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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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  • Prot. 51 - 101
    • 63
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di per sé nell’esistere trasmette esistenza a tutti i necessariamente subordinati; nella nozione infima l’esistenza di fatto del primo dei molteplici eterogenei e la necessaria dipendenza nell’esistere da esso di tutti gli altri, pone come necessarie e universali le componenti la struttura, e nell’ontico si una modalità ontologica in quanto la necessaria esistenza dell’ontico a tutti sovraordinato e la sussunzione necessaria ad esso di tutti gli altri rende tutte le componenti ontiche e l’intero complesso costanti e uniformi, immutabili, identici con se stessi, degli esseri che sono veramente tali. Ma la simmetria vien meno quando da questi aspetti formali il pensiero si porti a considerare la struttura formale particolare del generico rapporto di subordinazione quale si nella specie infima e quale deve darsi nell’ontologico corrispondente. Il pensiero, quando guarda a una specie infima e ne concepisce l’unità in funzione dei rapporti di subordinazione che connettono l’una all’altra le connotanti eterogenee, non incontra nessuna difficoltà a considerare l’essenza assoluta della connotazione come la causa prima che dal suo essere necessario trae la necessità dell’esistenza dell’essenziale immediatamente dipendente che si distingue dal resto della connotazione come quello che si pone a sua essenza e a causa della necessità del suo esistere, e così via attraverso nessi di causalità esistenziale, che erigono un essenziale ad essenza e a ragione dell’esserci dell’altro e che corrispondono a rapporti da genere a specie, fino all’ultima nota che è l’estremo effetto e insieme l’unico essenziale che non sia essenza; la sua dialettica, fin che l’attenzione resta concentrata sulla connotazione della specie infima in quanto reale pensato, è da generico a specifico per transizione apodittica da esistente eterogeneo ad esistente eterogeneo. Ma le difficoltà insorgono quando la specie infima sia posta come rappresentazione di un ontico ontologico: in primo luogo, qui la dialettica non può più essere monodica, in quanto se dal punto di vista della necessità dell’esistenza il discorso deve anche per l’ontologico trascorrere dall’ontologico generico all’ontologico specifico come da una causa alla necessità esistenziale del suo effetto, non appena si assuma a punto di vista un diverso, e precisamente il rapporto stesso tra generico e specifico ontologici in quanto però rapporto tra una causa ed un effetto, il discorso deve capovolgere la sua direzione come quello che deve inferire dall’esistenza necessaria dell’effetto, e cioè dell’ontologico specifico, la funzione apodittica causale dell’ontologico generico; finché si ha che fare con la mera esistenza, il pensiero trapassa dal generico allo specifico necessariamente come da un’essenza all’essenziale che dev’essere per l’essenza, ma quando si abbia che fare con l’apodissi della funzione, il pensiero deve trapassare dallo specifico al generico onde dedurre dalla funzione di effetto del primo la necessaria funzione di causa del secondo; entro la sfera del mero pensato, il capovolgimento della dialettica

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è fatto per dir così di meccanica e naturale transitività, in quanto, una volta posta la nozione della specie infima articolata nei suoi eterogenei connotanti, l’identificazione dei gradi di essenzialità porta all’ordinamento causale da generico a specifico, che si pone a generico rispetto al subordinato specifico, e così via, e, contemporaneamente, per il fatto stesso che il nesso apodittico tra generico e specifico è nesso causativo, denota ogni connotante con la nota della funzione causativa e della funzione di effetto, sicché risulterà meccanico convertire il rapporto da generico a specifico in rapporto da specifico a generico grazie alla mediazione di due giudizi analitici che hanno dedotto i loro predicati di causa e di effetto rispettivamente dai loro soggetti, il generico e lo specifico, i quali li ritrovano necessariamente presenti nelle loro connotazioni come conseguenza rispettiva delle note di essenza e di essenziale con cui si danno a conoscere al pensiero. Nel caso che le due note del generico  e dello specifico denotanti, tra le altre, un concetto che pretenda essere rappresentazione simmetrica di un ontologico, siano omogenee ed equivalenti il capovolgimento della dialettica si meccanico e naturalmente transitivo sia che il concetto lo si assuma come mero reale pensato sia che lo investa di portata cognitiva, nel qual caso le operazioni compiute su di esso e sulle sue denotazioni sono valutate dal pensiero come compiute sui corrispondenti ontologici e devono risultare formalmente e materialmente legittime anche da questo nuovo punto di vista: infatti, posto il concetto e le due note del generico e dello specifico le dialettiche dal generico allo specifico e dallo specifico al generico sono legittime nei confronti del concetto in quanto pensato per la ragione immediatamente qui sopra esposta, ma sono altrettante generiche in quanto considerate come applicate ai corrispondenti ontologici, giacché, essendo le due note equivalenti ed omogenee ed essendo quindi lecita la loro sostituzione reciproca, si darà per i loro ontologici corrispondenti una dialettica da specifico a generico inferita dalla dialettica dal generico allo specifico, in forza non tanto di siffatta inferenza, quanto piuttosto in forza dell’identità delle due dialettiche, la quale, insorgendo dall’equivalenza ed omogeneità delle due note, vede il generico sostituirsi indifferentemente allo specifico e lo specifico al generico a seconda del mutato punto di vista, essendo specifico e generico, cioé essenza ed essenziale, e quindi funzione di causa e funzione di effetto, non un effettuale ontologico assoluto ma un relativo gnoseologico - ad esempio in un concetto matematico A, sia questo il concetto del rapporto tra l’angolo alla base di un triangolo e l’angolo adiacente all’angolo al vertice e avente a suo lato uno dei lati del primo, le cui note siano B e C, siano queste

