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Prot. 51 - 101
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non potesse allineare alla funzione di porsi a ragion sufficiente
dell’intelligibilità della sua specie, sia la funzione di ragion sufficiente di
intelligibilità delle specie indipendentemente da quella ragion sufficiente
operata su queste nei confronti della loro esistenza che la sua funzione di
soggetto lascerebbe supporre, sia l’insufficienza di quella ragion sufficiente
del suo esistere che è offerta da una sola o da alcune tra tutte le sue
possibili specie: infatti, se è vero che, dato un giudizio in genere, il suo
soggetto ha la funzione generica di determinare l’esistenza propria e di
estendere questa al predicato, mentre il predicato ha la funzione generica di
porre per se stesso una universalità e necessità che investe l’intera sua connotazione
e la rende totalmente intelligibile e razionale, e di estendere la razionalità
per universali e necessari al soggetto per quello in cui la connotazione di
questo coincide con la connotazione del predicato, una volta che si prendano in
considerazione un genere da un lato e dall’altro la serie delle sue specie
immediatamente sovraordinate, nell’ipotesi che al pensiero sian note queste
nella loro ontica totalità, entro la mera sfera del pensato la convertibilità
semplice di qualunque dei due giudizi si consideri, o quello che ha a soggetto
il genere e a predicato la serie delle specie o disgiunte o copulato((te??)) o
quello che ha a soggetto la serie delle specie o disgiunge ((te??)) o copulate
e a predicato il genere, pone l’equivalenza dei due giudizi; ma se in linea di
diritto generico questa equivalenza sembrerebbe porsi a ragion sufficiente
dell’equivalenza assoluta che per tale equivalenza verrebbe a porsi tra il
principio di intelligibilità del genere nei confronti della serie delle specie e
il principio di intelligibilità della serie delle specie nei confronti del
genere da un lato, e tra il principio di esistenzialità del genere nei
confronti della serie delle specie e il principio di esistenzialità della serie
delle specie nei confronti del genere dall’altro, in linea di diritto
determinato e reale l’equivalenza dei due giudizi convertiti semplicemente solo
formalmente è ragion sufficiente delle due equivalenze, l’intellettiva e
l’esistenziale e materialmente è ragion sufficiente di una soltanto delle due
equivalenze, che tuttavia in una teoria di tipo platonico non sarà la stessa di
quella di una teoria di tipo aristotelico: di fatto, per un platonismo
l’equivalenza che tra un giudizio il cui soggetto è il genere e il cui
predicato è la serie completa di tutte le sue specie immediatamente subordinate
note e il giudizio il cui soggetto è la serie completa di specie note e il cui
predicato è il genere immediatamente sovraordinato pone la legittima loro
convertibilità semplice, si dà relativamente alla mera
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esistenza, in quanto il genere in sé da un lato e le specie, che nella
fattispecie non possono essere che due, una volta prese assieme, dall’altro
sono l’identica e stessa cosa, con l’unica differenza che questa cosa giace nel
genere in situazione di unità semplice e monadica mentre nella dualità delle
specie la stessa cosa giace nello stato di unità composita e sintetica, sicché
in fondo per il pensiero è indifferente passare dall’uno alle altre e dalle
altre all’uno e solo in nome del principio canonico che l’unità è ragion
sufficiente dell’unificazione e della sintesi, principio canonico che il
pensiero inferisce non da sé ma dall’ontico, l’indifferenza è cassata dalla
legittimità del moto dal genere alle serie delle specie e dalla illegittimità
del moto dalla serie delle specie al genere; non si dà però relativamente
all’intelligibilità, perché l’equivalenza tra il genere e la coppia delle
specie è del medesimo modo di quella che passa tra un numero nella sua unità e
i due addendi che lo costituiscono nella loro separazione e coesione
aggiuntiva, equivalenza per la quale l’intelligenza è dalle specie al genere e
non viceversa; in conclusione, se a e b sono due giudizi convertibili per
conversione semplice in forza del fatto che i concetti che li costituiscono
sono un genere e la serie totale e nota delle specie che li costituiscono, in
un platonismo è lecito che [a= b]= [b = a] sul piano dell’esistere in quanto
pensare, ma non dell’esistere in quanto ontità in cui si dà solo a = b, essendo
a il giudizio che ha a soggetto il genere, e non è lecito che [a=b] = [b = a],
ma solo che b=a in quanto l’intellezione del genere viene al pensiero dalla
conoscenza totale delle specie. La situazione è ben diversa in un
aristotelismo, pel quale l’equivalenza dei due giudizi convertibili per
conversione semplice in forza del fatto che utilizzano a loro concetti un
genere la serie totale delle specie immediatamente sottoordinate non può porsi
sul piano dell’esistere, ma solo su quello dell’intelligenza: infatti, se dal
punto di vista puramente formale, ossia relativo al pensiero, è vero che per
questo non c’è nessuna differenza che l’esistenza provenga al genere dalle
specie o alle specie dal genere, dal punto di vista materiale, ossia della
