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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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Prot. 1 - 50

[pag 1 F 1]

Ogni attività umana, non appena si porta al di del disgregato e del ripetuto dettato dall’istinto, muove da un’enunciazione che riguarda il principio di tutte le cose. Tre piani differenti si offrono all’enunciazione metafisica: nel piano dell’implicito l’affermazione è accolta solo indirettamente, nelle

conseguenze che ne derivano, giacendo essa, nella sua purezza e immediatezza di rappresentazione prima, o in una coscienza individuale altra dalla coscienza che la vive nei derivati o nella veste di genere che si è immerso ((immesso??)) nella specie e vi vive sotto le determinazioni che essa stessa genera da sé facendosi da determinante del tutto determinato dal tutto - e nel primo caso, dell’implicitezza relativa, è presente all’umanità se non all’uomo, mentre nel secondo, dell’implicitezza assoluta, resta nascosta sia all’uomo che all’umanità; nel piano dell’esplicito l’affermazione è presente ad almeno ((la)) coscienza individuale come un immediato che, da qualunque processo psicologico sia stato generato, gode di autonomia cognitiva, o, il che è lo stesso, è un dato isolato, una proposizione tra le altre, distinta per le sue funzioni di ragion sufficiente di tutte le altre, ma pur sempre proposizione che non deve essere ricercata, o non deve più essere ricercata, per un’inferenza analitica o sintetica dalle altre - e in siffatta esplicitazione, che non è mai, o almeno non è mai stata dell’uomo, ma solo dell’umanità, la proposizione metafisica è un noto, attuale o possibile, che attende analisi sia nel senso delle determinazioni che ne provengono e che non possono essere state tutte definite, almeno finché la proposizione è un fatto di conoscenza vivificante e non di conoscenza erudita o storica, sia nel senso della sua ragion sufficiente che potrà coincidere con una nozione dalla connotazione totalmente razionale o per tutte le proposizioni metafisiche date o possibili, a condizione di un annullamento della portata che le proposizioni presumono di avere e quindi di tutta la metafisica, o per tutte le proposizioni metafisiche ad eccezione di una per la quale, essendo una componente della sua ragion sufficiente da inferirsi necessariamente dalla proposizione stessa, la ragion sufficiente rientra nelle determinazioni che ritrovano nella proposizione metafisica la loro genesi e vien così assicurata la sua funzione metafisica; nel piano del riflesso, la affermazione metafisica viene

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assunta dal pensiero come un qualsivoglia dei contenuti di coscienza che, in quanto presenti e in atto, possono essere assunti per un’indagine che non tiene conto delle loro presunzioni e pretese come di contenuti veri e validi, ma si limita a descriverli sia nella loro connotazione sia nei rapporti di inferenza che li connettono con ciò che è loro principio e con ciò che è loro conseguenza; sul piano della riflessione l’affermazione metafisica diviene oggetto di conoscenza e cessa di essere fonte di conoscenza di qualcosa d’altro da sé per limitarsi al ruolo di fonte di conoscenza di se stessa - e su questo piano, che presuppone il precedente, la somma di nozioni che scaturiscono dall’analisi potrebbe anche esser chiamata una meta-metafisica se da un lato il termine non offendesse il bisogno di ritrarre anche dalle parole un certo piacere del bello e il principio di semplicità che ripudia i termini tecnici quando non designano enti effettivamente eterogenei dagli altri già noti, dall’altro le nozioni in tal modo acquistate potessero esse stesse esser completamente al di fuori della portata di una proposizione metafisica in generale, cosa che il primo enunciato aprente questo discorso esclude ed esclude a ragione, data la sua natura di conclusione da un discorso precedente che qui ci si limita a lasciar trasparire, e data con ciò la sua esclusione dalla sfera dei pregiudizi, dei presupposti immotivati e passionali, dei postulati, ossia degli apolidi della ragione.

Una serie notevole di enunciati metafisici è oggi data all’umanità e insieme una serie di nozioni che la riflessione ha elaborato indagandoli. E’ possibile riprendere in esame entrambe le serie per vedere se del definitivo è stato raggiunto e quanto di offerto come definitivo sia veramente tale. Che un limite insuperabile sia stato raggiunto nella definizione del principio, o, il che è lo stesso, nel numero delle classi delle proposizioni affermanti qualcosa del principio, è affermazione riflessa solo in apparenza, perché appartiene alle determinazioni che si debbono inferire da una certa affermazione metafisica accettata come fonte unica di conoscenza metafisica; sul piano della riflessione pura nulla lascia pensare che l’umanità si trovi ora a siffatto limite; alla riflessione, dunque, spetta soltanto di

definire le classi delle affermazioni metafisiche in atto, lasciando alla metafisica pura il compito di affermare e di mostrare definito in assoluto il numero di tali classi. Quel che pare assolutamente definito è l’impossibilità

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di ridurre ad unità assoluta, dal punto di vista materiale e non formale s’intende, la totalità delle classi delle affermazioni metafisiche: pare che siano due, sicché due soltanto si può dire siano i modi, le strutture, le connotazioni tra cui ad una qualsiasi affermazione metafisica è stato dato finora scegliere.

