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le modalità e la normatività del fenomenico e della sua diacronicità e
con ciò li rende fattori essenziale dell’intelligibile in sé e
dell’intellezione di tutte le cose. Se si considera quel che un aristotelismo
opera sull’intelligibile e sul fenomenico, risulta che il primo è fatto modello
del secondo e che in questo sono introdotte il numero delle determinazioni
necessarie a renderlo copia di quello, mentre di contro viene conservata ad
entrambi quella somma di caratteri che renda possibile il trasferimento
dell’attenzione dall’uno all’altro e viceversa sulla base di un’identità
coessenziale che non può essere se non conservazione nell’intelligibile di
alcuni dei modi del fenomenico: quel che accomuna l’intelligibile al fenomenico
è la pluralità irriducibile ad unità e insieme conseguente a un farsi che
implica divenire e tempo; l’intelligibile, infatti, qualunque sia la
determinazione secondo cui vien fissato il suo farsi, da una qualificazione
definita e identicamente univoca vede salire all’essere, in fasci successivi di
divaricazioni, determinazioni progressive che concludono tutte, lungo ciascuna delle direttive
divaricanti, in una determinazione estrema che stabilisce il termine ultimo e
insuperabile del processo: si ritrovano qui la conformità dell’intelligibile al
fenomenico come accettazione del divenire diacronico e moltiplicatore e insieme
il limite ultimo cui la conformità si arresta, in quanto la successione
temporale si è data una volta per sempre e non potrà più né ripetersi secondo
le vecchie forme né presentarsi sotto forme nuove; la generazione
dell’intelligibile si dà secondo i modi di tutte le generazioni fenomeniche ad
eccezione di quello in forza del quale la generazione deve riprodursi, in forme
antiche e nuove, incessantemente all’infinito; perciò, da un lato
l’introduzione del concetto di tempo nell’interpretazione della sfera
dell’intelligibile provoca la liceità della contraddizione e della negazione,
dall’altro le condizioni che assegnano al concetto del tempo una funzione
irrepetibile privano di assolutezza e relativizzano la liceità del
contraddittorio e del negativo. Infatti, l’analisi di tutte le specie infime
rivela a) che la connotazione di ciascuna comprende ontici eterogenei che in
alcun modo possono essere equazionati se non secondo predicazioni meramente
formali ed escludenti da sé la qualificazione oggettiva, b) che nella
connotazione di ciascuna l’unica rapportazione di nota a nota si riconduce a
una relazione di ragione a conseguenza, di essenza ad essenziale che in forza
dell’eterogeneità qualitativa non può non esser pensata come dialettica da
causa ad effetto coinvolgente
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una diacronicità e una pluralità di effetti da un’ unica causa, la
quale ultima pluralità può essere intelletta solo se l’azione del causante è
identificata con una energia motrice limitata all’essere e inefficace rispetto
alla qualità, c) che l’inefficacia qualificatrice dell’essenza causante, mentre
da un lato impedisce l’inferenza univoca dell’effetto dalla causa, dall’altro
consente in linea di fatto l’inferenza di qualunque nota dall’essenza, ossia,
in altri termini, concede al pensiero la liceità di trascorrere dalla
determinazione generica alla determinazione specifica secondo una qualsivoglia
delle tante direttive divaricanti, proprio in base al fatto che il pensiero non
ha a sua disposizione per seguire una corrente intelligibile se non la successione temporale delle
determinazioni intelligibili senz’altra necessità che quella della successione stessa; di qui, l’insorgere della
possibilità della negazione: poiché, data la connotazione di una specie infima
determinata, questa coinvolge una essenziale determinazione che si dà
identica con altra specie e poiché, di
diritto e apriori, da siffatta essenza non proviene apoditticamente né questa né quella delle possibili
determinazioni che trovano nell’essenza la loro ragione, è sempre possibile al
pensiero, per uno o altro motivo, sostituire alla determinazione che di fatto
si pone in successione temporale dopo l’essenza rispetto alla connotazione
considerata una determinazione eterogenea con la conseguenza che, una volta
venuto meno il motivo della sostituzione, il pensiero si trova dinanzi a due
rapporti di immanenza, omogenei rispetto al polo dell’unità onnicomprensiva,
dato qui dalla connotazione intera della specie infima, eterogenei rispetto al
polo della determinazione affermata immanente, inoltre simultanei e ciascuno
preso in sé, in quanto ogni rapporto di immanenza è la coesistenza di due
eterogenei l’uno dei quali tutto e l’altro parte, e ciascuno relativamente
all’altro, in quanto eterogenei coesistenti; insorge così la contraddizione,
con tutte le sue conseguenze comprese quelle della necessaria oscillazione
dialettica dalla posizione dell’un simultaneo alla negazione dell’altro e dalla
posizione del simultaneo prima negato alla negazione del simultaneo prima
posto, e dell’interruzione del moto pendolare grazie all’esclusione dell’uno
dei due rapporti, quello che in atto non è intuito dal pensiero; per questo la
contraddizione qui considerata è da classificarsi sotto le contraddizioni per
il divenire, giacché infatti l’un rapporto di immanenza è un antecedente sia
pure per il pensiero,
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mentre l’altro è quel successivo, sia pure solo relativamente al
pensiero, che grazie al suo fenomenizzarsi in atto pone necessaria l’esclusione
dell’altro rapporto e la sua negazione; una volta che il pensiero si sia reso
conto di questa liceità che gli è data di muovere da un certo rapporto per
giungere alla necessità della sua negazione che è anche necessità della
negazione delle sue conseguenze e dei suoi principi, può addirittura valersi
della liceità come di strumento di dimostrazione dialettica ogniqualvolta
intenda procedere all’affermazione della necessaria immanenza di qualche nota
nella comprensione di un concetto qualsivoglia - alludiamo alla dimostrazione
per assurdo -, in quanto siffatta contraddizione per il divenire si attua a
tutti i livelli di intelligibilità e non solo sul piano della specie infima.
