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nesso qualitativo dev’essere pensato come un reticolato in cui ogni
eterogeneo solo se astrattamente considerato può essere affermato tale, ma
dev’essere ricondotto a tutti gli altri per sotterranei vincoli quando lo si
consideri immerso nell’universale relazionalità qualitativa; per siffatta
condizione la categoria suprema dell’essere si manifesta come l’unità di tutti
gli intelligibili che in essa non si unificano per identificazione omogenea, e
neppure per subordinazione a causalità esistenziale o funzionale, ma per una
ignota equivalenza che consente all’essere di trascorrere da intelligibile ad
intelligibile realizzandoli tutti, non già perché tutti vengano all’esistere
non appena toccati o determinati dall’essere, bensì perché in tutti deve darsi
un qualcosa di qualitativo comune ed identico che impone alla dialettica di
restare transizione da eterogeneo ad eterogeneo nel suo aspetto epidermico o di
farsi passaggio da omogeneo ad omogeneo nel suo essenziale profondo - l’essere
trapassa dal sostanziale al sostanziale vivente, di qui al sostanziale vivente
animale, da questo al sostanziale vivente animale vertebrato ecc., perché nel
sostanziale nel vivente nell’animale nel vertebrato c’è una omogeneità che ha a
suo principio una partecipazione di tutti a un comune qualitativo e non la mera
identità di tutto limitatamente all’identico generico che si ripete immutato in
tutti: se così si deve intelligere l’ontologico nella gerarchia concettuale
simmetrica dell’ontologico, anche nell’aristotelismo in generale la negazione
si fa un relativo al pensiero di condizione umana, allo stesso modo che nel
platonismo e, come in questo, resta valida per la gerarchia degli intelligibili
in quanto pensati, per la gerarchia primaria ed originale. E allora poiché
tutte le interpretazioni dell’universo sono modi dell’aristotelismo o del
platonismo, per tutti i concetti deve presupporsi un’unità che impedisce la
negazione come fatto legittimo e relega la negazione al livello del fenomenico:
e la nostra posizione che pretende di sostenere la negazione e di attribuirle
un valore ignora l’effettiva unità dei concetti e si ostina ad estendere
indebitamente un fatto valido nel fenomenico a tutto il reale, scatenando in
tal modo una contraddizione tra le condizioni che consentono la negazione e le
condizioni effettuali del reale che espellono la negazione.
Ma noi crediamo che valga la pena di riprendere ad esaminare sia un
aristotelismo che un platonismo, in quel che hanno di precipuo e di
individuante, precisamente nella gerarchia scalare del primo, affetta da
potenzialità o indeterminatezza e insieme autonoma e irrelata con la struttura
intelligibile di fatto pensata dal pensiero, nel binomio di strutture
intelligibili del secondo, affette da perenne rinvio
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reciproco e costituenti, sia pure nella loro complementarità,
l’immagine riflessa dell’ontologico. Si tratta di vedere quanta effettiva
intelligibilità offra il moto pendolare che in un platonismo darebbe
completezza alla coppia di strutture scalari: se dall’unità monadica propria di
un livello dell’ordine rappresentazione dell’ontologico l’attenzione del
pensiero si trasporta alla molteplicità eterogenea vincolata per mera
suturazione del livello simmetrico dell’opposto ordine, la simmetria che è
segno di identità impone l’equazione tra l’unità monadica e semplice e la
suturazione dei molteplici; se da un livello dell’ordine degli intelligibili in
quanto meri pensati e, come tali,
rappresentati per la giustapposizione addizionale di tutti gli eterogenei
subordinati, la medesima attenzione
rimbalza al simmetrico livello dell’ordine opposto, quell’indice
d’identità che è la simmetria impone al pensiero una identica equazione a
termini scambiati, dandosi tuttavia ancora l’identità di un molteplice di
eterogenei suturati con una identità monadica; ma le due equazioni, da
ricondursi per i presupposti matematici da cui son nate le numerose operazioni
dialettiche che in esse si son concluse, non sono sussumibili sotto il
principio formale dell’equazione matematica, e con ciò sono inintelligibili: in
parole più semplici, che quella pluralità di qualitativi eterogenei che è un
genere riesca ad essere pensata come un’unità semplice ed indifferenziata non
appare al pensiero cosa fattibile, e neppure il pensiero riesce a
rappresentarsi un uno semplice ed indifferenziato come un qualitativo e tanto
meno come un qualitativo ricco di eterogeneità; l’unico monadico che il
pensiero riesce a pensare cioè l’essere in quanto mero esistere è anche di
fatto l’unica nozione irriducibile alla categoria della qualità, l’unica
nozione inqualificabile, mentre invece dovrebbe essere la più ricca di qualità;
d’altra parte lo stesso concetto di essere -esserci deve essere pensata come
l’intelligibile pervaso da tutti i possibili modi qualitativi, al che il
pensiero non arriva se non elencando come addendi entro di esso tutti quei tali
modi qualitativi e, con ciò, riducendo l’uno per eccellenza al più pluralizzato
di tutti i molteplici pensabili. In un platonismo, di fatto il pensiero resta
escluso o dall’unità se persegue la cognizione qualitativa o dalla qualità se
tende a realizzare l’ideale intelligibile dell’unità; ma poiché non si dà
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conoscenza senza qualità, il pensiero deve rinunciare all’unità o