A tale conclusione si perviene necessariamente quando si consideri l’unica struttura formale entro cui l’affermazione metafisica in genere deve incastrare i concetti che la costituiscono: se si esclude l’enunciazione che si limita a porre il principio come un esistente - del tipo, ad es., Dio c’è o un principio c’è - perché esso non è una nozione prima se non in apparenza, ponendosi come determinazione di un noto primo che si pone come descrizione del principio ossia come sua analisi, una proposizione è metafisica non solo quando riguarda la prima di tutte la cose, ma quando comprende la quantità massima possibile che il pensiero riconosce lecita e di diritto a se stesso di note che possono e debbon esser pensate come denotanti il principio stesso, e, con ciò, quando si pone come proposizione da cui scaturiscono, più o meno direttamente, tutte le proposizioni che costituiscono la coscienza pensante dell’uomo - il che, nonostante il paradossale e l’assurdo apparente, vale anche per una mente scettica o agnostica, per la quale l’assunzione del primato della ragione, di una proposizione cioè che eleva la struttura formale della ragione a condizione del conoscere in generale e l’accordo di un noto con questa struttura a condizione di validità del noto, non può non trovare a suo principio l’identificazione dell’uomo col conoscere razionale, identità che o è gratuita o rimanda a un ulteriore principio che tocca implicitamente la connotazione della prima fra tutte le cose; una proposizione, allora, è metafisica quando è conoscenza del principio, ossia estende il nostro sapere sulla massima connotazione di ciò che è primo fra tutte le cose, e quando è principio della conoscenza perché si pone come la sorgente di tutte le determinazioni possibili che essa può accogliere e che coincidono con tutte le proposizioni che accettiamo per vere, in quanto queste, qualunque sia il loro contenuto, qualunque sia il soggetto di cui offrono conoscenza, possono vedere la loro portata cognitiva, che il loro contenuto sia veridico e che il soggetto da esse connotato in un certo modo trovi equivalente connotazione nell’ente corrispondente fuor della conoscenza in atto, levarsi oltre il confine di una semplice pretesa,

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alla condizione di essere in congruenza con la proposizione prima, il che equivale a dire alla condizione di essere sue determinazioni. Una proposizione metafisica è conoscenza del principio, ossia sua predicazione o connotazione: essa instaura un rapporto tra il principio in quanto esistente e il principio in quanto esistente e noto e un conoscente in genere, tra il principio in sé e il principio per sé; la sua struttura formale è relazione tra un esistente, ignoto in genere, sia pur se sola presupposizione contingente e relativa alle condizioni umane, e lo stesso esistente in quanto noto a una conoscente in genere che però per l’uomo non può essere se non un conoscente di tipo umano. Con ciò la proposizione metafisica non riceverebbe nella sua struttura formale nessuna luce  particolare oltre quella che le proposizioni, possedendo tutte siffatta struttura come condizione necessaria del loro essere, genericamente ricevono da tale definizione, se il rapporto del predicato al soggetto, proprio di un enunciato metafisico, non fosse di un tipo particolare assolutamente eterogeneo dal rapporto proprio delle altre proposizioni che non siano un primo nell’ordine metafisico. La proposizione, che è affermazione di qualcosa di qualcosa d’altro ed è conoscenza di qualcosa per mezzo di qualcosa d’altro, è strumento che presuppone soltanto il qualcosa d’esistente da conoscere e le varie condizioni per il suo conoscere; se tutta la conoscenza dipende dal principio metafisico che abbiamo assunto e dalla conoscenza che di esso ci siamo dati, si deve muovere dalla proposizione prima che è affermazione di qualcosa del principio ed è conoscenza del principio mediante qualcosa d’altro - il che non è contraddittorio, se il qualcosa assunto come altro dal principio è altro dal principio, non in sé però, bensì per il conoscente che li assume entrambi -; a lato della proposizione prima si hanno in gruppo le restanti proposizioni che assumono ad esistente da conoscere un ente che sarà derivazione dal principio, in uno o altro modo di filiazione a seconda dell’enunciato primo attorno al principio; gli enti derivati saranno o enti fenomenici, ossia intuiti e rappresentati mediante sensazioni, e loro derivati, o enti non fenomenici, ossia non intuibili e non rappresentabili mediante sensazioni; in questo caso essi hanno il medesimo modo di esistere del principio,




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