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i concetti di alterno-internità e di eguaglianza dei due angoli suddetti in quanto rapportati l’uno all’altro, la dialettica dal generico allo specifico, da B a C, è ragione della dialettica per conversione dall’effetto alla causa, da C a B, in A in quanto pensato, mentre sul piano dell’ontologico la conversione ha la sua ragione nell’equivalenza di B e di C, per la quale si che (B > C) = (C > B); il fatto che nell’ontologico A sia la dialettica dal generico B allo specifico C a porre la dialettica dallo specifico, come effetto, C al generico, come causa, C, non è un assoluto ontico, ma un soggettivo, relativo al punto di vista in cui si è posto il soggetto pensante nel concepire i due angoli il cui rapporto è il concetto A; gli stessi angoli pensati nel medesimo rapporto guardato da altro punto di vista, cioé nel concetto D, come concetto del rapporto dei due angoli stessi ma in quanto supplementari di un terzo unico ed immutabile, vede la dialettica esistenziale operarsi da C a B e da questa inferirsi la dialettica funzionale da B a C, per nessun’altra ragione assoluta se non quella dell’identità delle due dialettiche, e per la mera ragione di fatto del mutato punto di vista soggettivo -. Si dia ora il caso opposto che le due note del generico e dello specifico siano assolutamente eterogenee, quali debbono essere in una specie infima che sia nozione intellettiva di un fenomenico non matematico; se il pensiero si chiude in se stesso, data la simultaneità in cui si danno tutte le note denotanti la specie infima in quanto pensata, converte con assoluta tranquillità la dialettica esistenziale nella dialettica funzionale; ma non appena sostituisce alle note gli ontologici, ossia non appena predica alle note non più il concetto di intelligibili ma quello di equivalenti di ontologici ossia di “supposizioni” di ontologici, dal mero punto di vista formale gode di altrettanta tranquillità perché è evidente che se l’ontologico in quanto generico pone con la sua esistenza necessariamente l’esistenza dell’ontologico che è specifico, questo dovrà essere denotato dalla nota dell’effetto che consente la transizione al generico pure necessariamente denotato dalla nota della causatività; ma la stessa transizione da dialettica esistenziale tra ontologici a dialettica funzionale tra ontologici pel medio della loro analisi, perde di legittimità sul piano della connotazione materiale, in quanto entro questa dovrebbe darsi una rapportazione necessaria da un lato fra il complesso della connotazione materiale del generico e la nota della sua causatività rispetto allo specifico e dall’altro fra il complesso della connotazione materiale dello specifico

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la nota della sua funzione di effetto rispetto al generico, rapportazione che l’eterogeneità assoluta delle due connotazioni materiali non pone: essendo generico e specifico due eterogenei assoluti, nessun rapporto di necessità si tra essi, tranne quello esistenziale, il quale però può darsi per il pensiero, pel quale la simultaneità dei pensati e la loro dipendenza da essenziale ad essenza sono ragioni sufficienti per una causalità esistenziale, ma non per un ontologico, sia pur pensato da un pensiero ma pur sempre pensato da un pensiero che se lo rappresenta in sé e per sé; per siffatto ontologico infatti la simultaneità in primo luogo non è dato universale, in quanto si verifica per una sola sfera dell’ontico e precisamente quella dell’ontologico simmetrico della specie infima, in secondo luogo non è dato reale, in quanto in quella sfera dell’ontico che è il fenomenico, la cui ontità è garantita dal rapporto di subordinazione necessaria che lega la specie infima alla sussunta intuizione percettiva, che riproduce tutti i rapporti di subordinazione tra intelligibili e che è ineliminabile pena l’ignoranza dell’intelligibile stesso e quindi della stessa specie, la successione dello specifico al generico non è né acronica come nell’intelligibile, né per compresenza sincronica come nel pensato. E allora delle due l’una, o si pone un’assoluta eterogeneità tra fenomenico ed ontologico, con la conseguenza che, essendo dei due solo il fenomenico ciò cui si può predicare di diritto l’ontità, l’ontologico cessa di essere un simmetrico del concetto dotato degli stessi diritti di ontità per inferenza dal pensato di cui è ricco il sensoriale - sarà questa in fondo la strada battuta dall’empirismo illuministico, che non è affatto per questo scettica, ma si limita a negare una proporzionalità del tipo fenomenico: ontologico = ontico: ontico, per l’impossibilità di denotare il secondo con la medesima diacronicità del primo e per l’impossibilità di ritrovare nella diacronicità del primo quella convertibilità da dialettica esistenziale a dialettica funzionale che l’acronia del secondo consente, sicché ritiene legittima soltanto la proporzione fenomenico: intelligibile = ontico in sé: ontico per altro e quindi l’equazione (fenomenicoontologico ) = (ontico ≠ non ontico ) -, oppure, per non offendere il postulato-presupposto razionalista che instaura l’equazionalità dell’ontologico col concetto e dell’intelligibile in quanto pensato con l’intelligibile in quanto ontico, si rendono omogenei il fenomenico sensoriale con l’ontologico, estendendo la diacronicità del processo al secondo, e con ciò attribuendo all’ontologico




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