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l’eterogeneità diminuisce fino a scomparire del tutto, ma insieme
scompaiono zone sempre più estese di razionalità che svaniscono nel nulla se si
tien d’occhio la gerarchia degli intelligibili spontanei o nell’indeterminato
se ci si rifà alla gerarchia intelligibile fattizia; e allora, se è vero che
vanificano proprio le eterogeneità tra nozione e nozione sì che divien sempre
più lecito sussumere sotto un genere un numero sempre maggiore di intelligibili
subordinati che diverranno sempre più predicabili in totalità che siffatto
genere e relazionabili l’uno all’altro dal punto di vista del medesimo genere,
è altrettanto vero che siffatta relazione è, a riguardarla sia dalla situazione
del pensiero che dallo stato dell’ontologico, in ((un??)) immiserimento di
essere, di ontità, il quale elide la negazione entro i limiti della sua
depressione intelligibile ed ontologica, ma le impone di rivivere a mano a mano
che tende a riempirsi del normale grado di pressione intelligibile ed
ontologica. E’ lecito parlare di due tipi di razionalità, una razionalità pura
o matematica, la cui legge è che il tutto del razionale è nel tutto razionale,
e per la quale è razionale solo ciò che ha in sé tutta la razionalità che si dà
nell’universo: in siffatto tipo la negazione è un relativo e un fenomenico, il
principio di contraddizione una legge contingente, il principio di identità
l’unico assoluto reale; una razionalità fenomenica e biologica, la cui legge è
che il tutto del razionale è nel tutto reale e che razionale e reale non sono
convertibili, onde si avrà diritto di parlare di una totalità di razionalità
solo se il reale la verifica in sé: per questo tipo la negazione è un assoluto
e un ontico, il principio di identità un contingente, il principio di
contraddizione l’unico assoluto reale. La razionalità fenomenica, che è di un
aristotelismo, ha il merito di ridurre al minimo livello, possibile per un
pensiero di situazione umana, la polarità e l’antinomia tra intelligibile e
sensibile, tra ontologico e fenomenico; infatti, integra nell’intelligibilità
scalare il fenomenico e il sensibile come le infime specie di fatto, o con
l’ipotesi di un’ontità indeterminata e impensabile, o col principio del ”così
deve essere perché è così, e, con ciò, incappa nell’unica aporia - s’intende
unica, quando non si considerino quelle che son conseguenza o di quell’ipotesi
o di questo principio - di una binomia di intelligibilità, essendo una la legge
che determina il rapporto tra il livello delle specie infime di fatto, ossia
delle intuizioni percettive, e il livello dei generi immediatamente
sovraordinati, che son poi le specie infime di diritto, e altra la legge che
determina i rapporti fra tutti i restanti livelli l’uno all’altro sovraordinati
-una volta che la razionalità fenomenica abbia fatto suo, come
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modo determinato del principio di ragione in genere, il criterio di
legittimare un pensato e quindi un ontico in forza della necessaria sua
subordinazione esistenziale ad un altro pensato, o rispettivamente ontico,
distinto per eterogeneità qualitativa, e una volta che si sia dato, come
corollari strumentali per l’applicazione del criterio, i modi generali per
definire tra due eterogenei il
sovraordinato e il subordinato nell’esistenza, il canone di intelligibilità
appare valido pei rapporti tra genere e specie, tra generico e specifico, tra
intuizione sensoriale ed intuizione sensoriale, tra intuizione percettiva ed
intuizione percettiva; la sua validità però non risulta quando i termini cui
dovrebbe essere applicato sono da un lato la specie infima di diritto, ossia
l’intelligibile che è specie assoluta e a cui corrisponde l’ontologico che ha
un grado zero di indeterminatezza, dall’altro la specie infima di fatto, che è
l’intuizione percettiva, cui corrisponde un ontologico a grado di
indeterminatezza variabile in funzione del tempo; il fatto che la specie infima
di fatto e quella di diritto siano due omogenei vieta l’applicazione del canone,
e impone l’adozione del canone platonico dell’intelligibilità per identità
matematica; si ha dunque un’antinomia in seno alla gerarchia degli
intelligibili a modalità aristotelica, antinomia che prende corpo nel diritto
che ha il pensiero di operare una dialettica come transizione da eterogeneo ad
eterogeneo quando trapassa da un genere in generale a una specie in generale,
ad eccezione dei passaggi dal genere, costituito dall’intelligibile infimo,
alla specie che è sensoriale, ove la dialettica è a transizione da omogeneo ad
omogeneo -. Ma, a ben guardare, dell’aporia, che abbiam visto essere di natura
antinomica è già preda il criterio fondamentale di intelligibilità, pel quale
il diritto per il pensiero di condizione umana a spostarsi da un genere a una
specie ha a suoi principi la transitività per identità ed omogeneità dal genere
al generico della specie e la transitività per disuguaglianza ed eterogeneità
dal genere allo specifico della specie: sarebbe qui il caso di decidere se
l’antinomia sia da inferirsi dall’aristotelismo e dalle sue condizioni, oppure
dal fenomenico e dalle sue condizioni, oppure dalla razionalità di condizione
umana e dalle sue leggi, sarebbe cioè opportuno esaminare se per caso non ci
sia una contraddizione tra le due leggi supreme del razionale, il principio di
identità e il principio di ragione, nel qual caso esse dovrebbero essere
innatamente eterogenee e insieme equipollenti ragioni della razionalità, ossia
dell’universalità e necessità che, attributi di un pensato, lo legittimano come
intelligibile, oppure se ai principi di identità e di ragione non possa essere
predicata apriori
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equipollenza nei confronti dell’intelligibilità per universalità e
necessità, ma semplicemente una eterogeneità formale-funzionale, destinata da
un lato a strutturarsi in un rapporto di subordinazione reciproca che fa
dell’uno o dell’altro, indifferentemente, un genere o una specie, quando si
rifiuti al fenomenico un qualsivoglia diritto ad entrare nella zona razionale,
dall’altra a prender corpo in una forza determinatrice del tutto equipollente e
quindi a definirsi in eterogeneità materiale e di contenuto quando si
allarghino i limiti del razionale fino a comprendere il fenomenico.
