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pel semplice fatto che gli attributi di esistenza e di complessità con
cui A si arricchisce nel momento stesso in cui si pone come soggetto traggono
seco la conseguenza di una esistenza di quanto è ignorato di A, ossia di tutte
le note di A altre da B le quali per ciò stesso si pongono come simultanee e
coesistenti con B; il fatto poi che siffatta simultaneità abbia a ragion
sufficiente della sua intelligibilità non tanto la nota di totalità complessa
di A, perché da ciò scaturirebbe un circolo vizioso che precluderebbe validità
e verità al giudizio stesso, quanto rapporti di ragione che son altri da quelli
propri della simultaneità spaziale come quelli che coincidono con una
dipendenza logica e non con una dipendenza cronologica o un’interdipendenza
geometrica, non esclude l’orientamento spaziale, ossia la tendenza a
interpretare la simultaneità ideale in termini di simultaneità fenomenica
esterna, da siffatta posizione del pensiero accompagnantesi alla posizione di
un qualunque giudizio: infatti, solo il ritenere che C D E...N, denotanti, in
unità con B, il soggetto A, continuino ad esistere anche quando non sono
conosciute in A o perché buttate fuori dalla zona di attenzione che il pensiero
ha creato in A o perché debbono restare sconosciute come quelle che in nessun
modo possono essere predicate di A in quanto estromesse dall’attenzione e dalla
rappresentabilità di A, consente il giudizio A è B equivalente al giudizio che
A sta a B come un tutto sta alla sua parte, e tale modo di guardare ad A come a
un tutto che si riduce a B per il pensiero ma non per sé è perfettamente
simmetrico del modo con cui vien pensato il mondo esterno che per me si riduce
di fatto in questo momento a un certo numero di intuizioni pensate simultanee
ad altre intuizioni non date o a me o ad altri o addirittura a nessun pensiero
pensante; vi è in questo modo di spazializzare il pensato in genere e in
particolare l’ideale ampia materia di indagine, perché se da un lato i
particolari rapporti di ragione che garantiscono la simultaneità di diritto e
la contrappongono alla simultaneità di fatto consentono la riduzione delle
specie ai generi e quindi quell’unico modo di partizione analitica che il
fenomenico onticamente spaziale non consente, e se, da un lato ancora, siffatti
rapporti di ragione non si vede come possano a loro volta trovare a loro
ragione qualcosa d’altro dai rapporti di ragione che fondano la simultaneità
dello spaziale vero e proprio, dall’altro esso modo di spazializzare lo psichico
irriducibile a una simultaneità determinatamente spaziale potrebbe essere il
fondamento di certi concetti interpretativi dello psichico, quali l’inconscio
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leibniziano o freudiano che ha a sua ragione l’estensione alla
spazializzazione parziale dell’ideale la spazialità assoluta del fenomenico
esterno; ma qui il discorso deve fermarsi -. Comunque, la coesistenza a
tendenza spaziale e la coesistenza spaziale propriamente detta non esauriscono
la connotazione di quella simultaneità di ontici cui, limitatamente
all’esigenza di rendere intelligibile la negazione come mero fenomeno, abbiamo
ridotto il tempo; la coesistenza non è che un modo della simultaneità, essendo
l’altro modo essenziale quello dell’eterogeneità, sicché risulta che due enti
sono simultanei quando risultano differenti per una eterogeneità sussumibile
sotto una qualsiasi delle categorie del fenomenico, e insieme quando son
pensati tali che al pensiero sia lecito o rappresentarseli entrambi secondo
siffatto rapporto di eterogeneità o rappresentarsene anche uno solo, in quanto
però permanentemente vincolato all’altro dall’immutato rapporto di eterogeneità
con l’altro sotto cui è stato precedentemente conosciuto; la simultaneità
quindi ha a suo genere ossia a sua essenza l’eterogeneità, in quanto
rappresentazione di un qualitativo, semplice o complesso, nel cui rapporto con
un altro è affermata assente la identità assoluta, e ha a sua differenza
specifica, ossia ad essenziale trovante la propria essenzialità nell’essenza
suddetta, la permanenza o continuità dell’eterogeneità; due enti che siano
permanentemente eterogenei, ossia che entrino in un rapporto di eterogeneità
denotato da una delle categorie dell’eterogeneo secondo una denotazione che
resta identica a se stessa, sono simultanei e sono simultanei finché questa
denotazione conserva la propria identità con se stessa; se chiamiamo
coesistenza il permanere dell’attributo di identità con se stessa della
denotazione di eterogeneità, possiamo definire la simultaneità come un’eterogeneità
determinata dalla coesistenza. Dunque non è lecito procedere a un ‘affermazione
di coesistenza se non dopo aver definito una certa eterogeneità, e, poiché,
ogni eterogeneità implica una qualificazione, solo la conoscenza qualitativa di
due ontici può portare alla coesistenza. Nello stato fenomenico in cui viene a
trovarsi per condizione umana il pensiero la simultaneità può determinarsi in
tre modi: semplificata la simultaneità col ricondurla alla permanenza di
un’eterogeneità fra due, e ricondotta tale simultaneità a un ulteriore vincolo
identico o con un terzo ontico o
