- 61 -
[pag.61 F1]
il pensiero ha due tre eterogenei, quello di individuare entro
l’intelligibile stesso il condizionatore dell’esistere dell’altro, quello di
ricorrere ad alcuni intelligibili differenti che contengano l’una sola delle
due note e vedere se negli uni l’una nota sia condizionata nell’esistere da
altre o condizioni le altre nell’esistere, e in questo caso dal fatto che la
nota sia un condizionato nell’esistere si arguisce la sua impossibilità di
essere funzione formale universale e necessaria di ragion sufficiente
dell’esistere di altro, mentre dal fatto che la nota sia un condizionatore
dell’esistere di altro si arguisce solo una sua relativa attitudine ad assumere
funzione di ragion sufficiente dell’esistere di altro, quello di ricorrere ad
altri intelligibili differenti che contengano entrambe le note e vedere in
quali rapporti di condizionamento esistenziale esse si pongono in siffatti
intelligibili; quest’ultimo canone, che è in fondo quello realmente produttivo,
in fondo non è che un corollario del primo, in quanto la compresenza delle due note
nell’intelligibile considerato e negli intelligibili diciam così sussidiari fa
di questi delle specie di quello, ma un corollario fondamentale ai fini della
ricerca del generico e dello specifico nella connotazione di un intelligibile
qualsiasi, perché qualora questo sia un genere rimanda alla specie infima,
qualora questo sia una specie infima rimanda alla percezione intuitiva
corrispondente e in entrambi i casi costringe il pensiero ad osservare entro
questa quali degli universali che la costituiscano siano primi nell’essere
rispetto agli altri e quindi ragion sufficienti dell’esistere di questi, con la
conseguenza che al pensiero sarà lecito individuare quale delle due note faccia
parte dei primi e quale dei secondi, secondo quel discorso che implicitamente
il nostro stesso pensiero ha utilizzato sopra quando ha deciso di rendere
l’animale ragion sufficiente dell’esistere e genere del vertebrato; ma
quest’ultimo canone è utilizzabile per qualsiasi genere tranne che per il
genere sommo in quanto, mentre quello non si ripresenta in tutte le specie
infime, ma solo nella sfera delle sue sussunte, e dentro la connotazione di
queste vede se stesso articolarsi nelle sue componenti in rapporti che o
risultano immediatamente tali per cui l’una è causatrice dell’esistere
dell’altra o, nel caso che la causalità non sia immediatamente evidente,
rimandano alle specie infime cogeneri entro cui la componente che nel genere
considerato è effettivamente causatrice e quindi generica si articola con un
altro specifico, il genere sommo si ripresenta nella connotazione di
[pag.61 F2]
tutte le specie infime sicché delle due l’una o nell’intera sfera delle
specie infime si rivela quel rapporto di subordinazione che non si rivela nella
suprema categoria, e allora il ricorso è valido, o non si rivela, e allora il
canone è inutilizzabile; ma la mancata evidenza di un rapporto di causalità
esistenziale tra le due note del genere sommo non è che un riflesso della
mancata evidenza entro la connotazione delle specie infime e quindi della
stessa totalità dell’intuito fenomenico, e quindi il terzo canone è invalido ai
nostri fini; quanto al secondo canone è da dirsi subito che, per ciò che
riguarda la categoria di sostanza, esso s’applica solo alla nota dell’essere, ossia della costanza ed uniformità,
la quale può ritrovarsi disgiunta dalla nota dell’inseità, in un numero
notevole di intelligibili, nei quali tutti essa si pone come principio
causatore dell’essere delle restanti note connotanti; ma a parte il fatto che
si è già detto che la funzione di causalità esistenziale di una delle
componenti della connotazione del generico fuori dalla connessione con l’altro
componente della medesima connotazione ha carattere relativo, sicché la
causalità esistenziale dell’essere fuor del concetto di sostanza non può porsi
a ragion sufficiente di un’identica sua causalità nel concetto di sostanza,
l’esame della natura di questo canone lo rende del tutto inutilizzabile ai
nostri fini: infatti, esso prevede la possibilità di ritrovare una nota di un genere
in un intelligibile la cui connotazione ripudi siffatta nota, il che si dà per
tutte le note che nel genere sono specifiche e che, se ritrovate con identica
funzione in altre connotazioni ((che??)) il cui generico sia differente da
quello del genere considerato, nulla aggiungono a quanto si sapeva già, mentre,
se ritrovate con funzione di generico in altre connotazioni di differente
specifico, in nulla contraddicono alla loro originaria funzione specifica nel
genere considerato; d’altra parte lo stesso canone presuppone che la scissione
del generico dallo specifico in un genere avvenga quando generico e specifico
divengono due intelligibili appartenenti a due strutture scalari eterogenee,
che per quanto sopra si è detto hanno legittimità solo se ordinate in un
rapporto tale per cui l’una sola di esse sia fondamentale essenziale e valida,
mentre le altre sono contingenti e inessenziali, sicché il ricorso alla
scissione delle due componenti del genere considerato ha valore solo o nel caso
che il genere appartenga a strutture scalari del secondo tipo o nel caso che il
ricorso a queste fornisca
[pag.61 F3]
la nozione della funzione specifica che una delle due note scisse deve
