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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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  • Prot. 51 - 101
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il giuoco di reciprocità dialettica tra la gerarchia degli intelligibili in quanto rappresentati per unità e la gerarchia omologa degli intelligibili in quanto rappresentati per giustapposizione dei sussunti non ha la semplice portata di integrare due strutture cognitive in vista di una loro corrispondenza la più indeformante possibile del reale, ma è anche capace di porre a sua conseguenza una certa definizione dell’ontico, quella per cui l’ontico si determina in ontologico; un noto la cui comprensione sia il prodotto di una suturazione di molteplici diversi acquista il suo diritto di intelligibile non solamente e non tanto perché i molteplici che lo denotano sono altrettante sue specie, quanto piuttosto perché entra in simmetria con una seconda nozione che è il suo identico e insieme il suo perfezionamento, la quale trae dall’omogeneità monadica della sua connotazione la ragione della sua apodittica necessità e dall’identico rapporto intelligibile ed esistenziale con le stesse specie del primo noto la ragione della sua assoluta equivalenza a questo; la categoria formale dell’intelligibilità di una nozione molteplice è l’equivalenza in genere tra un intelligibile molteplice in genere e un intelligibile semplice, argomentata dall’identità delle relazioni di denotazione con gli stessi intelligibili, sovraordinati o subordinati, con cui i due intelligibili considerati debbono entrare; tale categoria formale, che è uno dei canoni della logica di un platonismo, non si limita però a garantire la razionalità di una nozione a comprensione molteplice e quindi a legittimare l’appartenenza della nozione alla sfera dei razionali e l’usufrutto della nozione in una qualsiasi dialettica, ma garantisce anche alla nozione molteplice il valore cognitivo di rappresentazione di un ontico, il quale non può non essere che ontologico; poiché le percezioni intuitive sono nozioni a comprensione molteplice che non possono sussumersi sotto tale categoria formale sia perché non trovano corrispondenza in nessuna nozione ad unità semplice se non per quel tanto di speciale che esse contengono e che tuttavia non coincide con esse, sia perché, pur entrando in rapporti con altre nozioni intuitive, non vengono da queste denotatevalgono a denotarle se non relativamente a quello speciale che in essa immane e che è tutt’al più una loro componente, le nozioni molteplici delle percezioni da un lato non sono degli intelligibili, il che conferma quanto già risultava dalla quarta conseguenza, dall’altro non rappresentano nessun ontico in quanto ontologico e quindi di fatto non fanno conoscere nulla di reale in sé, dipendendo poi da questa o da quella delle descrizioni dell’universo possibili per un platonismo in genere che a una percezione in genere non corrisponda nessun reale che per esistere non abbia bisogno di esser conosciuto, oppure che corrisponda un siffatto reale il quale comunque non solo non sarà omogeneo all’ontologico ma occuperà

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nell’ontico un grado inferiore all’ontologico. Il fatto che la terza conseguenza dei fondamentali presupposti di un platonismo in genere con la sua biunivocità dialettica tra i due ordini di rappresentazioni intelligibili promuova, sulla base di una certa definizione dell’ontico in quanto ontologico, la separazione netta tra le nozioni che ritraggono dalla legislazione formale dell’intelligibile in genere la ragion sufficiente della loro intelligibilità, e le nozioni che per siffatta legislazione debbono essere private dell’attributo di intelligibilità, e insieme il fatto che alla classe dei noti inintelligibili appartengano tutte le intuizioni sensoriali, comprese le percezioni, offre quell’evidenza e quell’apoditticità che, muovendo dal semplice rapporto tra specie infime e percezioni sottordinate, non si verificavano per l’esclusione di queste ultime dalla gerarchia e per l’illiceità di spostare il livello infimo dell’ordine dalle specie ultime alle percezioni loro corrispondenti. Ma la dimostrazione fa perno non tanto sulla categoria formale