- 62 -
[pag. 62 F 1]
intuita in artificiale autonomia se si dà prima nel tempo e insieme
necessariamente prima è causa della seconda, sicché è lecito trasferire ai loro
concetti l’anteriorità logica e quindi la causalità esistenziale; ma per tutti
gli intelligibili ciò si verifica fuor che per la categoria suprema la quale rimanda
a individualità fenomeniche, il che per ora diamo per ammesso, che si danno
sempre simultanee nel tempo; sicché neppure la determinazione cronologica vale
per i nostri fini -; e) è data la ragion sufficiente per la quale in un
aristotelismo il processo di conoscenza degli intelligibili in un pensiero di
condizione umana va dalle specie ai generi e insieme abbraccia e immette
nell’ordine degli intelligibili le specie infime come puntuali rappresentazioni
delle percezioni fenomeniche e inoltre siffatto moto dialettico dal livello di
massima espansione della piramide concettuale al vertice è simmetrico
dell’identico moto che è da pensarsi nell’ontologico: infatti, se sul piano del
conoscere umano il genere è ragion sufficiente della specie in forza della sua
funzione di causalità dell’esistenza dello specifico e quindi della sua
immanenza nella connotazione unitaria ed eterogenea delle specie secondo un
rapporto che è di causa rispetto a quell’esistere che è quel connotante
eterogeneo da esso, e se l’unica ragion sufficiente per cui al pensiero umano è
consentito di attribuire necessità di esistenza al genere è di identificare il
genere con una causalità di una certa esistenza - in questa affermazione non si
dà contraddittorio, se la si considera dal punto di vista del piano meramente formale su cui essa si pone, in
quanto qui si considera esclusivamente l’essenza del generico in genere, mentre
sul piano materiale il genere coincidendo con un qualitativo determinato ed
eterogeneamente qualificato trova la sua ragion sufficiente in un altro genere
fino a giungere al genere sommo in cui o non si dà specifico, il che
contraddice all’universale legge degli intelligibili, o lo specifico resta
ignoto, sicché, dal punto di vista della materia del conoscere, sarebbe contraddittorio
affermare che la ragion dell’esistere di un genere è la sua funzione causatrice
di esistenza e non un altro intelligibile suo genere; ma a bene guardare non
importa scindere il formale dal materiale per elidere la contraddizione, perché
questa anche sul piano materiale è puramente apparente: infatti, un qualsiasi
genere in quanto rimanda al genere sommo ritrae da questo il proprio essenziale
generico e quindi ritrova in questo la causa del suo esistere, che poi non è se
non la causa dell’esistere di tutti gli
[pag.62 F 2]
specifici che entro i generi, medi tra il genere sommo e il genere
considerato, acquistano funzione causatrice via via che da specifici nel loro
genere si fanno generici nei loro sussunti; e la contraddizione vede ridursi a una
differente connotazione della causalità che sarà semplice e immediata nel
genere sommo, per farsi via via tanto più complessa e graduata in cause seconde
e terze quanto più numerosi sono i generi medi tra il genere considerato e il
genere sommo - se, ripetiamo, genere e causalità dell’esistere sono una sola e
stessa cosa, allo stesso modo che sul piano del pensiero di condizione umana un
ente è conosciuto nella sua funzione di
causa solo dopo che diventa noto l’effetto nei rapporti di apodittica dipendenza
della sua esistenza da quella della sua causa, e quindi allo stesso modo che
sul piano dell’ontico un ente è causa solo se e quando la sua esistenza entra
in rapporti apodittici con l’esistenza del suo effetto e, per ciò, solo se e
quando il suo effetto esiste, così entro il pensiero umano solo a livello delle
specie infime saranno dati tutti i generi possibili assieme a tutti gli
specifici possibili; perché solo allora ogni generico sarà causa del suo
effetto, lo specifico, essendovi ivi un solo generico assoluto il causante
incausato e un solo specifico assoluto il causato incausante, e così pure nella
sfera dell’ontico ontologico ogni genere sarà non solo entro la realizzata
totalità delle specie infime, entro la quale essendo dati in esistenza tutti
gli effetti l’esistenza di questi pone necessariamente l’esistenza di tutte le
cause, con la conseguenza che, se anche lì il genere sommo può esistere come
causa solo entro le specie infime, queste devono identificarsi col reale
fenomenico in cui sono in esistenza quelle infime e irriducibili differenze
individuali costituenti quegli esistenti effetti ultimi da cui derivano le
esistenze reali di tutte le cause o generi intelligibili; ma tutto ciò non
significa altro che come nel pensiero di condizione umana il moto dialettico
per cui son fatti esistere, in quanto divengono nozioni reali, i generi solo
muovendo dalle specie infime, così anche nel reale ontologico il moto
dialettico esistenziale può salire solo dalle specie infime al genere sommo. E’
evidente che il moto dialettico cognitivo si capovolgerà nel pensiero umano. Ma
non è questo quel che qui interessa. E’ piuttosto
[pag. 62 F 3]
il problema che insorge in siffatta visione di tipo aristotelico. Fin
che il pensiero di condizione umana resta chiuso in se stesso, nei suoi
speciali modi di esistere, di operare, di predicare formalmente i reali che
sono suoi immediati oggetti, tutto scorre liscio: per il pensiero umano
esistere significa conoscere per ciò che lo riguarda, ed esser conosciuto per
ciò che riguarda i suoi oggetti in quanto pensati immediati, allo stesso modo
