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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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  • Prot. 51 - 101
    • 75
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le modalità e la normatività del fenomenico e della sua diacronicità e con ciò li rende fattori essenziale dell’intelligibile in sé e dell’intellezione di tutte le cose. Se si considera quel che un aristotelismo opera sull’intelligibile e sul fenomenico, risulta che il primo è fatto modello del secondo e che in questo sono introdotte il numero delle determinazioni necessarie a renderlo copia di quello, mentre di contro viene conservata ad entrambi quella somma di caratteri che renda possibile il trasferimento dell’attenzione dall’uno all’altro e viceversa sulla base di un’identità coessenziale che non può essere se non conservazione nell’intelligibile di alcuni dei modi del fenomenico: quel che accomuna l’intelligibile al fenomenico è la pluralità irriducibile ad unità e insieme conseguente a un farsi che implica divenire e tempo; l’intelligibile, infatti, qualunque sia la determinazione secondo cui vien fissato il suo farsi, da una qualificazione definita e identicamente univoca vede salire all’essere, in fasci successivi di divaricazioni, determinazioni progressive che concludono  tutte, lungo ciascuna delle direttive divaricanti, in una determinazione estrema che stabilisce il termine ultimo e insuperabile del processo: si ritrovano qui la conformità dell’intelligibile al fenomenico come accettazione del divenire diacronico e moltiplicatore e insieme il limite ultimo cui la conformità si arresta, in quanto la successione temporale si è data una volta per sempre e non potrà più né ripetersi secondo le vecchie formepresentarsi sotto forme nuove; la generazione dell’intelligibile si secondo i modi di tutte le generazioni fenomeniche ad eccezione di quello in forza del quale la generazione deve riprodursi, in forme antiche e nuove, incessantemente all’infinito; perciò, da un lato l’introduzione del concetto di tempo nell’interpretazione della sfera dell’intelligibile provoca la liceità della contraddizione e della negazione, dall’altro le condizioni che assegnano al concetto del tempo una funzione irrepetibile privano di assolutezza e relativizzano la liceità del contraddittorio e del negativo. Infatti, l’analisi di tutte le specie infime rivela a) che la connotazione di ciascuna comprende ontici eterogenei che in alcun modo possono essere equazionati se non secondo predicazioni meramente formali ed escludenti da sé la qualificazione oggettiva, b) che nella connotazione di ciascuna l’unica rapportazione di nota a nota si riconduce a una relazione di ragione a conseguenza, di essenza ad essenziale che in forza dell’eterogeneità qualitativa non può non esser pensata come dialettica da causa ad effetto coinvolgente

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una diacronicità e una pluralità di effetti da un’ unica causa, la quale ultima pluralità può essere intelletta solo se l’azione del causante è identificata con una energia motrice limitata all’essere e inefficace rispetto alla qualità, c) che l’inefficacia qualificatrice dell’essenza causante, mentre da un lato impedisce l’inferenza univoca dell’effetto dalla causa, dall’altro consente in linea di fatto l’inferenza di qualunque nota dall’essenza, ossia, in altri termini, concede al pensiero la liceità di trascorrere dalla determinazione generica alla determinazione specifica secondo una qualsivoglia delle tante direttive divaricanti, proprio in base al fatto che il pensiero non ha a sua disposizione per seguire una corrente intelligibile  se non la successione temporale delle determinazioni intelligibili senz’altra necessità  che quella della successione stessa; di qui, l’insorgere della possibilità della negazione: poiché, data la connotazione di una specie infima determinata, questa coinvolge una essenziale determinazione che si identica  con altra specie e poiché, di diritto e apriori, da siffatta essenza non proviene apoditticamente  né questa né quella delle possibili determinazioni che trovano nell’essenza la loro ragione, è sempre possibile al pensiero, per uno o altro motivo, sostituire alla determinazione che di fatto si pone in successione temporale dopo l’essenza rispetto alla connotazione considerata una determinazione eterogenea con la conseguenza che, una volta venuto meno il motivo della sostituzione, il pensiero si trova dinanzi a due rapporti di immanenza, omogenei rispetto al polo dell’unità onnicomprensiva, dato qui dalla connotazione intera della specie infima, eterogenei rispetto al polo della determinazione affermata immanente, inoltre simultanei e ciascuno preso in sé, in quanto ogni rapporto di immanenza è la coesistenza di due eterogenei l’uno dei quali tutto e l’altro parte, e ciascuno relativamente all’altro, in quanto eterogenei coesistenti; insorge così la contraddizione, con tutte le sue conseguenze comprese quelle della necessaria oscillazione dialettica dalla posizione dell’un simultaneo alla negazione dell’altro e dalla posizione del simultaneo prima negato alla negazione del simultaneo prima posto, e dell’interruzione del moto pendolare grazie all’esclusione dell’uno dei due rapporti, quello che in atto non è intuito dal pensiero; per questo la contraddizione qui considerata è da classificarsi sotto le contraddizioni per il divenire, giacché infatti l’un rapporto di immanenza è un antecedente sia pure per il pensiero,

