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il giuoco di reciprocità dialettica tra la gerarchia degli
intelligibili in quanto rappresentati per unità e la gerarchia omologa degli
intelligibili in quanto rappresentati per giustapposizione dei sussunti non ha
la semplice portata di integrare due strutture cognitive in vista di una loro
corrispondenza la più indeformante possibile del reale, ma è anche capace di
porre a sua conseguenza una certa definizione dell’ontico, quella per cui
l’ontico si determina in ontologico; un noto la cui comprensione sia il
prodotto di una suturazione di molteplici diversi acquista il suo diritto di
intelligibile non solamente e non tanto perché i molteplici che lo denotano
sono altrettante sue specie, quanto piuttosto perché entra in simmetria con una
seconda nozione che è il suo identico e insieme il suo perfezionamento, la
quale trae dall’omogeneità monadica della sua connotazione la ragione della sua
apodittica necessità e dall’identico rapporto intelligibile ed esistenziale con
le stesse specie del primo noto la ragione della sua assoluta equivalenza a
questo; la categoria formale dell’intelligibilità di una nozione molteplice è
l’equivalenza in genere tra un intelligibile molteplice in genere e un
intelligibile semplice, argomentata dall’identità delle relazioni di
denotazione con gli stessi intelligibili, sovraordinati o subordinati, con cui
i due intelligibili considerati debbono entrare; tale categoria formale, che è
uno dei canoni della logica di un platonismo, non si limita però a garantire la
razionalità di una nozione a comprensione molteplice e quindi a legittimare
l’appartenenza della nozione alla sfera dei razionali e l’usufrutto della
nozione in una qualsiasi dialettica, ma garantisce anche alla nozione
molteplice il valore cognitivo di rappresentazione di un ontico, il quale non
può non essere che ontologico; poiché le percezioni intuitive sono nozioni a
comprensione molteplice che non possono sussumersi sotto tale categoria formale
sia perché non trovano corrispondenza in nessuna nozione ad unità semplice se
non per quel tanto di speciale che esse contengono e che tuttavia non coincide
con esse, sia perché, pur entrando in rapporti con altre nozioni intuitive, non
vengono da queste denotate né valgono a denotarle se non relativamente a quello
speciale che in essa immane e che è tutt’al più una loro componente, le nozioni
molteplici delle percezioni da un lato non sono degli intelligibili, il che
conferma quanto già risultava dalla quarta conseguenza, dall’altro non rappresentano
nessun ontico in quanto ontologico e quindi di fatto non fanno conoscere nulla
di reale in sé, dipendendo poi da questa o da quella delle descrizioni
dell’universo possibili per un platonismo in genere che a una percezione in
genere non corrisponda nessun reale che per esistere non abbia bisogno di esser
conosciuto, oppure che corrisponda un siffatto reale il quale comunque non solo
non sarà omogeneo all’ontologico ma occuperà
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nell’ontico un grado inferiore all’ontologico. Il fatto che la terza
conseguenza dei fondamentali presupposti di un platonismo in genere con la sua
biunivocità dialettica tra i due ordini di rappresentazioni intelligibili
promuova, sulla base di una certa definizione dell’ontico in quanto ontologico,
la separazione netta tra le nozioni che ritraggono dalla legislazione formale
dell’intelligibile in genere la ragion sufficiente della loro intelligibilità,
e le nozioni che per siffatta legislazione debbono essere private
dell’attributo di intelligibilità, e insieme il fatto che alla classe dei noti
inintelligibili appartengano tutte le intuizioni sensoriali, comprese le
