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così a struttura monadica, lo stesso concetto deve essere predicato, simultaneamente
e relativamente all’unico modo della sua connotazione, un indeterminato in sé
determinabile per altro e un determinato in sé e per sé, secondo che è o genere
o specie. D’altro canto, la soluzione offerta da una metafisica platonica
offende ancora il principio di contraddizione in quanto argomenta una
congruenza assoluta tra pensato ed ontologico muovendo da un’incongruenza tra i
due, sia pur soltanto quantitativa. Si tratta di determinare anzitutto
l’eterogeneità tra specie e ((o??)) specie o ((e??)) specie e genere; si tratta
di vedere se l’opposizione tra una specie e l’altra sia totale e radicale, e
investa l’intera connotazione di ciascuna, quasi per dir così che ogni momento
od aspetto di ciascuna sia il ripudio di uno qualunque dei momenti o aspetti
dell’altra, nel qual caso la loro coessenzialità, principio di una loro
identità, consisterebbe unicamente nella possibilità, che è l’unico lato che in
tal situazione si renda manifesto a un pensiero di modalità umana, di una loro
coesistenza in omogeneità indifferenziata entro la monadica semplicità del
genere; ma con ciò si ricade in tutte le aporie logiche del platonismo; oppure
si tratta di vedere se l’assolutezza e onnicomprensibilità della contraddizione
tra le due siano attributi che riguardano la connotazione completa di ciascuna
specie e non investano affatto ciascun momento di esse, rendendosi così lecito
al pensiero di opporre specie a specie, ma non momento o aspetto dell’una a
momento o aspetto dell’altro; s’ intende che per sostituire all’opposizione
reciproca totale e parziale delle specie un’opposizione che sia soltanto totale
si deve modificare in primo luogo l’attributo formale fondamentale sotto cui un
concetto in generale è stato riguardato; si deve, cioé, affermare apparente ed
insieme essenziale, relativa e insieme assoluta la natura composita del
concetto, rendendo indifferenti la complessità per suturazione di eterogenei
qualitativi in quanto fenomenico modo formale per la conoscenza imperfetta che
di un concetto in genere ha il pensiero di condizione umana e la medesima
complessità in quanto essenziale ed assoluta natura formale del concetto per
una qualsiasi conoscenza, intuitiva o discorsiva, imperfetta per parzialità o
per alterazione, che un pensiero in generale possa di esso avere. Che a ciò
s’opponga l’assoluta unità e semplicità qualitativa dell’ontologico, imponenti
al concetto che dell’ontologico è rappresentazione un modo formale
inattingibile dal pensiero di condizione umana, ma ciononostante principio
normativo da cui apoditticamente tale pensiero inferisca ogni altro modo
formale del concetto e insieme la propria limitazione e l’illegittimità a
sostituire le inferenze da questa alle inferenze di diritto, non è impedimento
e negazione assoluta per un’interpretazione della struttura
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formale del concetto che escluda da questo i presupposti di una sua
semplicità monadica equivalente all’omologa dell’ontologica; la deduzione
dell’essere formale del concetto dalle condizioni strutturali dell’ontologico
sarebbe di diritto sorgente da un lato di una formale monadicità essenziale del
concetto dall’altro dell’impossibilità, come impensabilità per assurdo e per
inintelligibilità, se la nozione della struttura dell’ontologico asserita da un
platonismo o non fosse stata ottenuta pel medio dell’applicazione di un
procedimento problematico o per possibili, ma fosse stata posseduta per una
delle tante altre vie con cui la mente perviene alla cognizione dell’ignoto,
oppure, ottenuta com’è per procedimento per possibili, rispettasse tutte le
condizioni cui i risultati di questo debbono subordinarsi per essere validi, e
quindi fosse unica, univoca, esclusiva di qualsiasi contraddittoria cognizione,
risultasse libera da impensabilità e contraddittorietà in sé e nelle sue conseguenze;
se tutto ciò si desse, la definizione platonica della struttura dell’ontologico
sarebbe sì nata nel pensiero come un possibile per inferenza da quell’unico
reale noto che è la struttura formale del concetto, ma contemporaneamente si
presenterebbe come l’unico pensabile per inferenza dal noto e, di conseguenza,
come l’unico e legittimo principio dal quale di diritto si dovrebbe dedurre
l’universale e il necessario entro ((la??)) conseguenza già nota, nella
fattispecie la generalissima struttura formale di un intelligibile in genere.
Ma, anche a non tener conto di nessuna delle aporie di un platonismo, è
insormontabile ostacolo ad esso e alla sua definizione del modo universale di
un ontologico in genere il fatto che i possibili inferibili dalla forma
generica di un concetto in genere non sono unici, ma almeno due - noi qui
manovriamo entro la sfera dell’aristotelismo, non sono univoci, ma almeno
ambigui, non sono esclusivi perché i due pensabili frutto dell’inferenza non
patiscono, nessuno dei due, la dimostrazione indiretta per l’assurdità
dell’opposto. Infatti un platonismo procede nella sua inferenza dalla nota
formalità generica di un concetto assumendo a principio l’unità secondo cui
questo è apoditticamente e indubitabilmente pensato, costruito, intuito,
utilizzato da un pensiero di tipo umano e insieme denota l’unità
dell’intelligibile rappresentato secondo le note dell’unità quantitativa, quale
monadicamente
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l’avevano definita i pitagorici e gli atomisti, e quale la definisce
necessariamente, in ultima istanza, un qualunque pensiero che, guardando al
reale sotto le categorie dell’ontologia matematica, o si concede la possibilità
di un ‘infinita suddivisione e della conseguente esclusione di una monade
assoluta, ma in questo caso è costretto a porre l’universo in una continuità
assoluta che fa dell’universo stesso una monade, o rifiuta a se stesso la
legittimità di una suddivisione all’infinito, ma in questo caso è costretto a
costruire l’universo con un numero grande a piacere di monadi; che il primo
punto di vista sia geometrico e spaziale, e il secondo aritmetico e temporale,
poco importa; per un aristotelismo interessa il fatto che le categorie
matematiche non sono le sole che di diritto sussumano sotto di sé il reale, e
che la matematica non costituisce nella mente umana l’unico tipo di
universalità e necessità e quindi di intelligibilità per il pensiero ((o??))