che conoscere vuol dire possedere altri conosciuti che con la propria esistenza
in quanto conosciuti e il proprio modo di esistenza in quanto conosciuti
secondo certe qualificazioni pongono necessariamente l’esistenza in quanto
conoscenza e il modo di esistenza in quanto conoscenza qualificata di un
pensato, ed esser conosciuto vuol dire, perciò, per un pensato costringere il
pensiero a giudicare necessaria la sua conoscenza in quanto qualificata in
certo modo in forza del nesso da cui il pensato è vincolato ad un altro;
evidentemente per un siffatto pensiero, una volta fondata la legittimità della
transizione dalle intuizioni percettive ai simmetrici intelligibili e, con ciò,
posta l’esistenza, in quanto conoscenza legittimata da una certa ragion
sufficiente, delle specie infime, si dà il diritto, partendo dalla definizione
biologica dell’unità, di porre come esistenti, ossia come conosciuti legittimi,
l’intero ordine scalare degli intelligibili, i generi nella loro totalità e
tutte le specie, in quanto la scalarità degli intelligibili ascendenti nel
generale discendenti nello speciale nulla di diverso e di più è che il
complesso delle specie infime in quanto non semplicemente contemplate nella
loro unità plurima ed eterogenea, ma in quanto legittimate ad una ad una nel
loro diritto di esser conosciute come son conosciute, essendo la loro
complessità nulla più che una serie di cause, producenti effetti, i quali a
loro volta sono cause di altri effetti, serie finita come quella che è
racchiusa tra una causa prima ed assoluta ed un effetto ultimo ed assoluto; in
quanto per il pensiero conoscere ed esistere sono la stessa cosa, che a un
conosciuto subentri necessariamente un altro conosciuto è ragion sufficiente
per accettare il primo come ragione ed il secondo come conseguenza,
indipendentemente dal fatto che sia
fornita o meno la nozione della ragione per cui il primo noto è ragione
del secondo, indipendentemente dal fatto che, essendo i due noti due
eterogenei, l’eventualmente irriducibile eterogeneità dei due impedisca di
ritrovare nel conosciuto che è ragione note qualificanti che pongano
necessariamente la qualificazione particolare del conosciuto conseguenza, e, di
conseguenza, indipendentemente dal fatto che la ragione del rapporto tra
conosciuto-ragione e conosciuto-conseguenza sia dato primo, coincidendo la
necessità di tale rapporto col rapporto stesso, o dato secondo, essendo la
ragione del rapporto eterogenea dal rapporto stesso; al pensiero basta fornire
a se stesso le modalità
[pag. 62 F4]
per distinguere un rapporto da conosciuto-ragione a
conosciuto-conseguenza il quale sia veramente totale ossia effettualmente
necessario da un rapporto analogo che sia però solo apparente, per aver
soddisfatto alla sua esigenza di legittimare il conosciuto come tale e quindi
come esistente. E’ grazie a questa capacità che il pensiero umano è in grado di
applicare se stesso e quindi di albergare conosciuti in sfere differenti dalla
matematica.Ed è per questa capacità che tra una struttura di intelligibili
ordinati in genere e specie e la serie delle specie infime non passa altra
differenza che quella che sussiste tra una serie di ragioni conosciute nella
loro successione ordinata e legittima e la stessa serie conosciuta e in questo
modo e come costituente un’unità, cioè da pensarsi, conoscersi, giudicarsi come
un insieme di inscindibili entro cui la separazione di uno dagli altri sarebbe
arbitraria e inintelligibile. Ma le difficoltà insorgono in duplice direzione
quando da un lato il pensiero umano pretenda di essere rappresentazione di un
reale che è in sé, ontico, e che insieme è fotografato dal pensiero stesso, e
dall’altro si rende conto come l’esigenza di dichiarare conosciuto un
conosciuto che ritragga necessità da un altro conosciuto, ossia come il
principio di ragion sufficiente, venga di fatto da esso stesso pensiero
ottemperato in due modi diversi, e quindi connotato in due modi diversi, con la
conseguenza che l’applicazione concreta di siffatta norma finisce per offendere
l’altro principio fondamentale, quello d’identità, che pure impone a un
conosciuto di sottostare a certe esigenze per poter essere affermato conosciuto
ed esistente nel e per il pensiero. La prima difficoltà scaturisce dal
confronto che il pensiero deve pure istituire tra il suo conosciuto primo e in
fondo unico, cioè la specie infima, e l’ontico che per il presupposto
razionalista da cui muove non può non essere affermato puntualmente simmetrico
ed assolutamente equazionale alla nozione della specie infima; e fino a un
certo punto l’equazione si dà: la nozione infima è un uno che per struttura
organica si costituisce attraverso una molteplicità finita di eterogenei, e
l’ontico simmetrico è un’unità organica di ontici eterogenei di numero vario ma
finito; la nozione infima introduce l’unità nei molteplici diversamente
qualificati attraverso rapporti di subordinazione pei quali ognuno di essi trae
necessità di esistenza dall’immediatamente sovraordinato, ad eccezione del primo
che l’ha da sé, per un fatto di certo non molto pacifico, perché rompe la
costanza della legge organica di subordinazione, ma che può benissimo essere
accettato dal pensiero in quanto riconducibile come a sua ragione non già alla
legge bensì all’ontico stesso in quanto intuito, e l’ontico simmetrico vede i
suoi molteplici strutturarsi in organismo per analoga necessità di
subordinazione in dipendenza da un primo ontico che dandosi necessario
|