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quel modo della subordinazione causale dell’effetto alla causa che è
proprio del fenomenico e che pare consistere nella successione temporale - si
dirà che siffatta estensione del diacronismo fenomenico all’ontologico s’impone
solo quando si dia di questo interpretazione qualitativa e non quantitativa,
nel senso che un diacronismo ontologico insorge solo quando l’ontologico venga
a coincidere con l’universalizzazione delle qualità sensoriale, e quindi nel
pensiero greco; siffatta estensione non sarebbe affatto necessaria in un
universo ad ontologico di tipo quantitativo matematico, in un universo la cui
razionalità dipenderebbe dall’inserirsi entro le sensazioni di rapporti che
sono relazioni funzionali quantitative, nelle quali non si dà diacronia, ma la
più assoluta delle acronie, avendosi con esse che fare con degli identici che
si pongono in rapporto con identici, sicché da Cartesio in poi si avrebbe avuto
per dir così un errore o di ambiguità o di surrezione nel negare il sensoriale
per affermare l’ontologico o nel togliere ontità a questo per lasciarla solo al
primo, in funzione di un’eterogeneità tra i due che di diritto non avrebbe
dovuto inferirsi dall’essenza quantitata dell’ontologico; ma, a ben guardare,
si vedrà che l’intelligibile a base quantitativa della scienza naturale
matematizzante cristiana, se è vero che astrattamente preso nel suo assoluto ed
atomistico isolamento spoglia se stesso di un rapporto di subordinazione per
causatività che verrebbe a cadere in seno alla sua connotazione, in quanto fra
l’un membro dell’equazione e l’altro corre un rapporto che è acronico non per
simultaneità di conoscenza ma per assoluta identità delle due rispettive
connotazioni, è altrettanto vero che conserva all’intera sfera degli
intelligibili una tonalità che esige la connotazione della subordinazione per
causalità esistenziale ossia per funzionalità esistenziale, e, con, ciò, fonda
la propria legittimità sulla simultaneità della contemplazione del pensiero
intelligente; e ciò per due motivi: in primo luogo la quantificazione secondo
determinazioni di tipo matematico dell’intelligibile non toglie ai vari
intelligibili la necessità di ordinarsi dialetticamente in generi e specie, il
che non significa altro se non che alcuni intelligibili debbono essere pensati
come rapporti equazionali e insieme come specie infime, la cui unità, se non
vuol essere di tipo platonico, e qui non lo può essere in assoluto, deve porsi
come risultato di un vincolo subordinativo tra un rapporto equazionale generico
e un identico rapporto specifico, che veda la propria esistenza apoditticamente
discendere dall’esistenza del primo, sicché essendo i due due eterogenei, dal punto
di vista quantitativo, si riporrà quell’impossibilità sul piano ontologico di
conversione della dialettica funzionale tra i due dalla dialettica
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esistenziale che già aveva conosciuto il pensiero greco con la sua
intelligibilità qualitativa, in secondo luogo, si pone per la razionalità
matematizzante cristiana una aporia che la razionalità qualitativa greca non
aveva conosciuto: ogni intelligibile che sia equazione matematica non è solo
una generica identità di due ontici quantitativamente determinati, ma è anche
una loro rapportazione quantitativa funzionale, nel senso che stabilisce non
già la perenne identità delle due quantità in quanto determinate secondo questa
o quella fra tutte le possibili quantità determinate, ma la loro immutabile identità
quantitativa indipendentemente dalla particolare determinazione che i due
membri possono assumere entro l’infinita gamma delle determinazioni
quantitative possibili, e insieme indipendentemente da una priorità cronologica
di una delle due quantità rispetto all’altro e quindi senza alcun rapporto di
azione dell’una quantità sull’altra, essendo in tal modo eliminato qualunque
intervento causale di tipo qualitativo, ed essendo quindi indifferente che
l’equazione s’instauri tra la quantità determinabile di un certo qualitativo
ontologico e la quantità determinabile di un certo altro qualitativo ontologico
eterogeneo dal precedente; consideriamo ora quel che una siffatta
intelligibilità incontra quando viene a trovarsi di fronte a un fenomenico
sensoriale: in primo luogo, anche qui il generico, ad esempio la legge di
Newton, non è sempre in univoco rapporto con un solo specifico, ad esempio con
la sola prima legge di Keplero, sicché, se è indifferente che si dia o non si
dia una subordinazione causativa univoca entro la percezione intuita, non
altrettanto indifferente è che il rapporto causativo possa instaurarsi sia con
un certo specifico, la legge di cui sopra, sia con un altro specifico, la legge
di attrazione molecolare dei gas, in quanto viene a mancare quell’universalità
di causalità che fa della funzione causativa del generico un denotante
apodittico del generico indipendente dall’eterogeneità tra generico e
specifico, sicché non sarà più lecito passare dalla dialettica esistenziale tra
generico e specifico, in quanto simultaneamente pensati, alla dialettica
funzionale tra specifico, in quanto causa, e generico, in quanto effetto; e già
qui si ripropone per l’ontologico quantitativo la medesima problematica tra
l’acronia dell’ontologico e la diacronia del fenomenico sensoriale che
l’ontologico qualitativo aveva conosciuto; in secondo luogo,
