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principio dal cui esistere e dal cui modo di esistere, necessario
-essenziale e particolare-individuale, debbono essere inferiti l’esistere e
l’essenzialità e particolarità dell’esistere del concetto, oppure è lecito
anche definire la modalità funzionale del pensiero nei confronti del concetto
come limitato all’esistere di esso in quanto rappresentato ed intelletto, ma
insufficiente a farsi ragione necessaria e sufficiente dell’essenziale e del
particolare del concetto stesso; se fosse data la prima possibilità, dovrebbe
essere data la totale intelligibilità del concetto stesso e in sé e nei
rapporti di denotazione in cui entra con tutti i suoi consimili, dovrebbe cioè
potersi dedurre dall’intera connotazione del pensiero intelligente e
raziocinante, denotato dalle sue leggi e da tutte le condizioni che debbono
essere verificate onde siano realizzate la sua intelligenza e il raziocinio
normalizzati da tali leggi, una struttura tale sia del concetto sia di tutti i
rapporti di denotazione in cui il concetto assunto entra con gli altri, che la
connotazione dell’uno e degli altri offra in atto le leggi del pensiero e le
condizioni della sua intelligenza e del suo raziocinio; il che non pare essere
dato dalla connotazione di un qualsiasi concetto o di un qualsiasi rapporto di
denotazione, dal momento che il primo da un lato deve essere pensato come
un’unità e non può essere rappresentato se non come una suturazione di molti
eterogenei, dall’altro, qualora questa contraddizione voglia essere annullata
attraverso l’identificazione della suturazione con un vincolo di determinazione
tra eterogeneo ed eterogeneo, l’unica apodissi che potrebbe rendere
intelligibile ed ossequiente alle leggi del pensiero questa determinazione
organicistica è quella del fatto, quella “ delle cose debbono essere così
perché sono così “, apodissi che può essere valida e lo deve essere nei rapporti
tra il pensiero e il pensato nella sua materialità, ma non lo può e non lo deve
essere nella relazione che connette il pensiero al pensato nella sua formalità
o razionalità assoluta - che il moto di un pianeta attorno a un sole è una
conica e insieme un certo rapporto tra una serie dei punti di questa, il
perimetro, con un altro, il sole, rapporto che è costante e uniforme, è il
concetto di orbita di un pianeta e, in fondo, di pianeta; che nella
connotazione di questo concetto l’unicità monadica si dia nonostante
l’eterogeneità, almeno parziale, che distingue una conica in genere dalla
necessità di un certo rapporto tra una quantità di suoi punti e un altro, è
nozione inintelligibile,
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ma è altrettanto intelligibile che quest’ultima eterogeneità sia
l’unico necessario rapporto che doveva instaurarsi tra i due eterogenei onde
quella certa conica fosse costretta ad esistere in siffatto modo se dovevasi
verificare nel pensiero il concetto di pianeta; appare chiaro che le due note
restano eterogenee e insieme che, facendosi la seconda particolare modo di
esistenza della prima, si organizzano nell’unità di organizzati, che non è se
non il modo di essere di strumento della seconda in vista dell’esistenza della
prima che è strumento dell’esistenza del tutto; ma appare anche chiaro che il
rapporto strumentale tra la seconda nota e la prima per divenire intelligibile
deve potersi sussumere sotto l’universale concetto della ragion sufficiente, il
che potrebbe farsi se il rapporto fosse apodittico; ora, a parte il fatto che
l’induzione non fornisce siffatta apodissi se non con la costanza e
l’uniformità e, per ciò, se non attraverso l’universalità del rapporto,
universalità anche qui accettatta in via puramente ipotetica, l’apodissi di cui
si va in cerca, l’apodissi che fa del rapporto un sussumibile sotto il
principio di ragione, non è semplicemente in funzione dell’universalità
garantita del rapporto, bensì deve porsi in funzione del rapporto in cui due
note denotanti i due rapportati vengono a porsi e per cui l’una nota dimostra
la sua essenziale ed univoca strumentalità rispetto all’altra; e questo nessuna
induzione e quindi nessun “dev’essere così perché è così “ lo possono offrire;
e identico discorso può farsi per un qualsiasi rapporto di denotazione fra
concetto e concetto, in quanto l’analisi operata sul concetto di pianeta è
nella sostanza discorso condotto sulla denotazione del pianeta da parte di una
conica -. Il limite esistenziale della dipendenza funzionale del concetto dal
pensiero raziocinante può consentire di lasciar le cose come stanno e di muoversi tranquillamente da
concetto a concetto senza preoccuparsi di capire come mai due diversi siano
anche identici, ma può anche costringere il pensiero ad affrontare il problema
e quindi a dare una definizione e descrizione dell’essenza formale del
concetto, andando in cerca di una fonte di soluzione che in fondo sia fuori di
se stesso che condiziona i concetti solo nel loro esistere. La fonte di
soluzione sarà allora il concetto stesso, assunto non come mero rappresentato
intelligibile, ma come
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immagine di un reale, come medio di conoscenza di un ontico ontologico
