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fatto che ciascuna intuizione analizzata dal punto di vista formale
risulta essenzialmente omogenea in tutte le sue parti e insieme pare offrire la
liceità di essere interpretata come una nozione qualitativamente eterogenea da
qualsivoglia altro noto della stessa classe; e così pure le predicazioni di
suono, gusto, visione, ecc. divengono intelligibili se riferite a un soggetto
che sia un’intuizione giudicata dal punto di vista delle modificazioni che
devono darsi nel pensiero onde l’intuizione risulti possibile; ma le
predicazioni di basso, dolce, rosso, ecc. non ritrovano la loro ragion
sufficiente di fatto e di diritto nell’analisi di un’intuizione che sia
dichiarata semplice o particolare, e d’altra parte di fatto siffatta
predicazione viene utilizzata dal soggetto pensante proprio come mezzo di
comunicazione e indicazione di un certo suo stato intuitivo; il dato intuito
che il pensiero è in grado di procedere per genericità nei confronti del modo
qualitativo di un gruppo di intuizioni sensoriali nega l’assoluta particolarità
di queste e insieme giustifica lo stato di confusione in cui il nostro pensiero
stesso viene a trovarsi quando cerca di definire e dimostrare la particolarità
degli stati intuitivi. Formalmente identico è il discorso che si potrebbe fare nei
confronti della contingenza. Per questo ci pare preferibile sostituire ai due
attributi della particolarità e della contingenza con cui il pensiero moderno,
in ossequio alle pregiudiziali poste dall’interpretazione scientifica in atto
della natura, determina il fenomenico intuito, gli altri due, propri del
pensiero ontico, della molteplicità e del divenire, sia perché la chiarezza
della loro definizione e di una possibile loro dimostrazione è di gran lunga
superiore, in quanto l’una e l’altra possono appellarsi all’evidenza immediata
del panorama sensoriale, in cui la ripetizione di un modello e il comparire e
lo scomparire di una delle molte copie sono le modalità che rendono il
fenomenico intuito eterogeneo e inconfondibile con l’intuito intelligibile, e
in quanto i loro principi si ritrovano con estrema facilità nello spazio e nel
tempo, sia perché particolarità e contingenza sono di diritto impensabili senza
una loro rispettiva inferenza dal molteplice e dal diveniente in genere,
essendo il particolare se non un certo modo di essere del molteplice, in quanto
o meramente spazializzato o spazializzato e insieme qualificato, essendo la
contingenza se non la modalità secondo cui il diveniente dev’essere pensato per
ritrovare l’intelligibilità del suo mutare nella liceità del suo non essere:
d’altra parte, l’attribuire un primato alla molteplicità sulla particolarità
comporta non solo una limitazione del concetto di particolarità, come quello
che caratterizza il fenomenico intuito in ciò che ha di specifico,
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con la conseguenza che rende lecita la sussunzione degli intuiti sotto
classi qualitative in forza di una ripetizione di identico che salvaguarda il
molteplice e insieme la sua intelligibilità, ma anche l’intelligibilità stessa
del particolare come specifico, in quanto questo ha il diritto, in questo caso,
di esser pensato come un assolutamente irrepetibile e un assolutamente
inidentificabile se non con se stesso; e lo stesso può dirsi per il divenire
eretto a principio della contingenza, la quale trae da quello la necessità
dell’esistenza - in un diveniente la contingenza è quanto di essenziale
dev’essere pensato presente onde possa darsi un suo divenire - e insieme dona a
lui identica necessità - in un diveniente la necessità della sua contingenza
rende necessario il divenire stesso. Poiché il nostro discorso pretende avere
sinora una portata fenomenica, limitata cioè all’essere e all’apparire
dell’intuito non alla sua intelligibilità per ragioni sufficienti e per
congruenza tra esso con le sue ragioni e il restante dell’ontico, ci è lecito
predicargli, in via puramente formale, la molteplicità e il divenire, ignorando
le difficoltà e incongruenze che tale proposizione trascina seco.