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nel fenomenico la funzionalità tipica del rapporto equazionali tra due
quantità la cui determinazione è indifferente si pone in termini che non
possono ignorare il tempo perché nel fenomenico si verificano mutamenti
quantitativi: e se è vero che dal punto di vista dell’intelligibilità del
fenomenico il mutamento quantitativo non ha alcun peso, in quanto
l’intelligibilità sta appunto in questo che al mutare dell’una quantità
considerata corrisponde il mutare dell’altra quantità considerata
simultaneamente e insieme acronicamente e cioè in indipendenza di una pianta
cronologica dell’un mutamento sull’altro, è altrettanto vero che dal punto di
vista ontico il mutamento quantitativo del fenomenico ha un valore
ineliminabile da un lato perché instaura una priorità cronologica di una delle
due quantità, dall’altro perché siffatta priorità, che è appunto uno dei
fondamentali naturali che permette alla contemplazione intelligibile del
fenomenico di farsi tecnica ossia modificazione del fenomenico stesso, instaura
un rapporto di diacronicità di cui la legge matematica dà l’intelligenza per
ciò che riguarda il rapporto funzionale non per ciò che riguarda il rapporto cronologico;
infatti, è vero che qui, sul piano matematico, qualcosa è mutato dal precedente
piano qualitativo, nel quale l’insorgere con precedenza cronologica in un
ontico significava comparsa apodittica nell’essere di un susseguente che veniva
((??))dal nulla, mentre ora l’esistenza di una modificazione quantitativa si
pone come un antecedente la cui esistenza provoca necessariamente una
susseguente modificazione quantitativa che è non già apparente insorgere dal
nulla ma semplice trasferimento di una quantità da un ontico ad un altro, ma è
altrettanto vero che questo trasferimento, che lascia inalterata la quantità
totale dell’ontico universale, trova nell’antecedente cronologico la ragion
sufficiente dell’esistere dei suoi risultati, non della necessità del
trasferimento: è questa apodittica traslazione che è il reale effetto
dell’ipotetica immanenza dell’ontico ontologico nell’ontico fenomenico che è
venire dal nulla e che è il vero effetto dell’ontologico; sicché la legge o
concetto naturale in quanto rapporto equazionale e funzionale è solo un aspetto
dell’intero intelligibile ontologico il quale di fatto è da pensarsi come una
certa quantità al cui variare corrispondono necessariamente una variazione
proporzionale in un’altra quantità e contemporaneamente un trasferimento da un
ontico a un altro della quantità che
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viene ad aggiungersi alla quantità in dipendenza funzionale; chiedo
perdono se per semplificare l’intero discorso ho ridotto l’intelligibile
quantitativo in generale a un rapporto funzionale di proporzionalità diretta
fra due quantità e ho considerato di siffatto intelligibile solo la variazione
quantitativa crescente; è logico allora che a chi confronti l’ontico ontologico
e l’ontico fenomenico appaia evidente, anche nel caso della quantificazione
dell’ontologico e della sua riduzione al rapporto equazionale, la disparità che
li divide, dandosi nel primo la conversione legittima tra la dialettica
esistenziale e la dialettica funzionale o sulla base della acronicità del
generico o dello specifico a ragione della indeterminatezza della loro
connotazione quantitativa o sulla base della simultaneità, ancora acronica, tra
i due, in quanto l’una equazione e l’altro trasferimento di quantità; non
essendo invece nel secondo legittima la conversione in quanto nessuna necessità
lega la connotazione dell’effetto che è il trasferimento di quantità alla
connotazione della causa che è un certo rapporto tra due quantità; i due sono
eterogenei; e allora delle due l’una o si lasciano eterogenei e allora la
deficiente apoditticità del rapporto tra effetto e causa trascina seco o
l’ontità dell’ontologico e l’irrealtà del fenomenico, o l’ontità del fenomenico
e la costante ipoteticità dell’ontologico oppure si rendono omogenei e allora
bisogna che quel trasferimento di quantità non venga dal nulla, ma da qualcosa
che esiste e su cui l’ontologico può agire necessariamente, riaprendosi quella
strada alla potenza che la scienza cristiana aveva trovato inutile; la reale
differenza fra l’aporia in cui viene a trovarsi l’intelligibilità a tono
matematico e l’aporia in cui viene ((venne??)) a trovarsi l’intelligibilità a
base qualitativa non sta quindi nella superabilità della prima e
nell’insuperabilità della seconda, bensì nel fatto che la prima ricorre per la
propria soluzione alla modalità contraria a quella cui ricorre la seconda per
dare a sé una soluzione; ma l’aporia è identica per entrambe le intelligibilità
che poi i filosofi dell’illuminismo cartesiano ed empirista e kantiano non
abbiano ben tenuto presente la netta distinzione tra intelligibile qualitativo
ed intelligibile quantitativo, parlando ad esempio di una causalità di modalità
aristotelica, che nulla ha che fare con la simultaneità del rapporto funzionale
quantitativo o con la diacronia tra un mutamento di una quantità e il
trasferimento apodittico di un’altra quantità, questo è certo; ma dovrebbe
trattarsi in un discorso ad orientamento storico, che qui non ci riguarda -.
Dunque, il presupposto razionalista impone a un aristotelismo di omogeneizzare
fenomenico ed ontologico e di estendere a questo la diacronia, che nulla è di
altro se non una subordinazione causale che è insieme
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