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due porzioni eterogenee di un’unica massa di intelligibilità e quindi
entrare in due eterogenei rapporti di immanenza col tutto intelligibile ai
quali proviene simultaneità dalla simultaneità secondo cui si dà l’esistenza
delle specie stesse; di qui la loro contraddittorietà, di qui la negazione che
dall’un rapporto di immanenza si sposta all’altro per ritornare da questo al
primo; e questo si verifica perché in forza delle condizioni formali sotto cui
deve pensare l’intelligibile in genere, e in particolare in forza dell’unicità
ontologica in cui deve essere pensata l’esistenza di quell’intelligibile che si
dia identico in differenti stati dialettici, il pensiero, scoprendo nelle due
specie, una sfera di intellegibile identico alla quale s’agganciano come a
determinando due qualificazioni eterogenee, riconduce il rapporto
generico-specifico proprio di ciascuna specie a una relazione omologa di genere
a specie entro la quale l’intelligibile è un unico pensato contemporaneamente
come determinato da due qualità eterogenee, cogeneri se non altro per la comune
funzione di essenziali determinatore di un’essenza medesima; al pensiero,
allora, non resta se non circoscrivere i tre intelligibili con un unico confine
dentro il quale l’unità e unicità del genere si connette apoditticamente e simultaneamente
con una sola qualità determinatrice, con la conseguenza di vedersi costretto a
pensare i due rapporti di determinazione come due rapporti di immanenza
eterogenei entro una cogenerità e insieme coesistenti, e con ciò atti a
ingenerare quella simultaneità che pone la negazione come esclusione dell’uno o
dell’altro o di entrambi. Se questa fosse la reale struttura ontologica
dell’ontico intelligibile, se cioè l’ontico intelligibile dovesse essere
predicato con l’unicità
dell’intelligibile matematico, la modalità del pensiero di condizione umana
dovrebbe essere attribuita anche all’intelligibile il quale si vedrebbe
costretto ad albergare, sotto la forma del molteplice, quella contraddizione
che ha escluso da sé nella forma del divenire: ma l’intelligibile in sé non
riproduce, in una teoria aristotelica, la formalità matematica del pensiero sia
perché ciascuna specie infima dev’essere pensata come la ricapitolazione di
tutti i gradi di intelligibilità sovraordinata sia perché il rapporto da genere a specie non è nesso fra tutto e
parte ma fra tutto con indeterminazione e tutto determinato; poiché questo
nesso diviene intelligibile alla condizione di instaurare tra un genere e le
sue specie un’equazione fondata sul fatto che l’ontità del genere abbraccia la
determinazione del generico in connessione con tutti i modi specifici di cui il
generico è motore, ma sussistenti indeterminatamente,
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e sul fatto che l’ontità della specie coinvolge la determinatezza del
generico e di quello specifico che in esso si dà in atto in connessione con
l’indeterminazione di tutti gli specifici che si determinano nelle altre
specie, sicché tra genere e complesso delle sue specie si dà un’identità
quantitativa assoluta, al tempo stesso che, sempre sotto il punto di vista
quantitativo, l’identità permane tra il genere e una specie isolata, il
pensiero di diritto può attribuirsi la facoltà di identificare il pensamento di
una sola specie infima come il pensamento dell’intera sfera di intelligibilità
alla condizione di porre il postulato che sotto la determinazione che
arricchisce le specie di fenomenicità, sia pensato esistente un substrato di
indeterminatezza, in cui si danno tutti gli intelligibili che conseguono l’atto
e la fenomenicità fuori della specie: per siffatto postulato, che aggiunge a sé
come corollario l’altro postulato che l’unicità esistenziale non sia una forma
apodittica dell’ontologico in forza di
una particolare estensione attribuita all’indeterminato della potenza che deve
essere pensato dotato di indeterminatezza non solo rispetto alla qualità ma anche rispetto all’esistenza, nel senso
che deve pensarsi libero dal condizionamento di un esistere univoco ed unico,
l’ontico ontologico in sé ripete tante volte se stesso quante sono le specie
infime intelligibili, sicché, il pensiero, se deve uniforme la sua
dialettica non alle norme dialettiche
della sua condizione ma alla struttura dialettica dell’oggetto considerato, è
tenuto a instaurare una relazione di immanenza tra specie e totalità dell’intelligibile
la quale è identità sotto il punto di vista meramente quantitativo, è immanenza
sotto il punto di vista qualitativo, essendo inserzione di una sfera di
determinatezza entro un universo
indeterminato; dal momento che questo tutto indeterminato è indifferente al numero di determinazioni
che in esso possono verificarsi, ogni rapporto di immanenza che abbia a suo
termine una specie infima intelligibile deve pensarsi come avente a suo tutto
una sfera propria di intelligibilità la cui ripetizione o identità non