percezioni, offre quell’evidenza e quell’apoditticità che, muovendo dal
semplice rapporto tra specie infime e percezioni sottordinate, non si verificavano
per l’esclusione di queste ultime dalla gerarchia e per l’illiceità di spostare
il livello infimo dell’ordine dalle specie ultime alle percezioni loro
corrispondenti. Ma la dimostrazione fa perno non tanto sulla categoria formale
della biunivocità dialettica tra la nozione a comprensione multipla e la
nozione a comprensione semplice e monadica, quanto sulla forza gnoseologica
della categoria formale, la quale provoca l’apodittica intelligibilità di
entrambe grazie all’apodittico valore cognitivo da cui tutt’e due son riempite:
infatti, la categoria in parola si riempie di un contenuto formale quando
sussume una nozione nei rapporti di questa col conoscibile in quanto razionale
in genere, si riempie di un contenuto cognitivo, e quindi rimanda a una categoria
materiale quanto sussume la stessa nozione nei rapporti di questa col
conoscibile in quanto riproduttivo dell’ontico. Ed è appunto questa categoria
materiale il concetto essenziale implicito nella terza delle conseguenze
considerate e provocatore della terza delle differenze essenziali che rendono
irriducibili platonismo e aristotelimo. L’affermazione che l’inserzione di un
noto nella gerarchia dei concetti ha luogo in due modi a seconda che esso venga
connotato con la molteplicità dei sussunti o con l’unità di una conoscenza
semplice, se è vero che significa svalutazione del pensiero di condizione umana
che è costretto a integrare un imperfetto con un altro imperfetto entro una
rappresentazione che solo formalmente elimina le due imperfezioni, è pure vero
che è ricca di una notevole valorizzazione del pensiero umano stesso il quale
vien dichiarato capace di superare, se non altro con strumenti formali, un
grado massimo di deficienza per pervenire a un grado di deficienza inferiore,
il che non è intelligibile se non si presuppone un ontico che sia perfetto in
quanto sgombro delle deficienze umane e quindi limite del processo di
eliminazione
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di queste; ma essere meta irraggiungibile di un processo ascendente
significa per la meta stessa coessenzialità con quanto di non imperfetto si dà
all’origine stessa del processo, precisamente con la natura di unità semplice e
monadica, di universalità e necessità, di un dirompere dell’unità in eterogenei
qualitativi subordinati per limitazione quantitativa, dell’ontico, significa
ontologia dell’ontico, essendo l’imperfetto del pensato nulla più che
l’impotenza del pensiero umano a contemplare qualitativamente una monade
senz’essere costretto a ridurre la sua contemplazione o a intuizione di un
quantitativo qualitativamente indeterminato o a intuizione qualitativa di un
molteplice. Ma tutto ciò non è che identità di un pensiero di condizione ideale
transumana con il suo pensato in quanto rappresentazione di ontico e quindi con
l’ontico stesso insieme equivalenza, per identità formale ed eterogeneità
materiale, del pensiero di condizione fenomenica ed umana con il pensato in
quanto rappresentante l’ontico e con l’ontico stesso: che nel pensiero di
condizione umana siano date effettivamente le condizioni con cui si può
costruire di fatto una gerarchia di concetti quale un platonismo afferma
realmente presente in esso pensiero abbiam già detto essere questione
problematica da affrontarsi e risolversi in altro momento, ma che siano di un
platonismo tale identità e tale equivalenza, e quindi la coincidenza in genere
tra soggetto conoscente e oggetto conosciuto risulta evidente e vero da
qualunque parte s’imprenda a guardare a un platonismo e da qualunque soluzione
di problema determinato un platonismo prende le mosse per costruire se stesso.
