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del mutamento, e perciò solo in una sfera fenomenica è lecito
attribuire esistenza a un rapporto di inerenza che può essere di fatto e di
diritto e che non è necessariamente di fatto e di diritto insieme; donde il
canone che fissa la prima condizione dell’ontità della negazione in genere: la
negazione è l’effetto di un rapporto di inerenza che accettato di fatto e di
diritto si rivela successivamente tale da porsi di fatto, ma non di diritto e
quindi da dover essere escluso dall’intelligibile; ora, perché una siffatta
norma insorga nel pensiero umano è necessario che lo stato che lo caratterizza
sia tale da offrire rapporti di inerenza mutevoli, che cioè sia fenomenico; o
mutevole in simultaneità, il che poi fa lo stesso; il fenomeno fonda e dà
ragion sufficiente alla facoltà del negare in generale, sia che le sue
caratteristiche di fenomenico abbiano portata oggettiva sia che ne abbiano solo
una soggettiva; o che del fenomenico si faccia rappresentazione di un ontico
simmetrico o che il fenomenico sia assunto come modo confuso o errato del
conoscere umano, è la sua temporalità che pone la possibilità e la legislazione
del negare: e con ciò si spiega come le metafisiche che escludono
dall’intelligibile il fenomenico finiscano per negare la negazione stessa e per
limitarla alla sfera inferiore del conoscere sensoriale, mentre le metafisiche
che in un modo o in un altro estendono l’intelligibile fino ad abbracciare il
fenomenico, o riducendo questo a una struttura tale che ne faccia una
ripetizione dell’intelligibile o assumendo le condizioni essenziali del
fenomenico a categorie formali dell’intelligibile, concludono in una
valutazione positiva della negazione, in una sua universalizzazione, la quale
sarà di carattere negativo, e con ciò destinata ad erigere la negazione a
fattore strumentale del conoscere come quella che inficia la rappresentazione
qualora la pervada e la convalida se ne è esclusa, nel caso che il fenomenico
sia posto in funzione dell’intelligibile, o sarà di carattere positivo, e con
ciò atta a determinare con la sua presenza il valore di realtà dell’ontico, nel
caso inverso che l’intelligibile sia posto in funzione del fenomenico. Dal
fondamento temporale-fenomenico della liceità della negazione deriva appunto la
funzione opposta che un certo gruppo di metafisiche attribuisce al
contraddittorio. Non è nostra intenzione svolgere qui una completa teoria e
fenomenica del contraddittorio; vogliamo rilevare solo come il contraddittorio
e le sue funzioni entro il pensiero di condizione umana e, insieme, la
differente utilità cognitiva attribuita al contraddittorio da metafisiche
eterogenee trovino
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tutti a loro radice e principio la struttura del fenomenico in quanto
condizionato dalla simultaneità e dalla successione di simultaneità eterogenee,
cioé dal tempo. Non si ha fenomenico solamente in quella sfera del pensato in
cui il noto si dia per cognizione intuitiva; e sarebbe discutibile che il
fenomenico coincida con quel noto intuito che è particolare e contingente:
l’ossevazione che ho potuto fare su me stesso quando mi son trovato nella
necessità di definire ad altri e quindi anzitutto a me stesso che cosa sia la
particolarità e di dimostrare ad altri e perciò in primo luogo a me stesso per
quali mai ragioni sufficienti il sensoriale o noto intuito debba essere
sussunto sotto la classe del particolare mi ha fatto conoscere le aporie in cui
tutti i pensieri umani vanno a incappare, compresi i sommi (Russel) quando
affrontino le suddette definizione e dimostrazione: se particolare si deve
definire un ontico la cui esistenza qualificata secondo un certo modo di
esistere è irripetibile, si deve per forza ricorrere da un lato al tempo e allo
spazio, affermando particolare l’ontico che non può presentarsi identico in
nessun’altra situazione di spazio e di tempo e facendone così il contrario
dell’universale che permane identico a se stesso in qualunque situazione
spaziale e temporale, con la conseguenza che il primo è posto come funzione del
secondo, vale a dire come ciò che in dipendenza e subordinatamente a mutamenti
di posizione spaziale o di stato temporale cessa di esistere con la
determinazione qualitativa esistenziale secondo la quale è esistito fino a
quando le determinazioni spaziali e
temporali non han cessato di essere quello che erano, dall’altro alla coscienza
conoscente, affermando che il particolare è l’ontico che è conosciuto secondo
una certa determinazione qualitativa da un certo stato di una certa coscienza e
cessa di essere conosciuto con tale modo qualificativo quando la sua conoscenza
cessi di darsi per quello stato e per quella coscienza, o in altri termini
quando a conoscere in genere siano la coscienza in altro stato o una coscienza
altra dalla prima, mentre l’universale è fatto coincidere con l’ontico conosciuto in una
determinazione qualitativa che permane costantemente identica a se stessa anche
quando a conoscerlo siano o una coscienza altra da quella lo sta conoscendo o
questa stessa coscienza ma in altro
stato, con la conseguenza che da questo secondo punto di vista il particolare
diviene funzione del soggetto conoscente al cui cessare di essere l’individualità
e personalità che è o al cui cessare di essere quel che è stato entro la
medesima individualità e personalità tien dietro per il particolare il cessare