l’unico modo di uniformità e costanza e invariabilità e quindi di razionalità
per l’ontico; se si dà unità là dove non si danno parti, se si dà
intelligibilità là dove si diano universalità e necessità, se si dà razionalità
là dove si ritrovi immutabilità, è sufficiente che non si verifichi
suddivisibilità e suddivisione perché ci sia dell’uno, che si dia identità
permanente e invariabile di un rappresentato con se stesso e per ciascun ente
che nella contemplazione dell’uno risulta insuddivisibile e insuddiviso dagli
altri e pei rapporti in cui l’uno contemplato si pone con gli altri e in cui
gli insuddivisibili insuddivisi si pongono reciprocamente perché si verifichino
l’universale e il necessario principi dell’intelligibile, che siffatta identità
permanente e invariabile sia pensata e argomentata come rappresentazione di un
simmetrico nell’ontico perché questo risulti razionali. E allora l’unità
matematica non è né unica né univoca né esclusiva dell’altra unità quella
biologica. Sarebbe interessante, per proseguire costruttivamente e non solo
criticamente un discorso di tipo aristotelico, controllare in primo luogo se l’intelligibilità
di sfere del reale altre dalla matematica e dalla biologica non offrissero
nuove definizioni dell’uno che si ponessero a principio di nuove inferenze dal
concettuale noto a una ulteriore possibile strutturazione dell’ontologico da
cui discendere per definire la struttura formale prima ed essenziale di un
concetto in quanto uno monadico, in secondo luogo se l’unità per definizione
matematica e l’unità per definizione biologica siano assolutamente irriducibili
o siano l’una il vero principio dell’altra o non rimandino entrambe a un’unità
sovraordinata loro come categoria. E’ certo che assunte le condizioni
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dell’unità formale di un intelligibile simmetrico dell’unità
strutturale di un biologico affermato ontologico, a note denotanti l’unità in
generale, diviene lecito spezzare l’unità matematica dell’intelligibile in
genere in porzioni che non sono né frazioni relative al pensante né suturazioni
artificiali di eterogenei sussumibili, ma sono reali distinti autonomi e
interrelati da nessi organici che sarà poi compito dell’analisi definire.
Mentre l’unità viene conservata, contemporaneamente si offre la possibilità,
una volta introdotta quella che potremmo chiamare la connotazione per
differenti denotazioni nei tre intellegibili del genere con le sue due specie,
di determinare la loro identità reciproca per analisi che dovrà sempre esser
condotta, pei postulati di partenza, sulle mere condizioni formali dei tre
concetti e non sui dati materiali e sull’operazione genetica conducente al genere
pel tramite della connotazione materiale delle specie: un’identità che sia
necessariamente parziale e che s’innesti entro un reale da un lato e due
dall’altro i quali sono tutt’e tre individui assoluti è destinata, comunque si
tenti di legittimarla, a rimanere esclusa da tutte le classi di identità che il
pensiero di condizione umana può elencare; non così è per un’identità che, pur
dovendo esser denotata da siffatte modalità formali, si dia entro tre individui
la cui indivisibilità sia di fatto, ma
non di diritto, come quelli che mutuano l’indivisibilità non dall’assenza di
porzioni eterogenee componenti, ma dall’ineluttabile interdipendenza di
siffatte parti che ne fa altrettanti individui destinati a mutar di natura e di
modi a seconda che siano o non nell’individuo da esse composto: qualora i tre
intelligibili possano essere pensati secondo l’individualità composita od
organica, l’identità parziale può esser pensata come veramente tale, come
uguaglianza totale di una parte entro ciascuna delle tre totalità composite:
poiché, tuttavia, quest’uguaglianza non è ancora sufficiente ad erigere la
porzione identica a ragion sufficiente dell’intelligibilità delle sue specie e
quindi a loro genere e poiché, ad esempio, può porsi come pensabile
un’uguaglianza siffatta tra un’altra delle porzioni di una delle due specie e
una porzione ritrovabile nella individualità di un quarto intelligibile, che
per questa coessenzialità diverrebbe specie cogenere dell’intelligibile
parzialmente identico ad esso, sicché quest’ultimo verrebbe a sussumersi sotto
due differenti generi e, con ciò, a godere di due differenti e contraddittorie
ragioni di intelligibilità - il pensabile qui indicato è la premessa del
discorso che conduce alla trascendentalità di alcuni dei concetti pensati-,
occorre determinare il rapporto intercorrente fra le parti costitutive
dell’individua connotazione dell’intelligibile, valendosi a tale scopo non
tanto del nesso di determinazione, quanto della
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