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di per sé nell’esistere trasmette esistenza a tutti i necessariamente
subordinati; nella nozione infima l’esistenza di fatto del primo dei molteplici
eterogenei e la necessaria dipendenza nell’esistere da esso di tutti gli altri,
pone come necessarie e universali le componenti la struttura, e nell’ontico si
dà una modalità ontologica in quanto la necessaria esistenza dell’ontico a
tutti sovraordinato e la sussunzione necessaria ad esso di tutti gli altri
rende tutte le componenti ontiche e l’intero complesso costanti e uniformi,
immutabili, identici con se stessi, degli esseri che sono veramente tali. Ma la
simmetria vien meno quando da questi aspetti formali il pensiero si porti a
considerare la struttura formale particolare del generico rapporto di
subordinazione quale si dà nella specie infima e quale deve darsi
nell’ontologico corrispondente. Il pensiero, quando guarda a una specie infima
e ne concepisce l’unità in funzione dei rapporti di subordinazione che
connettono l’una all’altra le connotanti eterogenee, non incontra nessuna
difficoltà a considerare l’essenza assoluta della connotazione come la causa
prima che dal suo essere necessario trae la necessità dell’esistenza
dell’essenziale immediatamente dipendente che si distingue dal resto della
connotazione come quello che si pone a sua essenza e a causa della necessità
del suo esistere, e così via attraverso nessi di causalità esistenziale, che
erigono un essenziale ad essenza e a ragione dell’esserci dell’altro e che
corrispondono a rapporti da genere a specie, fino all’ultima nota che è
l’estremo effetto e insieme l’unico essenziale che non sia essenza; la sua
dialettica, fin che l’attenzione resta concentrata sulla connotazione della
specie infima in quanto reale pensato, è da generico a specifico per
transizione apodittica da esistente eterogeneo ad esistente eterogeneo. Ma le
difficoltà insorgono quando la specie infima sia posta come rappresentazione di
un ontico ontologico: in primo luogo, qui la dialettica non può più essere
monodica, in quanto se dal punto di vista della necessità dell’esistenza il
discorso deve anche per l’ontologico trascorrere dall’ontologico generico
all’ontologico specifico come da una causa alla necessità esistenziale del suo
effetto, non appena si assuma a punto di vista un diverso, e precisamente il
rapporto stesso tra generico e specifico ontologici in quanto però rapporto tra
una causa ed un effetto, il discorso deve capovolgere la sua direzione come
quello che deve inferire dall’esistenza necessaria dell’effetto, e cioè
dell’ontologico specifico, la funzione apodittica causale dell’ontologico
generico; finché si ha che fare con la mera esistenza, il pensiero trapassa dal
generico allo specifico necessariamente come da un’essenza all’essenziale che
dev’essere per l’essenza, ma quando si abbia che fare con l’apodissi della
funzione, il pensiero deve trapassare dallo specifico al generico onde dedurre
dalla funzione di effetto del primo la necessaria funzione di causa del
secondo; entro la sfera del mero pensato, il capovolgimento della dialettica
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è fatto per dir così di meccanica e naturale transitività, in quanto,
una volta posta la nozione della specie infima articolata nei suoi eterogenei
connotanti, l’identificazione dei gradi di essenzialità porta all’ordinamento
causale da generico a specifico, che si pone a generico rispetto al subordinato
specifico, e così via, e, contemporaneamente, per il fatto stesso che il nesso
apodittico tra generico e specifico è nesso causativo, denota ogni connotante
con la nota della funzione causativa e della funzione di effetto, sicché
risulterà meccanico convertire il rapporto da generico a specifico in rapporto
da specifico a generico grazie alla mediazione di due giudizi analitici che
hanno dedotto i loro predicati di causa e di effetto rispettivamente dai loro
soggetti, il generico e lo specifico, i quali li ritrovano necessariamente
presenti nelle loro connotazioni come conseguenza rispettiva delle note di
essenza e di essenziale con cui si danno a conoscere al pensiero. Nel caso che
le due note del generico e dello
specifico denotanti, tra le altre, un concetto che pretenda essere
rappresentazione simmetrica di un ontologico, siano omogenee ed equivalenti il
capovolgimento della dialettica si dà meccanico e naturalmente transitivo sia
che il concetto lo si assuma come mero reale pensato sia che lo investa di
portata cognitiva, nel qual caso le operazioni compiute su di esso e sulle sue
denotazioni sono valutate dal pensiero come compiute sui corrispondenti
ontologici e devono risultare formalmente e materialmente legittime anche da
questo nuovo punto di vista: infatti, posto il concetto e le due note del
generico e dello specifico le dialettiche dal generico allo specifico e dallo
specifico al generico sono legittime nei confronti del concetto in quanto
pensato per la ragione immediatamente qui sopra esposta, ma sono altrettante
generiche in quanto considerate come applicate ai corrispondenti ontologici,
giacché, essendo le due note equivalenti ed omogenee ed essendo quindi lecita
la loro sostituzione reciproca, si darà per i loro ontologici corrispondenti
una dialettica da specifico a generico inferita dalla dialettica dal generico
allo specifico, in forza non tanto di siffatta inferenza, quanto piuttosto in
forza dell’identità delle due dialettiche, la quale, insorgendo
dall’equivalenza ed omogeneità delle due note, vede il generico sostituirsi
indifferentemente allo specifico e lo specifico al generico a seconda del
mutato punto di vista, essendo specifico e generico, cioé essenza ed essenziale,
e quindi funzione di causa e funzione di effetto, non un effettuale ontologico
