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allora che l’abbassamento del livello di intelligibilità oltre il
limite infimo delle specie infime intelligibile si traduca in un innalzamento
della sfera del fenomenico sensoriale ad intelligibile, da un lato sulla base
di quella comunanza di potenziale indeterminato cui tanto l’intelligibile che
il sensoriale partecipano dall’altro mediante l’estensione delle condizioni
dell’intelligibile al fenomenico, estensione che equivale all’esclusione
dall’ontico in genere dei principi della contraddizione e quindi della
negazione sotto qualsiasi forma; contraddittorio e negativo divengono allora un
modo di essere del pensiero di condizione umana e nulla hanno che fare con
l’ontico in sé, donde deriva che se un principio di contraddizione si leva a
norma suprema del razionale, tale primato spetta al principio relativamente
alla razionalità soggettiva non alla razionalità oggettiva la quale recupera
per altra strada quella sovranità del principio di identità che l’intelligibile
platonico s’era data con modi suoi. Che se, anche dopo l’estensione della
struttura dell’intelligibile al sensoriale, restano al fenomenico delle zone in
cui il contraddittorio permane
nonostante la presenza di quelle condizioni che son negatrici del principio della contraddizione in genere,
si potrà sempre fare appello a ulteriori modi tipici del sensoriale che
garantiscono al sensoriale il diritto
alla contraddizione e alla negazione, ma ad un livello di ontità se non inferiore,
almeno estraneo a quell’ontologia che costituisce il reale effettivo
dell’universo: si potrà cioè o risalire a una sorta di iperfunzionamento del
tempo che estende la sua azione anche alla ripetizione - e con ciò si spiega il
ripresentarsi in successione diacronica di modi determinati che non possono
trovare a loro ragion sufficiente l’immanente intelligibile, come, ad esempio,
non già la diacronia di molteplici individui di una stessa specie vivente pei
quali una teoria del tipo della distinctio formalis ex parte rei e
dell’ecceitas è sufficiente a fornire un’intelligibilità aliena dalla mera
ripetizione, ma la diacronia di molteplici fenomeni inorganici, pei quali la
teoria aristotelica della conversione delle qualità è meno intellezione che una
giustificazione -, o appellarsi alla accidentalità, con il conseguente ricorso
a due categorie le quali proprio con il dualismo cui s’appellano e con lo
scisma che immettono nell’ontico rivelano l’insormontabilità della
contraddizione
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come fatto assoluto per un ontico in generale, se non altro di
fenomenicità sensoriale. Comunque, sia pur parzialmente, un’intelligibilità di
tipo aristotelico, che, dopo aver definito l’ontologico in modo da escludere da
esso il contraddittorio e il negativo, estende la struttura formale di esso al
fenomenico, da un lato libera l’ontico dalla negazione e con ciò lo pone sotto
l’impero del principio di identità, dall’altro garantisce il pensiero il
diritto che esso ha a sentirsi a disagio nello stato di contraddizione e a
liberarsene in forza del principio di contraddizione, e insieme assicura ad
entrambi, all’ontico e alla conoscenza, l’impossibilità della contraddizione e
la validità della negazione come esclusione del contraddittorio per la perfetta
equivalenza formale e funzionale dei due principi: e tutto ciò si deve a una
sorta di via all’ingiù che dall’intelligibile, adattato entro certi limiti al
fenomenico, scende al sensoriale per immettervi la struttura del primo.