Riprenderemo la questione che solo per la tangente investe il nostro attuale
problema della negazione quando indagheremo i diritti del pensiero umano a una
quantificazione totale o parziale del principio ontico. Per quel che qui ci
interessa, messa da parte l’aporia di una razionalità fenomenica ed anche
quelle di una razionalità matematica, si può concludere circa i rapporti tra
aristotelismo e platonismo da un lato e negazione dall’altro.
Un aristotelismo ha che fare con due ontici, la gerarchia degli
intelligibili in quanto meri pensati, la gerarchia degli intelligibili in
quanto equivalenti ad ontologici; se negazione è assenza di diritto a sussumere
un intelligibile sotto un altro sovraordinato e insieme a ridurre a equivalenza
il rapporto tra due intelligibili che siano sussunti sotto un medesimo intelligibile
a un livello di sovraordinazione identico per entrambi - è questa la
determinazione con cui in un razionalismo in genere dev’essere pensata la
negazione in generale come generica assenza nella connotazione di un fenomenico
pensato di un altro fenomenico che sia componente costitutiva di tale
connotazione -, un aristotelismo avrebbe il diritto di estendere la negazione a
tutti i possibili rapporti tra pensati che non siano rapporti di sussunzione
tra una specie e un suo genere o che siano rapporti di equivalenza tra specie
cogeneri, e di elidere la negazione da tutti i rapporti che siano di
sussunzione tra un pensato in genere e la categoria suprema dell’ordine
intelligibile, solo alla condizione o di tener sott’occhio la prima delle due
gerarchie o di ignorare nella seconda il nesso qualitativo che vincola il
generico determinato allo specifico indeterminato a tutti i livelli di
intelligibilità in cui si dia del generico privato di tutte le possibili
specificità della determinatezza od esistenza cui può essere causa; così
Aristotele, che o prende in considerazione solo la gerarchia degli
intelligibili in quanto pensati o si rifa alla gerarchia degli intelligibili
rappresentanti gli ontologici senza trarre tutte le conseguenze che derivano
dal rapportare un attuale determinato alla potenza che gli si connette, finisce
con l’universalizzare la negazione, pei due motivi a) che il suo ontico per
eccellenza
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è il fenomenico dove non si dà nessuna contraddittorietà con
l’ontologico ed entro cui l’indeterminato è una pura questione di tempo o di
cause impedienti, ossia di fattori contingenti, kata sumbebekwV (kata sumbebêkôs), dai quali, a parte
l’inintelligibilità della contingenza e del sumbebekòV (kata sumbebêkos), , l’ontologico e
l’intellegibile non ricevono nessuna corrosione o modificazione, b) che la
sussunzione di una qualsivoglia specie sotto la categoria suprema non ha alcun
valore gnoseologico effettivo; quindi, per ciò che riguarda il fenomenico,
poiché questo è giustapposizione di tanti enti che son tutti specie infime cogeneri,
ogni ente sarà la negazione di tutti fuor che di se stesso e sarà da tutti
negato fuor che da se stesso; per quel che riguarda la sussunzione di cui si
parla in b), essa null’altro fa conoscere che l’identità di tutto l’ontico a
livello però della sua minima determinatezza e della sua massima
indeterminatezza, e quindi elimina sì la negazione ma solo limitatamente a
quell’ essenza che in nessun ontico può mancare pena la vanificazione
dell’ontico stesso: per Aristotele, la negazione è un illegittimo fin che si
tien conto dell’ontico in quanto ontico in generale, e di diritto, ma diviene
un ineliminabile non appena si prende l’ontico per quel che è cioè un
particolare di fatto - di tutti gli ontici si può dire che sono essere e di due
ontici presi a caso si può dire che sono equivalenti in quanto essenti, sicché
Socrate, Platone, Maria, il vertebrato, il pesce, il mammifero, l’albero, il
giallo, il suono, l’odoroso, ecc. sono tutti essere e insieme equivalenti come
essenti, in siffatti vincoli predicativi la negazione non può comparire, ma
insieme la loro coatta affermatività null’altro significa che se li si negasse
relativamente al predicato, si getterebbe il loro soggetto fuor dal pensiero e
insieme dall’ontico in una zona dove affermazione e negazione non hanno né
esistenza né distinzione; l’originaria universale affermazione di essere vede
il suo attributo di esenzione da negazione farsi equivalente della condizione
generale in cui un ontico in genere è sottoposto di essere nel pensiero o
nell’ontità per porsi a conosciuto o ad ontico e come tale per farsi soggetto
di una qualsivoglia altra conoscenza o rapportazione ontologica che può essere
anche di valore negativo -. Ma quando si riconduca un aristotelismo ai suoi
principi, quando ci si renda conto che tra questi sta anche quello di una
connessione qualitativa che connette necessariamente tutti gli eterogenei,
allora l’universalità della negazione vacilla e la negazione ridiviene quel
relativo che è in un platonismo; infatti, un tale
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