenziale di quella che in
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un platonismo è introdotta tra i due dall’assenza nella
rappresentazione intellettiva dell’unificazione in unità sintetica della
pienezza ontologica delle specie sottoordinate e dalla riduzione della
connotazione dell’intellito pensato all’astrazione dell’identico coessenziale a
tutte le specie sottoordinate, in quanto nel quadro aristotelico il deficiente
del conosciuto è una equivalenza del deficiente dell’ontico, omogenea nella
materia ed eterogenea nella forma, mentre nella visione platonica la deficienza
del rappresentato non trova nessuna corrispondenza nell’ontità da cui resta
scissa da un’eterogeneità sostanziale e formale; in forza, allora,
dell’equivalenza tra l’ordine del pensato e l’ordine del reale, a quel modo che
in questo la dialettica dal generico allo speciale rende ragione
dell’universalità, necessità, razionalità delle specie, e la dialettica dallo
speciale al generico argomenta l’esistenza degli intelligibili, allo stesso
modo il movimento dell’attenzione cognitiva dai generi alle specie attinge dall’intelligibilità
dei primi l’intelligenza dei secondi pel medio di una loro relazione reciproca
in giudizi categorici in cui la funzione di predicato dei generici e la
funzione di soggetto delle specie determinano la finalità universalizzatrice
dell’asserita inerenza dei primi nei secondi e della convertibilità o semplice
o accidentale o contrappositiva consentono soltanto la prima e la terza, mentre
il movimento dell’attenzione cognitiva dalle specie ai generi attinge
dall’esistenza in quanto pensati delle prime, nella loro totalità complessiva,
la ragion sufficiente del diritto dei secondi ad esistere nel pensiero con la loro funzione di pensati
sussumenti un complesso particolare di pensati altri da essi, e traduce
siffatta connessione nella connessione reciproca dei rappresentati in un
giudizio disgiuntivo in cui la funzione del predicato assunta dal complesso
totale delle specie disgiunte e predicate a un genere con funzione di soggetto
non persegue già la finalità che un predicato in genere ha in un giudizio
categorico quanto piuttosto la finalità di designare la totalità delle
possibili determinazioni di cui il generico si arricchisce, sicché in siffatto
giudizio il predicato non dà intelligibilità al soggetto, ma piuttosto le
condizioni e la ragion sufficiente della sua esistenza, il che tra l’altro è
dimostrato sia dal fatto che nel predicato la disgiunzione è indifferentemente
sostituibile dalla copulazione, sia dal fatto che tale giudizio o a predicato
con disgiunzione dei predicabili o a predicato con copulazione dei predicabili
consente la conversione semplice, la conversione accidentale, la conversione
contrapposta, il che non sarebbe possibile se il genere, una volta eretto a
predicato,
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