D’altra parte, la contraddizione per il divenire e la negazione per
diacronicità non escludono, in una visione aristotelica, la contraddizione per
molteplicità, in quanto ogni intelligibile presente in uno dei livelli di
intelligibilità entra in un rapporto di immanenza con quel tutto unitario che è
la sfera di intelligibile estesa fino al livello considerato e con ciò si pone
in una relazione di simultanea immanenza con un altro degli intelligibili
cogeneri, provocando nel pensiero l’oscillazione da posizione a negazione e
viceversa, la quale è elisa con l’annullamento del polo dell’unità consentito
dalla ripetizione del generico in ciascun cogenere. E fin qui si dà l’identità
dell’intelligibile col fenomenico per assunzione da parte del primo dei modi
propri del secondo; ma di qui pure prendono inizio quei modi propri
dell’intelligibile che assegnano al tempo l’irrepetibilità della sua funzione e
divaricano insuperabilmente l’intelligibile dal fenomenico: comunque sia
descritto il processo di determinazione, o come dialettica dall’essenziale
all’essenza o come dialettica dall’essenza all’essenziale, la condizione per
cui l’una o l’altra si diano è il permanere
nell’intelligibile di un substrato di indeterminatezza, segnato però da linee
di forza a ventagli successivi ciascuna delle quali è un canale obbligato che
da uno dei due possibili punti di partenza, o la suprema genericità o l’estrema
specificità, scorre necessariamente e universalmente all’altro, secondo una via
segnata da biffe ciascuna delle quali fissa l’energia determinatrice una e una
soltanto altra ((alla??))biffa successiva e insieme riceve l’energia dalla
biffa antecedente; al pensiero
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sfugge l’intelligibilità dell’apodittica connessione tra qualitativo e
qualitativo, ma non sfugge la apoditticità della connessione stessa; per questo
il tempo entra nell’intelligibile con funzioni limitate a un’azione che si dà
una volta soltanto e che non investe la totalità dell’essere, ma un aspetto
solo, quello determinativo, sottraendosi ad esso tutti gli altri, ivi compreso
quello fondamentale della qualità; la scansione degli istanti succedentisi
condiziona la successione delle azioni determinatrici che è lecito raffigurarsi
o come successione meccanica o come successione teleologica, ma che comunque
dev’essere rappresentata tale da esser sempre stata quello sotto cui in atto si
presenta, essendo l’unica differenza tra passato e presente nulla di più che
una discontinuità tra occulto ed apparente, tra esistente per altro ed
esistente per sé. S’intende allora come in siffatta condizione la
contraddizione non si sia mai data nella sfera dell’intelligibile in sé né nei
modi del divenire né nei modi della molteplicità: infatti, se si assume a forma
del processo di determinazione di ((??)) quella teleologica che più appare
consona a un aristotelismo, il tempo ha avuto l’unica e irrepetibile funzione
di accendere la luce dell’ontità in una catena di ragioni che dall’unicità
dello specifico estremo mutua l’apodittica sua univocità, con la conseguenza
che, poiché una contraddizione per divenire si identifica con la coesistenza di
due eterogenei cogeneri, e quindi con un appello al tempo nei modi della diacronicità
degli eterogenei cogeneri e della loro simultaneità per il pensiero, nel
divenire dell’intelligibile si darà una delle condizioni del contraddittorio,
la diacronia degli eterogenei e la loro simultaneità per il pensiero, ma
mancherà sempre la cogenerità degli eterogenei, che è l’altra condizione
fondante la contraddizione; che se il pensiero, per uno o altro motivo,
introduce a determinare gli eterogenei a lato della loro diacronica
((diacronia??)) per sé e della loro simultaneità per altro la cogenerità,
questa è valida per il pensiero, non per l’intelligibile, e con ciò pone una
contraddizione e un’apodittica negazione che si danno relativamente al
pensiero, non nell’assoluto dell’intelligibile in sé; a identiche conclusioni
conduce un discorso fatto sulla contraddizione per molteplicità: per il
pensiero, due specie infime - e quel che vale per queste deve ritenersi valido
per qualsiasi altra coppia di cogeneri - risultano essere
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