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con una seconda simultaneità tra due ontici differenti dai primi o con
una simultaneità che si ((sia??)) dia fra due simultaneità altre da quella
originaria, si verifica a) che la simultaneità originaria risulta costante
quando l’eterogeneità fra i due ontici che la costituiscono conserva identica
la propria denotazione formale da parte di una delle categorie dell’eterogeneo
indipendentemente dal venir meno della sua simultaneità con il terzo ontico o
con una delle altre simultaneità considerate, b) che la simultaneità originaria
vien meno per il mutare del primo membro, c) che la simultaneità originaria
scompare per il mutare del secondo membro; nel primo caso i rapporti qualitativi
fondanti la simultaneità garantiscono
la coesistenza in forza di un’immutabilità della connotazione qualitativa di
ciascuno di suoi membri, immutabilità che risulta dall’eterogeneità che
s’instaura tra la simultaneità considerata e le altre simultaneità ad essa
simultaneamente correlate, e che si fonda su quel qualsivoglia fattore che si
assume a ragione del permanere dell’eterogeneità considerata e su quel
qualsivoglia altro fattore che si assume a ragione del mutamento
dell’eterogeneità nelle simultaneità giustapposte: la simultaneità
intelligibile è forse l’unico modo che noi conosciamo di questa simultaneità
del primo tipo, la quale, poiché nel pensiero di condizione umana si accompagna
sempre a simultaneità degli altri due modi, non è dato a noi capire se essa
continuerebbe a sussistere, come simultaneità, anche per un pensiero cui non
fossero presenti gli altri due modi della simultaneità; nel secondo e nel terzo
caso la simultaneità e quindi la coesistenza son soggette alla scomparsa dal pensiero,
nel senso che in tale ((tali??)) caso il pensiero dà a se stesso il diritto di
pensarle e insieme il diritto di non pensarle, facendo coincidere il primo
diritto con la denotazione dell’eterogeneità da parte di una certa categoria
formale dell’eterogeneo in genere, il secondo diritto con la denotazione
dell’eterogeneità da parte di una categoria formale dell’eterogeneo altra dalla
precedente. Poiché siffatta eterogeneità di denotazione dipende dal mutamento
di uno dei membri considerati nel rapporto di eterogeneità, il carattere
fondamentale del fenomenico, precisamente la successione del diverso in genere,
fonda il carattere della simultaneità fenomenica, precisamente la successione
delle simultaneità eterogenee, successione che chiamiamo tempo. Ora, è appunto
il fatto che il mutare
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della simultaneità dipende dal mutare di uno solo dei membri che
consente il senso della successione e insieme che pone la negazione. Stabilito
che i membri rapportati in simultaneità sono sempre nel fenomenico ontici
complessi e compositi, la rapportazione qualitativa di due di essi serve
indirettamente a rilevare quel che nell’uno o nell’altro muta e a dar con ciò
vita alla originaria posizione di un rapporto di inerenza tra l’uno dei due
enti e una delle sue parti, rapporto destinato a ripetersi tante volte quante
sono le parti componenti la totalità dell’ente considerato; se una delle parti
muta, e la simultaneità serve appunto a indicare e confermare il cambiamento,
il rapporto di inerenza che la riguarda viene necessariamente dichiarato di
fatto e non più di diritto e con ciò escluso dalla sfera del pensato legittimo,
con una affermazione di assenza che dà appunto luogo alla negazione. Per questo
nella definizione di negazione abbiamo dovuto introdurre la nota che subordina
e condiziona l’affermazione di assenza alla temporalità della situazione in cui
tale affermazione si pone: infatti, in primo luogo, se si tien conto delle
condizioni fenomeniche del pensare umano, queste risultano caratterizzate dalla
simultaneità e dal mutamento parziale del noto intuito e, di conseguenza, atte
a fondare rapporti di inerenza che da uno stato di fatto e di diritto
trapassano a uno stato di fatto e non di diritto che impone l’esclusione del
rapporto stesso di inerenza, cosicché è lecito affermare che fuori da una
situazione temporale, che ammetta una successione di simultaneità eterogenea,
non potendosi dare se non rapporti di inerenza che sono di fatto e insieme di
diritto non si pongono mutamenti in nessun rapporto di inerenza e quindi non si
verificano negazioni - e si badi che qui ci si attiene strettamente a una pura
descrizione fenomenica e non si pretende affatto di portarsi su un piano
metafisico che presuma di giustificare il mutamento stesso o come dicotomia o come
traslazione dal potenziale all’attuale o come divenire per accidentalità -; in
secondo luogo, onde il pensiero voglia conservare a se stesso il diritto del
negare e le norme che lo condizionano, deve mantenersi entro le condizioni
della sfera del fenomenico, qualunque
poi sia il valore e la portata che esso pretenda di poter attribuire
alla negazione, sia che ne voglia fare un principio di inintelligibilità sia
che voglia assumerla a principio dell’attualità dell’ontico: solo in condizioni
fenomeniche si dà il mutamento e si pone quella simultaneità che è strumento di
rivelazione
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