ridurre questa a un substrato la cui esistenza è da postularsi, la cui modalità
è da affermarsi inattingibile; perciò, lo stato in cui un pensiero di
condizione umana deve porsi quando voglia tentare di costruire dentro di sé una
rappresentazione del mondo di tipo platonico, è per tale pensiero un
contraddittorio e un assurdo impensabile, quello appunto di porre un postulato
senza determinarlo, o meglio di erigere a postulato una proposizione matematica
i cui concetti devono ricevere una denotazione matematica e insieme devono
essere pensati come contrari a qualsiasi denotazione matematica - il postulato
potrebbe suonare così: nella qualità ontologica o intellegibile il molteplice è
tale da essere irriducibile ad un’unità numerica in generale ed esiste in
quanto sempre riduce se stesso all’unità numerica per eccellenza -. Tutto ciò
null’altro significa che il pensiero di condizione umana o riconosce a se
stesso l’impossiblità di trattare i suoi concetti come degli enti matematici o
piuttosto numerici e li lascia nella dispersione inaritmetica della loro
insuperabile eterogeneità, limitando siffatta dispersione a tutto il territorio
di intelligibilità che si stende fuori dei confini entro cui l’aritmetica si
applica di diritto, confini che null’altro circoscrivono se non quell’uno che è
tale pei suoi diritti matematici di assoluta identità con se stesso e che viene
a coincidere con ciò che di identico si dà in tutti gli intelligibili; in
questo caso enuncia un mero ideale che tradotto in atto trasforma il conosciuto
razionale da intelligibile in inintelligibile o in assurdo; nel primo caso
lascia le cose per dir così come si danno nel suo stato diciamo così fenomenico
e si dà il permesso di capire e conoscere qualcosa delle cose; ora, se è vero
che con l’abbattimento dei confini separatori di una sfera di intelligibile dal
resto si elide la negazione, è altrettanto vero che l’elisione ha a suo
fondamento o un’inintelligibilità o un assurdo, e, se è vero che con la
conservazione delle paratie stagne dividenti l’eterogeneo dall’omogeneo la
negazione diviene un ineluttabile fenomenico, è altrettanto vero che la
fenomenicità di questo ineluttabile ha a suo fondamento ragioni pensabili di
diritto e di fatto; il che null’altro significa che anche un platonismo
riconduce il pensiero a quella disorganicità fenomenica dei concetti che è
principio della negazione. Anche la struttura che Hegel dà sulla scorta dei
principi
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dell’intelligibilità platonica alle nozioni interpretative delle cose
non va esente dallo stesso difetto ((Nota a matita dell’autore: “qui nota su
Hegel”))
Anche partendo dal punto di vista di un aristotelismo la situazione non
cambia, e resta la medesima inintelligibilità dell’unità di tutti gli
intellegibili. L’ordine fattizio, che si è inferito dal sistema degli
intelligibili pensati sulla scorta del principio della razionalità dell’ontico
e in vista dell’eliminazione dal sistema del pensato delle insufficienze a
rappresentare l’ontico in quanto razionale, pone, come in sostanza si è già
detto, un indeterminato che è assoluto per definizione, ma che deve porsi come
percorso da correnti di intelligibilità e di determinatezza se si vuol rendere
intelligibile l’azione dell’atto sul potenziale, sia l’atto il generico o la
specie; con la conseguenza che più che di un’indeterminatezza assoluta si
dovrebbe parlare di una contingenza nella successione delle determinazioni
reciprocamente subordinate, contingenza che sarà o dallo specifico al generico
nel caso che la priorità dell’antecedente determinato e determinatore sia dalla
specie al genere - in questo caso una nota specifica troverà la contingenza di
una sua azione determinatrice sul generico, che potrà ad esempio essere o il
mammifero o il linguaggio o il pensiero, ecc. nei rapporti con lo specifico
della razionalità - o dal generico allo specifico nel caso contrario - qui un
generico già determinato verrà a trovarsi in una situazione di contingenza
quando dovrà trarre alla determinatezza il suo significante che potrebbe essere
l’eguaglianza dei lati, un certo numero di lati, una certa legge di rapporto
tra un lato e gli altri, ecc. in rapporto, ad esempio, del generico della
poligonalità di una figura piana -; non è sufficiente postulare una pluralità
di canali o correnti lungo cui possa salire o scendere l’azione determinatrice:
occorre anche disegnare tali direttive non secondo un rapporto di parallelismo,
ma secondo un sistema di segmenti a raggera, ciascuno dei quali trova al capo
terminale un ulteriore raggera i cui segmenti sfociano ognuno in un altro ventaglio
di direttive e così via; sicché il sistema dei concetti che siano
rappresentazione di ontologici e che con ciò vengano pensati come denotati da
una certa zona di potenza, guardato dal punto di vista della sua
indeterminatezza complessiva, si presenta con gli stessi intelligibili che lo
compongono, ridotti però tutti a una sola nota denotante e insieme collegati da
condotti ciascuno dei quali s’apre entro un genere e fuoriesce da questo in
tanti condotti divaricati e portanti ognuno entro uno degli specifici che si
subordinano esistenzialmente al genere; ora, siffatta teoria non tollera
l’eterogeneità qualitativa dei generici e degli specifici, e impone di supporre
al di sotto di tutti un substrato connettivo
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