determinazione totale e completa dell’indifferenziato generico, un moto
dialettico che andasse dal genere alle specie non giustificherebbe la
molteplicità delle determinazioni che sono apodittiche pel generiche, e solo il
molto ((moto??)) contrario pone siffatta apodissi, giacché è l’esistenza
concreta ed
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effettuale della sintesi tra il generico e tutte le possibili sue
determinazioni in atto nella serie totale delle specie che rende nota
l’esistenza delle determinazioni nella genericità del genere la quale di per sé
ne è spoglia; e siffatta situazione non differisce di molto dall’ontico entro
il quale le determinazioni della genericità del genere non esistono se non nel
magma caotico e indifferenziato del possibile ed attendono di esistere nella
loro pienezza solo nelle specie totalmente attuate; per ciò che riguarda invece
l’intelligenza, l’equivalenza tra i due giudizi convertibili semplicemente che
si vada dal genere alle specie o dalle specie al genere è almeno per il
pensiero indifferente in quanto la dialettica dal genere alla serie completa
delle specie si limita a stabilire che l’universale e necessario denotante il
genere continua a denotare le specie, il che appunto è ciò che si verifica in
una conversione accidentale in un giudizio categorico nella quale l’esistenza
del soggetto che è genere è esistenza della sua connotazione essenziale e
necessaria e vien dichiarata atta ad assumere certe determinazioni quantunque
non universalmente e non necessariamente, mentre la dialettica opposta dalle specie
in serie totale al genere si limita a stabilire che cioè ((ciò??)) che di
coessenziale c’è in tutte al di sotto dello specifico di ciascuna è ciò che di
essenziale c’è nel genere- predicato - e questa indifferenza di movimenti
ricalca in fondo l’analoga indifferenza di movimento che si deve pensare
presente nell’ontico in cui si passa dal genere alla serie delle specie
immediatamente sottordinate per una permanenza in entrambi di un attuale che
costante e uniforme sia nel sovraordinato che nel sottoordinato, e in cui si
passa dalla serie delle specie al genere in forza di un’identica costanza e
uniformità di attuale, essendoci come unica differenza nei due movimenti lo
stato di possibilità nel genere di ciò che di attuale c’è nel genere,
differenza questa che è appunto quella in nome della quale il pensiero fa suo
principio canonico per dedurne l’illiceità di un’identità assoluta pei suoi
moti dialettici tra genere e serie delle specie immediatamente sottoordinate
dal punto di vista dell’intelligibilità dei due piani. L’opposizione tra i due
atteggiamenti, il platonico e l’aristotelico, nei confronti del particolare
caso di convertibilità semplice qui considerato si rifrange
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com’è logico sulla negazione che per l’aristotelismo investirà uno dei
due giudizi convertiti, quello che ha soggetto il genere, nel caso che il
giudizio abbia portata esistenziale - dati A genere e B C serie totale delle
sue specie sottoordinate immediatamente, A non è B C, qualora voglia farsi di A
l’autosussistente principio di esistenza per B e per C -, mentre per il
platonismo invertirà il medesimo giudizio, solo nel caso che abbia validità
gnoseologica - dati A B C nei sensi suddetti, A non è B C qualora voglia farsi
di A il principio di intelligibilità di B e di C -. Ora, il caso particolare
qui considerato rimanda alla particolare struttura che da un punto di vista
aristotelico viene ad assumere la gerarchia ordinata degli intelligibili in
quanto rappresentati: in essa i sovraordinati sono sempre principio di intelligibilità
pei subordinati e hanno sempre questi a principio della propria esistenza, in
quanto, se è la loro inerenza nella connotazione delle loro specie che fa
conoscere quegli originali universali e necessari che, ponendosi a fondamento e
sostegno delle restanti note, danno a queste il diritto di essere intellette
nella loro funzione di determinanti e pongono l’intelligenza e la razionalità
dell’intera connotazione delle specie, è, di contro, l’esistenza di fatto
dell’intera connotazione delle specie che, comprendendo come propria parte la
connotazione di ciascuno dei generi sovraordinati, testimonia per la
connotazione del genere e pel genere stesso il diritto all’esistenza: per tutto
ciò, le gerarchie scalari dei reali in quanto pensati instaurano in sé una
simmetria puntuale con le corrispondenti gerarchie degli ontici, pongono entro
di sé una proporzionalità inversa per ciò che riguarda il verso del moto
dialettico a finalità intelligibile e il verso del moto dialettico a finalità
esistenziale, e infine promuovono una proporzionalità diretta tra sé e le
gerarchie ontica ontologica in quanto entrambe dotate di una processualità
dialettica che inferisce il valore di razionalità dal vertice per estenderlo
alla base, e tra sé e le gerarchie ontica esistenziale in quanto entrambe
dotate di una processualità dialettica che ricava il diritto all’esistenza
dalla base infima e di qui lo riporta via via verso il vertice; l’immagine di
tutto ciò potrebbe offrirsi attraverso i triangoli già assunti convenzionalmente
nel seguente modo
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