coinvolge l’unicità di esistenza, e che, perciò, è tale da essere di fatto
eterogeneo da qualsiasi altra sfera dotate ((??totale??)) di intelligibilità,
come quella che si dà in funzione dello specifico
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tipico della specie considerata e eterogeneamente dalle altre funzioni
che può assumere di fronte ad altri
specifici propri delle altre specie; se, dopo ciò, si considerano due specie
infime, è logico che per ciascuna deve pensarsi un rapporto di immanenza con il
tutto intelligibile di cui essa non è che o la determinazione fenomenica o la
perfezione di determinatezza; ma i due rapporti sono assolutamente eterogenei
come quelli in cui il tutto di ciascuno è eterogeneo dal tutto dell’altro,
sicché la loro simultaneità è per il pensiero che è portato dalla sua
condizione umana a porre in coesistenza
i due rapporti per il mero fatto che li ritiene appercepibili in
contemporaneità oppure ad attribuir loro coesistenza in nome della omogeneità
di uno dei loro poli; ma nell’ontico ontologico, questo non si verifica sia
perché tra la totalità intelligibile dell’una specie e la totalità
intelligibile dell’altra non c’è nessuna rapportazione possibile, essendo due
universi che esistono giustapposti e irrelati in assoluto, sia perché solo da un
punto di vista quantitativo i due tutti di intelligibilità possono essere
identificati, non però da un punto di vista esistenziali, avendo ciascuno il
proprio essere, né da un punto di vista qualitativo, avendo ciascuno il proprio
modo di determinazione e il proprio modo di indeterminatezza. Perciò
l’ontologico esclude da sé il contraddittorio, non perché non tolleri la
negazione, ma perché esclude le condizioni di esistenza del principio della
negazione, vale a dire della contraddizione. E’ vero che il pensiero quando si
trova di fonte ((fronte??)) a una contraddizione qualsivoglia, ossia a una
simultaneità di rapporti di immanenza eterogenei, si vede costretto a
rappresentare un tutto che in un certo suo modo di essere, se lo si assume
nella sua purezza ontologica, o in una sua zona determinata da una certa
latitudine e da una certa longitudine, se lo si considera sotto una metaforica
trasposizione spaziale, è determinato da due enti eterogenei, sussumibili sotto
uno stesso genere, ed è determinato da essi in un tempo che è uguale per
entrambi, con la conseguenza che o esclude dalla sua azione legittima una delle
determinazioni o si condanna a passare incessantemente dall’una all’altra per
ritornare alla prima; ma è altrettanto
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vero che l’intelligibile di un aristotelismo ripudia il contraddittorio
non già per adattarsi all’impossibilità del pensiero di stare nella
contraddizione, ma perché il suo modo ontologico non concede alla
contraddizione ragioni sufficienti di
esistenza; è vero che il pensiero non
riesce a procedere in una contraddizione, ma è pur vero che quando l’oggetto
gli impone il contraddittorio, al pensiero non resta altro che accettarlo e
cercare di adattarsi, il che, ad esempio, facciamo tutti giorno ((?? tutti i
giorni??)) se non altro con noi stessi che buoni e cattivi come siamo ci
sentiamo incapaci di compiere un’azione che attui in sé allo stato d assoluta
purezza un’azione buona, ma erreremmo grandemente se per adattare siffatta
inettitudine alle condizioni del contraddittorio finissimo per sospendere
l’esecuzione dell’azione; in altri termini, le norme e i principi del
contraddittorio sono quel che sono e, se il nostro pensiero vuole adattarsi ad
esse, ci vediamo nella necessità di trarre da esse tante conseguenze tra le
quali però possiamo scegliere, tra il radicalismo dell’unitarismo parmenideo e
matematico e il radicalismo opposto del pluralismo sensoriale, ma non
necessariamente, come dimostra la
stessa liceità della scelta, l’ontico, ontologico oppur no, vede le modalità
della sua struttura condizionate in toto dai principi e dalle norme della contraddizione, avendo, per dir così, la
materia dell’ontico stesso una sua assolutezza e autonomia che consente, sia pure entro certi limiti,
al pensiero di definirlo in sé, indipendentemente dalla legislazione cui il
pensiero stesso vede sé necessariamente subordinato; in forza appunto di
questa, sia pur limitata autonomia, l’intelligibile aristotelico elude la
negazione con parziale indipendenza dalle condizioni dal pensiero, grazie cioè
a una sua interpretazione in virtù della quale si pone come libero da
contraddizione: la negazione, è vero, resta un possibile per esso, per quel
tanto di fenomenico sensoriale che è trapassato dentro la sfera
dell’intelligibilità, ma è un possibile per il pensiero che contempla l’oggetto
non per l’oggetto in sé fuori da qualunque rapporto con un pensiero che sia
capace di rappresentarselo ma non di rifletterlo, per un pensiero cioè che non
sia pensiero del pensiero. E’ logico
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