di essere in quel certo modo qualificativo
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in cui fino allora è stato; questa descrizione del particolare che è
privilegiata in quanto tenta di fondare se stessa esclusivamente sul fenomenico
e sulle condizioni di questo, escludendo dalla sua metodica naturalistica
qualunque appello alla metafisica, non può dirsi certo una definizione, ma
piuttosto una denotazione di una certa sfera dell’ontico in quanto intuito ad
opera di una sua struttura relazionale, ad opera cioè di un certo numero di
rapporti in cui il fenomenico viene a trovarsi e sembra non potersi non trovare
quando si ponga come particolare; sicché è logico che se si vuol uscire da
questa insufficiente determinazione del particolare non resta che riferirsi al tempo e allo spazio o al soggetto
conoscente; e qui cominciano a insorgere le difficoltà, in primo luogo perché o
spazio e tempo e soggetto sono assunti essi pure come dei particolari, e allora
risulta abbastanza intelligibile che un principio particolare sussumente sotto
di sé altri enti provochi in questi all’atto stesso della subordinazione una
determinazione di natura identica alla propria - e naturale che un ontico il
quale non possa esistere se non in funzione di un altro, ossia la cui esistenza
ritrovi la propria ragione nell’esistenza di un altro, non possa pretendere a
un modo di esistere eterogeneo dal modo secondo cui quest’ultimo esiste, e
debba partecipare a tale modo allo stesso modo con cui partecipa in genere alla
sua esistenza -, oppure spazio e tempo e soggetto non sono posti come
particolari perché è illecito definirlo tali, e allora le ragioni sufficienti
della particolarità del particolare vanno cercate altrove e precisamente nel
particolare stesso; ma nel primo caso, a parte il fatto che è un po’ difficile
dimostrare in sé la particolarità assoluta dello spazio del tempo del soggetto
conoscente, risulta impossibile descrivere la particolarità in genere perché se si è riusciti a porre il
particolare come ciò che è in subordinazione funzionale dal tempo o dallo
spazio o dal soggetto, non si veda come si possa pensare una particolarità di
un tempo o di uno spazio o di un soggetto che dovrebbero essere tali in
funzione di se stessi, con la conseguenza che delle due l’una o si esclude il
concetto di funzione e allora bisogna rifarsi all’essenza del particolare e
quindi fuoruscire dal metafisico o si tien fermo il concetto di funzione e
allora bisogna ricorrere a un qualche altro condizionatore funzionale che non
sia né tempo né spazio né soggetto, e che io non riesco a vedere quale altra
cosa possa essere se non un altro particolare od ontico qualitativamente
determinato ma secondo i modi della particolarità,
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sicché ci si ritrova al punto di partenza; nel secondo caso, si dà,
almeno per me, l’inintelligibilità di un noto che per esser conosciuto tale da
poter cessare di essere quello che è stato deve essere pensato denotato da un
modo di esistere universale che fa di esso un apoditticamente particolare,
sicché un noto è pensato particolare quando è pensato tale da dover essere
particolare indipendentemente da qualunque modo in cui si ponga la
particolarità; inintelligibilità questa che rimanda alla medesima
inintelligibilità di uno spazio platonico o di una materia aristotelica e che
inferisce se stessa non dall’inintelligibile in genere del particolare ma
dall’inintelligibile determinato e razionale del contraddittorio; d’altra
parte, una seconda difficoltà insorge quando si debba decidere di quale dei due
punti di vista servirsi, se dello spazio-tempo o del soggetto conoscente; e la
cosa non è indifferente perché se, non tenendo presente l’aporia precedente e
operando come se fosse lecito porre il particolare in funzione di un altro
particolare, ci si rifà allo spazio-tempo e dalla particolarità di questo si
inferisce la particolarità di un ontico in genere che si dia nello spazio e nel
tempo, che in fondo è quel che l’empirismo inglese fino a Russel, da un lato si
riesce o sembra che si riesca a fondare la particolarità dell’intuito
sensoriale e l’universalità del soggetto conoscente che diviene un indipendente
dallo spazio e dal tempo come quello che in generale è atto a una certa
conoscenza secondo lo spazio e il tempo e a una certa altra conoscenza che
ignora lo spazio e il tempo, e contemporaneamente dall’altro si rende
inutilizzabile siffatta universalità che dovendo servirsi solo di ontici che
sono per lo spazio e il tempo non è capace di produrre una conoscenza che di
diritto, e non solo di fatto, aspiri ad essere universale; d’altro canto, se
del soggetto conoscente in quanto particolare si fa il condizionatore
funzionale della particolarità dell’intuito sensoriale, da un lato si riesce, è
vero, a fondare la scienza dello spazio e del tempo, ma dall’altra si lascia
inintelligibile non solo un soggetto che per far della scienza dev’essere un
universale universalizzante e per far vivere tale scienza deve dare esistenza a
degli ontici particolari, cosa che è in grado di fare solo se dotato di una
particolarità particolarizzatrice, ma anche il fatto che dei particolari
abbiano il diritto di esistere solo se inquadrati e resi dipendenti funzionali
di un loro contrario, lo spazio-tempo: ed è questa la strada del kantismo; che
sotto questa aporia si celi uno dei limiti del pensiero di condizione umana
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