In un universo fenomenico, in un universo cioé segnato dalla molteplicità
e dal divenire, si verificano due stati complessi: a) un ontico, che ne sia
parte e che sia unità organica di molti ontici eterogenei fra loro, eterogenei
dal tutto che essi compongono, e in un rapporto col tutto identico alla
illazione che intercorre fra una parte e un tutto che la comprenda, dev’essere
pensato come un uno dei molti dell’universo e al tempo stesso come un
diveniente, secondo un divenire tuttavia che non investa tutte e
contemporaneamente le porzioni componenti, ma solo alcune e in differenti
istanti; di siffatto ontico è sempre lecito allora pensare delle simultaneità,
ossia delle coesistenti eterogeneità in rapporto reciproco, relazionanti da un
lato la totalità dell’ontico dall’altra una delle componenti che ne
costituiscono il complesso; avremo quindi non solo tante simultaneità quante
sono le porzioni componenti il tutto, giacché ciascuna di esse si pone a polo
contrapposto e relazionato al polo simultaneo del tutto complessivo, ma anche
un numero di simultaneità uguale al numero delle porzioni qualitative
componenti che han cominciato a darsi nell’esistenza del tutto dopo di un certo
istante prima del quale non esistevano e non erano partecipi dell’esistenza del
tutto, e che hanno cessato di darsi nell’esistenza dello stesso tutto dopo un
certo istante prima del quale l’esistenza del tutto pareva donar loro parte di
se stessa e con ciò garantir loro l’esserci; poiché la totalità delle
componenti è lecito renderla intelligibile con una classificazione
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sotto tanti generi ciascuno dei quali segna ciò che di essenza si
ritrova in ogni componente e che non è atto a ritrovare la propria ragion
d’essere in null’altro di essenziale, è lecito affermare che le simultaneità,
aventi come uno dei loro poli la totalità composita, rientrano in tante classi
quante sono le classi delle componenti, ciascuna delle quali si pone a polo
contrapposto e correlato; d’altra parte, l’insieme delle simultaneità può
essere pensato esso stesso in simultaneità, o che al pensiero venga attribuita
la facoltà di pensare in simultaneità un numero grande a piacere di
simultaneità o che al pensiero venga attribuita solo la facoltà di pensar
simultanee solo una coppia di simultaneità, nel qual ultimo caso la
simultaneità di tutte le simultaneità resta ancora lecita in virtù di un potere
transitivo che lega in simultaneità una coppia di simultanei ciascuno dei quali
si dia in simultaneità con un solo e identico simultaneo. Il tutto di un ontico
composito e complesso può essere pensato come la simultaneità di un numero
determinato di coppie simultanee, sussunte sotto l’unica grande classe
dell’ontico stesso, qualora si tenga conto del polo che tutte hanno in comune e
che per tutte è dato dalla totalità unitaria dell’ontico, sussunte sotto un
certo numero di categorie indicatrici dell’essenza di ogni componente esistente
nel e per il tutto: ma la necessità di pensare in simultaneità tutte le coppie
di simultanei dà vita alla strana situazione in cui viene a trovarsi il
pensiero dinanzi alla simultaneità di due coppie di simultanei, che abbiano
come loro polo eterogeneo due componenti, sussumibili sotto la stessa categoria
e quindi coessenziali rispetto all’essenza loro prima, l’una delle quali
costituisca quel modo qualitativo che è subentrato all’altro nel momento stesso
in cui questo, che è il polo posto come eterogeneo, nell’altra coppia di
simultanei, ha cessato di esistere; il pensiero viene allora a trovarsi dinanzi
a a due coppie di simultanei, che, elevate alla sfera del razionale, trovano
equivalenza in due giudizi aventi a soggetto l’ontico nella sua totalità, e a
predicato l’uno il concetto di una qualità immanente nel tutto, l’altro il
concetto di una qualità pure immanente nel tutto, ma coessenziale e insieme
eterogenea dalla prima; tendendo presente quanto le sue condizioni gli
impongano di accettare per diritto, il pensiero è tenuto da un lato a giudicare
la totalità dell’ontico come comprensiva di tutto l’esistente che ha
partecipato della sua esistenza, dall’altro a identificare la totalità esistenziale
dell’ontico con quel molteplice organizzato che esso intuisce nel presente come
esistente in forza dell’esistenza del tutto organico;
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se muove da questo punto di vista, esso è costretto a ritenere
legittimo di diritto solo quel rapporto di immanenza che si dia di diritto e
che ponga questo suo stato di diritto a principio e a ragione di quello stato
cui pretende di fatto; poiché il diritto di un rapporto di immanenza è l’ontità
dell’immanenza stessa e poiché tale ontità in un rapporto tra enti intuitivi è
l’intuizione dell’un membro come parte dell’altro, l’intuizione, dalla quale è
posta evidente solo una delle due coppie di simultanei, si pone come il diritto
e la ragione di ciò che la coppia di simultanei e il giudizio equivalente pretendono
di essere di fatto, e insieme come la ragione e il principio dell’esclusione
dal pensamento legittimo dell’altra coppia di simultanei e quindi dell’altro
giudizio, che perciò apoditticamente è affermata esclusa dal pensiero e quindi
affermata come assenza di quel rapporto che essa pone di fatto, e, di
conseguenza, negata: dal punto di vista dell’intuizione in atto o presente
l’una sola delle coppie di simultanei può essere pensata e quindi affermata,
mentre l’altra può essere pensata solo come negata, ossia come simmetrico di un
giudizio in cui il predicato, o concetto immanente, è negato al soggetto, o
concetto della totalità accettante l’immanenza; un unico conosciuto, ossia
l’intuizione in atto di una delle due coppie di simultanei e quel suo simmetrico
che è il giudizio di immanenza di un polo simultaneo nell’altro polo correlato
a questo per simultaneità, è principio e ragion sufficiente della pensabilità
della simultaneità in atto come vera nel presente, della veridicità del
giudizio di immanenza traducente in intelligibili il rapporto di simultaneità,
dell’impensabilità della simultaneità in atto come posta nel presente
dell’altra coppia di poli, della falsità o veridicità del giudizio traducente
in intelligibili il nuovo rapporto di simultaneità secondo una predicazione
rispettivamente affermata o negata; l’intuizione in atto e il corrispondente
giudizio sono principi e ragioni della veridicità di se stessi e della
veridicità della negazione dell’altra simultaneità; se a segno di una relazione
di ragion sufficiente tra un intelligibile e un altro in forza della quale la
veridicità o diritto di legittima accettazione nel pensiero del primo è
apodittica fonte della veridicità o diritto di legittimo pensamento del
secondo, assumiamo i termini di “porre” e di “posizione”, e se a segno di una
relazione di ragione fra due intelligibili in forza della quale la veridicità
dell’uno costringa il pensiero a dichiarar falso l’altro o privo di diritto di
esser pensato e quindi ad escluderlo da qualsiasi
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