della biunivocità dialettica tra la nozione a comprensione multipla e la nozione a comprensione semplice e monadica, quanto sulla forza gnoseologica della categoria formale, la quale provoca l’apodittica intelligibilità di entrambe grazie all’apodittico valore cognitivo da cui tutt’e due son riempite: infatti, la categoria in parola si riempie di un contenuto formale quando sussume una nozione nei rapporti di questa col conoscibile in quanto razionale in genere, si riempie di un contenuto cognitivo, e quindi rimanda a una categoria materiale quanto sussume la stessa nozione nei rapporti di questa col conoscibile in quanto riproduttivo dell’ontico. Ed è appunto questa categoria materiale il concetto essenziale implicito nella terza delle conseguenze considerate e provocatore della terza delle differenze essenziali che rendono irriducibili platonismo e aristotelimo. L’affermazione che l’inserzione di un noto nella gerarchia dei concetti ha luogo in due modi a seconda che esso venga connotato con la molteplicità dei sussunti o con l’unità di una conoscenza semplice, se è vero che significa svalutazione del pensiero di condizione umana che è costretto a integrare un imperfetto con un altro imperfetto entro una rappresentazione che solo formalmente elimina le due imperfezioni, è pure vero che è ricca di una notevole valorizzazione del pensiero umano stesso il quale vien dichiarato capace di superare, se non altro con strumenti formali, un grado massimo di deficienza per pervenire a un grado di deficienza inferiore, il che non è intelligibile se non si presuppone un ontico che sia perfetto in quanto sgombro delle deficienze umane e quindi limite del processo di eliminazione

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di queste; ma essere meta irraggiungibile di un processo ascendente significa per la meta stessa coessenzialità con quanto di non imperfetto si all’origine stessa del processo, precisamente con la natura di unità semplice e monadica, di universalità e necessità, di un dirompere dell’unità in eterogenei qualitativi subordinati per limitazione quantitativa, dell’ontico, significa ontologia dell’ontico, essendo l’imperfetto del pensato nulla più che l’impotenza del pensiero umano a contemplare qualitativamente una monade senz’essere costretto a ridurre la sua contemplazione o a intuizione di un quantitativo qualitativamente indeterminato o a intuizione qualitativa di un molteplice. Ma tutto ciò non è che identità di un pensiero di condizione ideale transumana con il suo pensato in quanto rappresentazione di ontico e quindi con l’ontico stesso insieme equivalenza, per identità formale ed eterogeneità materiale, del pensiero di condizione fenomenica ed umana con il pensato in quanto rappresentante l’ontico e con l’ontico stesso: che nel pensiero di condizione umana siano date effettivamente le condizioni con cui si può costruire di fatto una gerarchia di concetti quale un platonismo afferma realmente presente in esso pensiero abbiam già detto essere questione problematica da affrontarsi e risolversi in altro momento, ma che siano di un platonismo tale identità e tale equivalenza, e quindi la coincidenza in genere tra soggetto conoscente e oggetto conosciuto risulta evidente e vero da qualunque parte s’imprenda a guardare a un platonismo e da qualunque soluzione di problema determinato un platonismo prende le mosse per costruire se stesso. Non mancano entro la coincidenza tra pensante e pensato notevoli altre difficoltà, ad esempio quella comune a tutte le metafisihe razionalistiche che da una definizione dell’ontico inferiscono l’efficacia cognitiva di un certo modo di operare del pensiero e dai risultati di questi ritornano alla struttura dell’ontico in sé quale la definizione iniziale l’ha posta, oppure quella propria di un platonismo che dopo avere non soltanto definito l’ontico secondo lo schema generale di un razionalismo, ma addirittura descritto la modalità ben determinata secondo cui l’ontico esiste, passa ad imporre al pensiero di condizione umana un orientamento, asintotico rispetto all’ontico, a strutturarsi secondo la medesima modalità ricavando poi da questa la ragion sufficiente dell’apoditticità del modo dell’ontico, ponendo così a medio proporzionale di questo suo processo, di cui se non altro deve dirsi preda di una tendenza al circolo vizioso, un certo strutturarsi del pensiero di cui è per lo meno dubbio che un pensiero di condizione umana sia capace di darsi: sarebbe certo interessante