assoluto ma un relativo gnoseologico - ad esempio in un concetto matematico A,
sia questo il concetto del rapporto tra l’angolo alla base di un triangolo e
l’angolo adiacente all’angolo al vertice e avente a suo lato uno dei lati del
primo, le cui note siano B e C, siano queste
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i concetti di alterno-internità e di eguaglianza dei due angoli
suddetti in quanto rapportati l’uno all’altro, la dialettica dal generico allo
specifico, da B a C, è ragione della dialettica per conversione dall’effetto
alla causa, da C a B, in A in quanto pensato, mentre sul piano dell’ontologico
la conversione ha la sua ragione nell’equivalenza di B e di C, per la quale si
dà che (B > C) = (C > B); il fatto che nell’ontologico A sia la
dialettica dal generico B allo specifico C a porre la dialettica dallo
specifico, come effetto, C al generico, come causa, C, non è un assoluto
ontico, ma un soggettivo, relativo al punto di vista in cui si è posto il
soggetto pensante nel concepire i due angoli il cui rapporto è il concetto A;
gli stessi angoli pensati nel medesimo rapporto guardato da altro punto di
vista, cioé nel concetto D, come concetto del rapporto dei due angoli stessi ma
in quanto supplementari di un terzo unico ed immutabile, vede la dialettica
esistenziale operarsi da C a B e da questa inferirsi la dialettica funzionale
da B a C, per nessun’altra ragione assoluta se non quella dell’identità delle
due dialettiche, e per la mera ragione di fatto del mutato punto di vista
soggettivo -. Si dia ora il caso opposto che le due note del generico e dello
specifico siano assolutamente eterogenee, quali debbono essere in una specie
infima che sia nozione intellettiva di un fenomenico non matematico; se il
pensiero si chiude in se stesso, data la simultaneità in cui si danno tutte le
note denotanti la specie infima in quanto pensata, converte con assoluta
tranquillità la dialettica esistenziale nella dialettica funzionale; ma non
appena sostituisce alle note gli ontologici, ossia non appena predica alle note
non più il concetto di intelligibili ma quello di equivalenti di ontologici
ossia di “supposizioni” di ontologici, dal mero punto di vista formale gode di
altrettanta tranquillità perché è evidente che se l’ontologico in quanto
generico pone con la sua esistenza necessariamente l’esistenza dell’ontologico
che è specifico, questo dovrà essere denotato dalla nota dell’effetto che
consente la transizione al generico pure necessariamente denotato dalla nota
della causatività; ma la stessa transizione da dialettica esistenziale tra
ontologici a dialettica funzionale tra ontologici pel medio della loro analisi,
perde di legittimità sul piano della connotazione materiale, in quanto entro
questa dovrebbe darsi una rapportazione necessaria da un lato fra il complesso
della connotazione materiale del generico e la nota della sua causatività
rispetto allo specifico e dall’altro fra il complesso della connotazione
materiale dello specifico
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la nota della sua funzione di effetto rispetto al generico,
rapportazione che l’eterogeneità assoluta delle due connotazioni materiali non
pone: essendo generico e specifico due eterogenei assoluti, nessun rapporto di
necessità si dà tra essi, tranne quello esistenziale, il quale però può darsi
per il pensiero, pel quale la simultaneità dei pensati e la loro dipendenza da
essenziale ad essenza sono ragioni sufficienti per una causalità esistenziale,
ma non per un ontologico, sia pur pensato da un pensiero ma pur sempre pensato
da un pensiero che se lo rappresenta in sé e per sé; per siffatto ontologico
infatti la simultaneità in primo luogo non è dato universale, in quanto si
verifica per una sola sfera dell’ontico e precisamente quella dell’ontologico
simmetrico della specie infima, in secondo luogo non è dato reale, in quanto in
quella sfera dell’ontico che è il fenomenico, la cui ontità è garantita dal
rapporto di subordinazione necessaria che lega la specie infima alla sussunta
intuizione percettiva, che riproduce tutti i rapporti di subordinazione tra
intelligibili e che è ineliminabile pena l’ignoranza dell’intelligibile stesso
e quindi della stessa specie, la successione dello specifico al generico non è
né acronica come nell’intelligibile, né per compresenza sincronica come nel
pensato. E allora delle due l’una, o si pone un’assoluta eterogeneità tra
fenomenico ed ontologico, con la conseguenza che, essendo dei due solo il
fenomenico ciò cui si può predicare di diritto l’ontità, l’ontologico cessa di
essere un simmetrico del concetto dotato degli stessi diritti di ontità per
inferenza dal pensato di cui è ricco il sensoriale - sarà questa in fondo la
strada battuta dall’empirismo illuministico, che non è affatto per questo
scettica, ma si limita a negare una proporzionalità del tipo fenomenico:
ontologico = ontico: ontico, per l’impossibilità di denotare il secondo con la
medesima diacronicità del primo e per l’impossibilità di ritrovare nella
diacronicità del primo quella convertibilità da dialettica esistenziale a
dialettica funzionale che l’acronia del secondo consente, sicché ritiene
legittima soltanto la proporzione fenomenico: intelligibile = ontico in sé:
ontico per altro e quindi l’equazione (fenomenico ≠ ontologico ) =
(ontico ≠ non ontico ) -, oppure, per non offendere il
postulato-presupposto razionalista che instaura l’equazionalità dell’ontologico
col concetto e dell’intelligibile in quanto pensato con l’intelligibile in
quanto ontico, si rendono omogenei il fenomenico sensoriale con l’ontologico,
estendendo la diacronicità del processo al secondo, e con ciò attribuendo
all’ontologico
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