in sé, il che significa spostare il rapporto di condizionamento funzionale del
concetto dal pensiero all’essere. Senza addentrarci in questo momento dei
diritti e dei mezzi che il pensiero ha a sua disposizione per assumere a
principio di un certo discorso che deve condurre a certe conseguenze
dell’essere e, quindi, dando come pacifica la strana situazione in cui esso si
trova di determinare un rapporto funzionale tra due eterogenei, l’essere e il
concetto, il primo dei quali non può non essere un concetto -il pensiero in
realtà si trova chiuso in un circolo solo apparentemente in quanto ha a sua
disposizione un certo metodo di analisi, elaborato proprio per situazioni del
genere, per situazioni cioé in cui di fatto il principio è uno sconosciuto di
fatto, ma un conoscibile di diritto,- il metodo problematico o per
possibilità-, stabiliamo per ipotesi la nozione dell’essere e quindi la liceità
di argomentare l’essenza del concetto dall’essenza del suo essere, al fine di
indagare come sia di diritto intelligibile lo stato di tre concetti,
coessenziali ed equazionali ed insieme eterogenei, che è da definirsi
intelligibile di fatto in quanto i risultati cognitivi dell’uso, ottemperanti
alle leggi del pensiero, dei tre sono intelligibili. Il metodo problematico o
per possibilità, la cui essenza qui ci limitiamo ad indicare dicendo che esso è
il genere di cui il metodo analitico platonico o il metodo dilemmatico di
Zenone o il momento solutivo di Galilei non sono che tre fra le varie
determinazioni, consente quell’unica operazione che, una volta fatto
dell’essenza del concetto un inferibile dall’essere, o con maggior precisione
dal concetto dell’essere, può compiere onde condurre la pienezza materiale del
binomio allo stesso livello della completezza formale, di interpretare per
analisi l’unica condizione possibile per un’intelligibilità del rapporto tra il
genere e le specie, di erigere siffatta condizione a principio di
intelligibilità del rapporto stesso e di trasmutare la condizione, la quale
evidentemente deve avere a proprio fondamento un certo modo di essere di
ciascuno dei tre concetti ad essi essenziali onde il loro reciproco rapporto
acquisti intelligibilità, in una delle note denotanti il concetto dell’essere e
quindi in uno dei modi ontici essenziali all’essere, nella quale operazione,
com’è evidente, è sempre a suprema categoria quella congruenza tra reale e
razionale la cui problematica già sopra abbiamo superato. Che un platonismo nel
processo di ascesa per genericità da una situazione
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concettuale data a quella situazione concettuale che dalla propria
superiore generalità e dalla coessenzialità all’intelligibile dato deriva la
propria funzione di ragion sufficiente e di principio di intelligibilità nei
confronti di quest’ultimo, abbia seguito una certa strada biffata dall’assoluta
congruenza tra pensiero ed ontologico, dal processo di genesi dialettica e dicotomica
della specie nella sua intelligibilità dal genere, dalla momentanea e
contingente eterogeneità tra l’ordine del pensato e l’ordine dell’ontologico
quando il pensiero non ha ancora integrato il sistema dei rappresentati
intelligibili induttivamente costruito con l’omologo sistema dei rappresentati
a dialettica deduttiva, già abbiam detto. Quel che qui interessa è il modo con cui Aristotele determinò per tutti
gli aristotelismi la soluzione della
contraddittorietà tra il coessenziale e l’eterogeneo simultaneamente
predicabili a gruppi di concetti: se, tanto per non mutare le basi di partenza
di un platonismo, si struttura il gruppo concettuale in un rapporto tra un genere e due specie, si avranno in
queste due contraddittori assoluti e reali, due contrari materiali, e nel
genere un principio che deve ritrovare se stesso entro le due specie senza
tuttavia riuscire a coincidere con nessuna delle due, condizione questa che è
appunto quella ideale per poter fare del genere il principio delle specie e per
potere fare delle due specie eterogenee tra loro e dal principio. Ma il voler
conservare al genere la funzione di principio in forza di una sua equivalenza
con il complesso delle due specie, a parte le altre difficoltà cui dà luogo,
offende le leggi fondamentali del pensiero e in particolare la legge di
identità in due punti: infatti, da un lato costringe il pensiero a sdoppiare
l’ordine dei suoi intelligibili in quelle
due gerarchie biunivoche entro cui è costretto a oscillare in una
perenne dialettica pendolare, sicché il pensiero avrebbe il diritto di
predicare un concetto uno con due predicati differenti da attribuirsi nello
stesso tempo e sotto lo stesso punto di vista, dall’altro obbliga il pensiero a
denotare, sotto il punto di vista formale, il concetto in genere con due note
differenti a seconda che a classe concettuale assuma quella delle specie
infime: infatti, se siffatta denotazione viene inferita dalla gerarchia diciam
così operazionale, il concetto risulta essere al tempo stesso e relativamente all’unico
suo aspetto della sua connotazione un molteplice, se genere, e un semplice, se
specie, mentre se ci si chiude nella gerarchia diciam
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