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per capire un platonismo, e quindi un razionalismo - le due difficoltà in fondo non sono che la seconda una determinazione della prima - analizzare l’atteggiamento platonico per cogliervi o le ragioni sufficienti o i termini di superamento ed elisione di quell’apparente circolo vizioso per cui la premessa di una struttura determinata dell’ontico si pone a principio di una serie di indagini descrittive e normative del pensiero, e insieme la descrizione e la normatività del pensiero si danno in funzione della congruenza tra il pensiero e il pensato e insieme garantiscono siffatta congruenza: una tale analisi potrebbe muoversi in una direzione biffata in primo luogo dal motivo puramente utilitario per cui il pensiero prende un razionale in genere a simmetrico di un ontico, motivo coincidente col fatto che la livellazione di tutti i contenuti coscienti a rappresentazioni equivalenti resterebbe una semplice dichiarazione verbale vuota di qualunque senso e di qualunque uso se surrettiziamente non si introducesse in un modo o in un altro un dislivello tra l’universale e il necessario e il noto che universale e necessario non è, in secondo luogo dal rilievo dato a ciò che, una volta posto un razionale a nozione privilegiata, costringe a considerare il razionale in quanto nozione formale e materiale insieme un inequazionabile con il razionale in quanto formale puro, dal rilievo cioè in cui vien posta la differenza tra questo e quello, differenza che per un platonico è di grado, per un aristotelico di natura, in terzo luogo, dal discorso che necessariamente insorge quando si mettano in reciproco rapporto l’attributo di unità assoluta che apoditticamente denota la forma di un intelligibile, il concetto di unicità del principio ontico donde tutti gli intelligibili devono essere inferiti, e al quale può essere opposto un qualsiasi altro principio nell’essere purché sotto di esso nessun intelligibile possa essere sussunto, la rappresentazione del rapporto genetico che da un genere conduce alle specie, discorso che, non potendo addurre a ragion sufficiente della differenza quantitativa tra le specie e il genere nulla che non sia coessenziale al principio nell’essere e dovendo ciononostante giustificare la maggior ampiezza connotativa delle specie rispetto al genere e insieme il rapporto genetico, a null’altro può concludere se non a una relativizzazione di tale stato, a un suo darsi per il soggetto, e a una descrizione dell’ontico in cui i rapporti e le differenze son capovolte, essendo il genere un quantitativamente superiore a ciascuna specie e un quantitativamente uguale alla somma complessiva di tutte le loro connotazioni. Resta, tuttavia, certo che una metafisica a determinazione platonica fonda una congruenza tra l’ontico ontologico e il pensiero di condizione umana che dialetticamente ne ricostruisce l’ordito. Il che non avviene in un aristotelismo. Nella sua essenza un aristotelismo muove da una distinzione entro la sfera del pensato tra conoscibilità in genere e conoscibilità per intelligibilità in particolare, e per la prima intende la contemplazione di un rappresentato nella sua complessità composita di molteplici eterogenei, per la seconda la contemplazione dei medesimi eterogenei unificati nell’unità complessa del rappresentato, in quanto però universali e necessari e insieme legittimati in questi attributi da una ragion sufficiente: tale distinzione è stata attinta al platonismo per derivazione diciamo così storica, ma in sostanza non è che la messa in luce della differenza che il pensiero umano ha operato entro i suoi conosciuti dal primo momento in cui si è abituato a distinguere il conosciuto fenomenico intuito dal conosciuto fenomenico ripetuto e a cercare un punto fisso di riferimento cui riportare un sensoriale in genere onde rendersi conto a quale delle due classi lo dovesse ricondurre. Essendo la legittimità della distinzione in funzione della ragion sufficiente, o per meglio dire essendo la legittimità della




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