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che per fare della scienza deve non solo sdoppiare il reale, ma anche
definire i due monconi in modo tale che la definizione dell’uno, il fenomenico,
condiziona la definizione dell’altro, l’intelligibile,-infatti l’intelligibile
pone la sua unità e unicità e la sua immutabilità in funzione della
molteplicità e divenienza del fenomenico, e ((o??)) la particolarità e
contingenza di questo son principi dell’universalità e necessità dell’altro - e
insieme che le due definizioni dipendono dalla necessità di evitare le aporie
insorgenti all’introduzione di concetti cui l’intelligibile e la scienza
debbono pure appellarsi per interpretare il fenomenico - se si pone la sostanza
come fattore e motore di intelligibilità delle cose la contrarietà del
fenomenico e dell’intelligibile si traduce in opposizione di molteplice e
diveniente da un lato e di uno e immutabile dall’altro, ma insieme si pongono
tra l’altro le aporie dell’insolubilità del problema degli universali e
dell’irrealtà della concreta distinzione tra noto, in quanto fenomenico
sensoriale, e noto, in quanto intelligibile ideale; se si pone la funzione come
fattore e motore di intelligibilità i reali si riducono a irrepetibili enti
vincolati da rapporti eternamente ripetuti, e con ciò si identifica la
contrarietà di fenomenico e di intelligibile con l’opposizione di particolare e
contingente da un lato e di universale e necessario dall’altro, ma al tempo
stesso si pongono altre aporie che non son più certo quelle di prima, anche se
il concetto di sostanza solo in apparenza è stato estromesso, e anche se solo
in apparenza il problema degli universali è diventato uno pseudoproblema o
irreale razionale, ma che continuano ad incarnarsi, nell’inconcepibilità di un
irrepetibile che divenga membro vivo e vitale di un ripetuto, e di un ripetuto,
universale e necessario, che per esistere s’appoggi e faccia leva con le sue due
branche su due ontici che nulla hanno che fare tra loro e che non possono
essere pensati eternamente identici a sé e quindi necessari nell’essere e nel
modo di essere, ma mutevoli e divenienti -, che sotto le difficoltà della
definizione del particolare si celino, dunque altre, difficoltà ben più
profonde sarà oggetto del discorso che dovrà essere intrapreso quando si
dovranno considerare le condizioni effettive su cui un pensiero può costruire
una metafisica; qui basti dire che queste difficoltà esistono e che non si
limitano a una descrizione di che cosa debba intendersi in genere per
particolare, ma si fanno ancor più grandi quando si tratti
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di stabilire perché mai gli intuiti sensoriali debbano essere posti
nella classe del particolare ossia dell’irrepetibile transeunte e diveniente.
Di fronte alle sensazioni ci si può accontentare di dichiarare particolari o
dogmaticamente - si può dire che un infinito numero di coscienze in cui insorga
la sensazione di un colore immanente in un’intuizione percettiva vedranno tutte
siffatto colore in modo differente l’una dall’altra - o dialetticamente per una
deduzione dalle conseguenze - si può dimostrare che la sensazione di un colore,
componente parziale di un’intuixione percettiva, si dà in tanti modi differenti
quante sono le coscienze che l’intuiscono, affermando o provando che mai due
coscienze sceglieranno in una tavola in cui si diano loro tutte le sfumature e
tonalità differenti di tutti i colori possibili la medesima tonalità dello
stesso colore come immagine identica all’intuizione colorata che han colto
nella percezione -; ma in tali due modi è presente qualcosa di coatto di
aprioristico di sofistico che non convince, non c’è la dimostrazione che le
sensazioni siano particolari quanto piuttosto c’è l’affermazione che le
sensazioni sono tali perché non possono non essere tali, affermazione che non
convince nessuno neppure chi la
pronuncia; d’altra parte, chi afferma le sensazioni particolari, si trova poi costretto,
se vuole evitare lo scetticismo, a dire che esse in un modo o in un altro hanno
che fare con dell’universale che le ordina in questo o in quel modo, il che non
risulta per nulla intelligibile, a meno di non complicare notevolmente l’intera
descrizione dell’ontico come sintesi di due eterogenei; si può allora tentare
di argomentare la particolarità di alcune intuizioni dalla loro mutevolezza,
inferendo dal fatto che ogni intuizione sensoriale è un ontico che prima di un
certo istante non c’è, ma esiste allo scoccare di quel certo istante, per poi
cessare di esistere in un istante successivo, la conseguenza che più coscienze
poste di fronte in momenti differenti a tale sensazione o una stessa coscienza
che l’intuisca in momenti diversi non possono conoscerla nello stesso modo, il
che è vero solo in parte, in primo luogo perché la dimostrazione nulla ci dice
di quel che avviene in più coscienze che intuiscano tale sensazione nel
medesimo istante, lasciando incerto e inspiegato il fatto della diversità
dell’intuito simultaneo in coscienze diverse che è essenziale per la
particolarità e insieme indeducibile dalla mutevolezza, in secondo luogo
perché, anche ammesso che la particolarità venga inferita totalmente
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dalla mutevolezza, si tratta di dimostrare non solo che certe
intuizioni sono mutevoli, il che è abbastanza facile data l’evidenza della