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mentre l’altro è quel successivo, sia pure solo relativamente al pensiero, che grazie al suo fenomenizzarsi in atto pone necessaria l’esclusione dell’altro rapporto e la sua negazione; una volta che il pensiero si sia reso conto di questa liceità che gli è data di muovere da un certo rapporto per giungere alla necessità della sua negazione che è anche necessità della negazione delle sue conseguenze e dei suoi principi, può addirittura valersi della liceità come di strumento di dimostrazione dialettica ogniqualvolta intenda procedere all’affermazione della necessaria immanenza di qualche nota nella comprensione di un concetto qualsivoglia - alludiamo alla dimostrazione per assurdo -, in quanto siffatta contraddizione per il divenire si attua a tutti i livelli di intelligibilità e non solo sul piano della specie infima. D’altra parte, la contraddizione per il divenire e la negazione per diacronicità non escludono, in una visione aristotelica, la contraddizione per molteplicità, in quanto ogni intelligibile presente in uno dei livelli di intelligibilità entra in un rapporto di immanenza con quel tutto unitario che è la sfera di intelligibile estesa fino al livello considerato e con ciò si pone in una relazione di simultanea immanenza con un altro degli intelligibili cogeneri, provocando nel pensiero l’oscillazione da posizione a negazione e viceversa, la quale è elisa con l’annullamento del polo dell’unità consentito dalla ripetizione del generico in ciascun cogenere. E fin qui si l’identità dell’intelligibile col fenomenico per assunzione da parte del primo dei modi propri del secondo; ma di qui pure prendono inizio quei modi propri dell’intelligibile che assegnano al tempo l’irrepetibilità della sua funzione e divaricano insuperabilmente l’intelligibile dal fenomenico: comunque sia descritto il processo di determinazione, o come dialettica dall’essenziale all’essenza o come dialettica dall’essenza all’essenziale, la condizione per cui  l’una o l’altra si diano è il permanere nell’intelligibile di un substrato di indeterminatezza, segnato però da linee di forza a ventagli successivi ciascuna delle quali è un canale obbligato che da uno dei due possibili punti di partenza, o la suprema genericità o l’estrema specificità, scorre necessariamente e universalmente all’altro, secondo una via segnata da biffe ciascuna delle quali fissa l’energia determinatrice una e una soltanto altra ((alla??))biffa successiva e insieme riceve l’energia dalla biffa antecedente; al pensiero

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sfugge l’intelligibilità dell’apodittica connessione tra qualitativo e qualitativo, ma non sfugge la apoditticità della connessione stessa; per questo il tempo entra nell’intelligibile con funzioni limitate a un’azione che si una volta soltanto e che non investe la totalità dell’essere, ma un aspetto solo, quello determinativo, sottraendosi ad esso tutti gli altri, ivi compreso quello fondamentale della qualità; la scansione degli istanti succedentisi condiziona la successione delle azioni determinatrici che è lecito raffigurarsi o come successione meccanica o come successione teleologica, ma che comunque dev’essere rappresentata tale da esser sempre stata quello sotto cui in atto si presenta, essendo l’unica differenza tra passato e presente nulla di più che una discontinuità tra occulto ed apparente, tra esistente per altro ed esistente per sé. S’intende allora come in siffatta condizione la contraddizione non si sia mai data nella sfera dell’intelligibile in sé né nei modi del divenire né nei modi della molteplicità: infatti, se si assume a forma del processo di determinazione di ((??)) quella teleologica che più appare consona a un aristotelismo, il tempo ha avuto l’unica e irrepetibile funzione di accendere la luce dell’ontità in una catena di ragioni che dall’unicità dello specifico estremo mutua l’apodittica sua univocità, con la conseguenza che, poiché una contraddizione per divenire si identifica con la coesistenza di due eterogenei cogeneri, e quindi con un appello al tempo nei modi della diacronicità degli eterogenei cogeneri e della loro simultaneità per il pensiero, nel divenire dell’intelligibile si darà una delle condizioni del contraddittorio, la diacronia degli eterogenei e la loro simultaneità per il pensiero, ma mancherà sempre la cogenerità degli eterogenei, che è l’altra condizione fondante la contraddizione; che se il pensiero, per uno o altro motivo, introduce a determinare gli eterogenei a lato della loro diacronica ((diacronia??)) per sé e della loro simultaneità per altro la cogenerità, questa è valida per il pensiero, non per l’intelligibile, e con ciò pone una contraddizione e un’apodittica negazione che si danno relativamente al pensiero, non nell’assoluto dell’intelligibile in sé; a identiche conclusioni conduce un discorso fatto sulla contraddizione per molteplicità: per il pensiero, due specie infime - e quel che vale per queste deve ritenersi valido per qualsiasi altra coppia di cogeneri - risultano essere




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