Non mancano entro la coincidenza tra pensante e pensato notevoli altre
difficoltà, ad esempio quella comune a tutte le metafisihe razionalistiche che
da una definizione dell’ontico inferiscono l’efficacia cognitiva di un certo modo
di operare del pensiero e dai risultati di questi ritornano alla struttura
dell’ontico in sé quale la definizione iniziale l’ha posta, oppure quella
propria di un platonismo che dopo avere non soltanto definito l’ontico secondo
lo schema generale di un razionalismo, ma addirittura descritto la modalità ben
determinata secondo cui l’ontico esiste, passa ad imporre al pensiero di
condizione umana un orientamento, asintotico rispetto all’ontico, a
strutturarsi secondo la medesima modalità ricavando poi da questa la ragion
sufficiente dell’apoditticità del modo dell’ontico, ponendo così a medio
proporzionale di questo suo processo, di cui se non altro deve dirsi preda di
una tendenza al circolo vizioso, un certo strutturarsi del pensiero di cui è
per lo meno dubbio che un pensiero di condizione umana sia capace di darsi:
sarebbe certo interessante
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per capire un platonismo, e quindi un razionalismo - le due difficoltà
in fondo non sono che la seconda una determinazione della prima - analizzare
l’atteggiamento platonico per cogliervi o le ragioni sufficienti o i termini di
superamento ed elisione di quell’apparente circolo vizioso per cui la premessa
di una struttura determinata dell’ontico si pone a principio di una serie di
indagini descrittive e normative del pensiero, e insieme la descrizione e la
normatività del pensiero si danno in funzione della congruenza tra il pensiero
e il pensato e insieme garantiscono siffatta congruenza: una tale analisi
potrebbe muoversi in una direzione biffata in primo luogo dal motivo puramente
utilitario per cui il pensiero prende un razionale in genere a simmetrico di un
ontico, motivo coincidente col fatto che la livellazione di tutti i contenuti
coscienti a rappresentazioni equivalenti resterebbe una semplice dichiarazione
verbale vuota di qualunque senso e di qualunque uso se surrettiziamente non si
introducesse in un modo o in un altro un dislivello tra l’universale e il
necessario e il noto che universale e necessario non è, in secondo luogo dal
rilievo dato a ciò che, una volta posto un razionale a nozione privilegiata,
costringe a considerare il razionale in quanto nozione formale e materiale
insieme un inequazionabile con il razionale in quanto formale puro, dal rilievo
cioè in cui vien posta la differenza tra questo e quello, differenza che per un
platonico è di grado, per un aristotelico di natura, in terzo luogo, dal
discorso che necessariamente insorge quando si mettano in reciproco rapporto
l’attributo di unità assoluta che apoditticamente denota la forma di un
intelligibile, il concetto di unicità del principio ontico donde tutti gli
intelligibili devono essere inferiti, e al quale può essere opposto un
qualsiasi altro principio nell’essere purché sotto di esso nessun intelligibile
possa essere sussunto, la rappresentazione del rapporto genetico che da un
genere conduce alle specie, discorso che, non potendo addurre a ragion
sufficiente della differenza quantitativa tra le specie e il genere nulla che
non sia coessenziale al principio nell’essere e dovendo ciononostante
giustificare la maggior ampiezza connotativa delle specie rispetto al genere e
insieme il rapporto genetico, a null’altro può concludere se non a una
relativizzazione di tale stato, a un suo darsi per il soggetto, e a una
descrizione dell’ontico in cui i rapporti e le differenze son capovolte,
essendo il genere un quantitativamente superiore a ciascuna specie e un
quantitativamente uguale alla somma complessiva di tutte le loro connotazioni.
Resta, tuttavia, certo che una metafisica a determinazione platonica fonda una
congruenza tra l’ontico ontologico e il pensiero di condizione umana che
dialetticamente ne ricostruisce l’ordito. Il che non avviene in un
aristotelismo. Nella sua essenza un aristotelismo muove da una distinzione
entro la sfera del pensato tra conoscibilità in genere e conoscibilità per
intelligibilità in particolare, e per la prima intende la contemplazione di un
rappresentato nella sua complessità composita di molteplici eterogenei, per la
seconda la contemplazione dei medesimi eterogenei unificati nell’unità
complessa del rappresentato, in quanto però universali e necessari e insieme
legittimati in questi attributi da una ragion sufficiente: tale distinzione è
stata attinta al platonismo per derivazione diciamo così storica, ma in
sostanza non è che la messa in luce della differenza che il pensiero umano ha
operato entro i suoi conosciuti dal primo momento in cui si è abituato a
distinguere il conosciuto fenomenico intuito dal conosciuto fenomenico ripetuto
e a cercare un punto fisso di riferimento cui riportare un sensoriale in genere
onde rendersi conto a quale delle due classi lo dovesse ricondurre. Essendo la
legittimità della distinzione in funzione della ragion sufficiente, o per
meglio dire essendo la legittimità della
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