mutevolezza, dato cioè che, mentre la particolarità non è fatto evidente,
evidente è invece il divenire di una zona del fenomenico, ma anche come mai
questa zona sia mutevole e diveniente e
come possa articolarsi con l’altra sfera del fenomenico che si dà indiveniente,
in terzo luogo perché l’inferenza del particolare dal mutevole non risolve
tutte le difficoltà del particolare, come vedremo fra poco; è possibile,
allora, inferire la particolarità di alcune intuizioni da certi modi propri del
principio della loro esistenza, cioè da certi stati del fattore alla cui
esistenza le intuizioni debbono rifarsi per giustificare la propria: a tal
fine, è lecito muovere dal soggetto e pensare questo come una sorta di ontico
in perpetuo mutamento, entro il quale ogniqualvolta si danno delle
modificazioni, queste, mente sono avvertite come sensazioni e come modi
appartenenti al soggetto stesso, debbono esser affette da una diversità
assoluta e da una irrepetibilità, che non è se non l’effetto dell’indefinita
variazione qualitativa del terreno in cui fioriscono; ma questa dimostrazione,
a parte le difficoltà cui dà luogo, in particolare quella di armonizzare nel
soggetto la zona cognitiva a tapis-roulant e la sfera razionale perennemente
immobile, e l’altra di concepire chiaramente un perenne divenire qualitativo
che conserva immutata l’autocoscienza, se spiega la particolarità degli intuiti
sensoriali entro una medesima coscienza, non giustifica la medesima particolarità
in coscienze diverse colte nel medesimo istante, per le quali l’intuito
sensoriale si fa particolare alla condizione che vengano descritte come dei
mobili qualitativi completamente eterogenei l’uno dall’altro e insieme
limitatamente eterogenei l’uno dall’altro; si può poi pensare di raggiungere
quel medesimo fine di cui sopra inferendo la particolarità dalle variazioni di
relazioni spaziali e temporali tra l’oggetto intuito e altri oggetti
cointuibili, o rifacendosi al rapporto simultaneo e spaziale che insorge tra
più coscienze differenti e un unico oggetto intuito, rapporto la cui
molteplicità trascina seco una molteplicità numericamente eguale dei modi di
intuizione - un oggetto verde sarà intuito secondo tante tonalità quanti sono
gli angoli di visuale sotto cui è riguardato da coscienze diverse occupanti
differenti siti spaziali e aventi quindi differenti angoli, ciascuno dei quali
ha a suo vertice l’oggetto intuito e a suoi lati le semirette muoventi dal
vertice e passanti l’una per uno degli occhi dei veggenti e l’altra per il
centro
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della fonte luminosa - o risalendo alle variazioni di luminosità che si
verificano in funzione o del mutare d’intensità della sorgente luminosa o del
mutare di punto di vista da cui l’oggetto è intuito - il verde dell’oggetto
intuito muta nel tempo di continuo perché nel tempo l’intensità della sorgente
luminosa non permane costante, sicché una coscienza non intuirà mai in momenti
diversi il verde nella stessa tonalità, oppure il medesimo verde dovrà essere
intuito in tante tonalità da tante coscienze diverse in funzione delle
differenti intensità di luce che son tante quanti i punti spaziali occupati
dalle differenti coscienze -; sembra in tal modo che il particolare sia fondato
su condizioni universali e necessarie
del nostro conoscere, costituite dai modi geometrico-spaziali in funzione dei
quali un’intuizione diviene possibile; ora, a parte la critica berkeleyana, la
quale non regge a guardare le cose sin in fondo, questa dimostrazione fonda notevolmente
la particolarità delle intuizioni sensoriali, sia pure soltanto di quelle
esterne, ma, mentre da un lato presuppone un ordinamento universale e
necessario sotteso alla grande sfera del particolare e con ciò si preclude la
liceità di argomentare alcunché dalla particolarità del sensoriale, dall’altro
ignora uno dei principi della particolarità, dal momento che, se è vero che il
particolare può essere pensato in funzione della costanza delle modalità dei
rapporti spaziali-geometrici, è altrettanto vero che tali rapporti giustificano
solo in parte la particolarità, e appunto in ciò in cui questa non è in
funzione del mutamento qualitativo di uno dei termini della relazione
geometrica. Ora, questa catena di aporie diventa in sé intelligibile quando si
tenga presente che la particolarità è di per sé confusa e contraddittoria: se
per particolarità intendiamo l’illiceità di pensare due ontici in un
qualsivoglia grado di omogeneità e quindi l’impensabilità di ritrovare nei due
ontici un qualsivoglia fattore di identità, sicché ciascuno dei due ontici può
entrare in una relazione qualitativa soltanto con se stesso, è difficile se non
impossibile per il pensiero sussumere sotto la classe della particolarità le
intuizioni in generale e in particolare le intuizioni sensoriali, le lockiane
idee semplici, in quanto la predicazione a loro spettante per analisi di
semplicità e la predicazione a loro spettante per formalità di particolarità
appaiono contraddittorie con l’atto di sussunzione, che di fatto il pensiero esercita
su di esse, sotto generi nascenti da un
punto di vista non soltanto formale e funzionale, ma anche qualificativo:
l’intelligibilità delle predicazioni di semplicità, di particolarità, dipende
dal
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