avere pure nella struttura essenziale anche se in questa non appariva
immediatamente evidente; a questo punto, il secondo canone risulta
inutilizzabile per determinare la funzione delle note di un genere sommo, sia
per quanto abbiam già detto sopra, sia perché tutte le strutture scalari,
eterogenee da quella essenziale, delle quali esso canone ha assoluto bisogno,
acquistano valore solo se reimmesse, in un modo o in un altro, nella struttura
essenziale, col che si verifica che tutti i concetti delle strutture parallele
divengono specie del genere sommo e vedono comparire nella loro connotazione
entrambe le note di esso con quella medesima ignoranza della funzione delle due
note che già si dà entro la connotazione della categoria alle origini del
discorso; resta allora il primo canone, quello dell’osservazione diretta delle
due note: ma nella categoria di sostanza, che abbiamo assunto ad esempio,
appare sì evidente ché l’inseità non può sussistere senza l’essere e l’essere
senza l’inseità, il che nulla depone a favore di una o altra funzione del
rapporto causale per questa o quella delle due note, in quanto in tale rapporto
la causa è altrettanto necessario per l’esistenza dell’effetto in quanto essere
quanto l’effetto lo è per l’esistenza della causa in quanto causa, ma appare
soprattutto evidente che l’inconcepibilità di un ‘esistenza di ciascuna delle
due note che sia autonoma e indipendente dall’altra non consente al pensiero di
condizione umana di decidere per un’anteriorità sia pur soltanto logica
dell’una rispetto all’altra (e invero è concepibile è un costante e uniforme
che sia per altro ma ((uno??)) come modo di questo il quale a sua volta sarà
modo di un terzo e così via, fino a un modo supremo di costanza e uniformità
che non sia per altro, e che sia quindi costante e uniforme assoluto, ma questo
è simultaneamente in sé; di contro, appare immaginabile se non intelligibile un
in sé che sia diveniente e mutevole; ma quando si assuma l’inseità come nota
articolata con la costanza-uniformità nella composta unità di un unico
intelligibile, allora l’inseità è altrettanto necessaria alla costanza e
uniformità quanto lo è questa per l’inseità; che se ci si obbietta che
l’inseità può articolarsi col diveniente-mutevole in un diverso intelligibile
sicché sarebbe l’inseità ad essere il reale autonomo dei due, si deve
rispondere che anche qui si ripete l’identica situazione, e cioè che se
siffatto intelligibile è genere sommo l’inseità deve essere pensata onde sia
pensabile il diveniente-mutevole, e il diveniente-mutevole dev’essere pensato
onde sia pensabile l’inseità); l’inintelligibilità dell’antecedenza apodittica
di una
[pag.61 F4]
delle sue note impedisce di definire l’una ragion sufficiente
dell’esistenza e dell’intelligibilità dell’altra ((dall’altra??)), e quindi di
assumere l’una a genere dell’altra; e questa condizione soltanto è ragion
sufficiente da un lato della suprema genericità della categoria e quindi della
sua indefinibilità dall’altro della necessità che la connotazione di un
concetto sia almeno binaria; d’altro canto, poiché il rapporto di
subordinazione tra generico e specifico è da concepirsi secondo la modalità
della causalità esistenziale e non della causalità di intelligibilità, e poiché
una causalità esistenziale è determinabile o cronologicamente nella sfera del
fenomenico o logicamente nella sfera dell’intelligibile, la causalità
esistenziale logicamente determinabile scaturisce dal fatto che il generico di
un intelligibile è atto ad articolarsi con differenti intelligibili in
differenti specie, sicché l’esistenza e la conoscenza di almeno tre concetti in
reale rapporto di genere a specie, consente di distinguere in queste quel che
di generico hanno, con la conseguenza che debbono essere date almeno due specie
di un genere onde sia noto il generico di quell’intelligibile che è una delle
due specie; il che non si verifica per la categoria suprema la quale non solo
non è specie di nessun genere, ma non è specie cogenere di nessun altro
intelligibile; ma questo poco conta, perché nell’ordine delle conoscenze umane
il possesso di tre intelligibili che siano già in rapporto di genere a specie
non può prescindere dal fenomenico, nel senso di intuitivo in genere, e quindi
è fatto secondo, sicché la non-specialità e la non-cogenerità della categoria
suprema, con la indefinibilità che ne consegue, sono fatti secondi e argomenti
secondi della funzione sua di categoria suprema, e quindi sono solo ragioni
seconde dell’indeterminabilità logica della causalità esistenziale di una delle
due note; ché se invece al pensiero di condizione umana fosse data la nozione
del rapporto di causalità di intelligibilità, la determinazione logica della
causalità esistenziale delle due note connotanti le categorie ((la
categoria??)) sarebbe conseguenza di tale nozione e quindi fatto logico al
tutto prescindente dal cronologico; occorre allora scendere alla determinazione
cronologica della causalità esistenziale e cioè all’ordine del fenomenico,
entro cui la causa è un fenomeno che si manifesta con una anteriorità nel tempo
o tra due individui che sian tali per percezione o tra due individui che sian
tali per analisi di una percezione; in entrambi i casi l’individualità intuita
in assoluta, se pur apparente e relativamente sensoriale, autonomia e
l’individualità
|