Ma è anche pensabile una via opposta, all’insù che è appunto quella di
un hegelismo. Quando il pensiero di condizione umana pone dinanzi a sé il fenomenico sensoriale con l’impegno di
interpretarlo senza muovere da alcun pregiudizio partorito da preordinate e
preesistenti elaborazioni di alcuni suoi aspetti, da elaborazioni del tipo di quella
della geometria o della biologia, tanto per intendersi, e quindi senza
sostituire ad esso nessuna immagine semplificata e insieme alterata, ciò può
fare solo fino a un certo punto, perché l’assoluta adesione all’impegno di
fatto è possibile solo alla condizione di accogliere le sensazioni così come si
danno, impedendosi di procedere all’enunciazione su di esse di giudizi che,
essendo predicazioni di un certo noto alla sensazione posta come soggetto,
null’altro sono che sostituzioni a questa di un’immagine elaborata e
semplificata; per non lasciare la catena dei sensoriali nella loro assoluta
autonomia che introdurrebbe se stessa come nel solo possibile adito di
intelligibilità nelle determinazioni spaziali e temporali pure, si tratta di
attingere alla sfera dell’intelligibile quei modi che riescono a gettare le
basi di una razionalità del fenomenico spogliandolo il meno possibile delle sue
peculiari qualificazioni; poiché fra questi modi di intelligibilità l’unico che
doni condizioni minime di intellezione e che insieme non qualifichi
l’oggetto di attributi propri della
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soggettività intellettiva, è la permanenza esistenziale,
l’esistere come unità indipendente da
tutti i personali modi di esistenza, questa nota viene predicata all’ontico fenomenico
e con ciò sostituita a quell’esistenza del fenomenico che di per sé sarebbe
inintelligibile come quella che è per precipitare nel nulla e che è qui ed
insieme là senza che tra le due qualità spazialmente eterogenee ci sia altra
relazione se non il nesso spaziale puro e semplice; l’origine del discorso è,
allora, del tutto eguale al primo giudizio eleatico, e trova la sua ragion
sufficiente in quella condizione generale del conoscere come rappresentazione
simmetrica e corrispondente a un ontologico, ossia come rappresentazione
intelligibile, che consiste nella
legittimità di ricondurre il conosciuto, se molteplice, a un unico noto che,
data l’eterogeneità del molteplice, non può coincidere che con l’unico omogeneo
che in nessuna molteplicità è assente, con l’esistere, come unicità di un ente
che indipendentemente da tutte le sue determinazioni è in genere un conoscibile
perché è un esistente; perciò allo stesso modo
che la pluralità delle determinazioni geometriche entra nella sfera
dell’intelligibilità in forza della liceità di sussumerle tutte sotto l’unico
intelligibile dell’esistere, la molteplicità del sensoriale grazie all’univocità dell’esistere in tutti
i suoi modi trova nell’ einai un sussumente lecito e legittimo, la cui unicità, che è
un intelligibile e un ente di ragione, trasferisce la propria intelligibilità e
razionalità ai sussunti e sigilla loro il diritto di accesso nella sua stessa
sfera. Ma una volta posto il giudizio a principio di un discorso, si tratta di
vedere come debba il discorso stesso venir proseguito; se secondo il metodo che
abbiamo adottato ci si mantiene sul piano della mera fenomenica del pensiero di
condizione umana e non si cercano ragioni di validità per l’uno o per l’altro
tipo di dialettica qualora il principio posto a capo di un discorso sia tale da
dischiudere dialettiche equivoche o, se
non altro ambigue, a questo punto la nostra analisi trova a suo limite la mera
descrizione di fenomeni che si danno nell’area di quell’ontico che è il
pensiero di condizione umana e che ivi si danno pel semplice fatto che si son
dati, non in quanto siano degli apodittici o per essenza o per ragion
sufficiente, e non può pretendere in alcun modo di decidere per l’una o altra
modalità assunta dai fenomeni; infatti, in primo luogo, poiché il discorso che
assieme al suo principio è il fenomeno qui preso in considerazione si fa di
fatto ambiguo nell’area del pensiero di condizione umana
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saremmo tenuti ad indagare oltre l’epidermica superficie
dell’ambiguità, in vista di identificare quale dei due ambigui contrari sia
vero e valido, se noi stessi avessimo come scopo la meta stessa che eleatismo
ed hegelismo fan propria nell’atto di porre il comune principio; in secondo
luogo, saremmo tenuti a un approfondimento dell’analisi e a un impegno nell’uno
o nell’altro senso se fossimo convinti che il principio del discorso eleatico
ed hegeliano sia di diritto e di fatto
il principio per eccellenza di
qualunque discorso, non solo ma se
fosse veramente dato nella fenomenica del pensato, in quanto
determinato secondo l’eleatismo e l’hegelismo, che siffatto principio è di diritto quel che aspira ad essere di
fatto, cioé il primo assoluto nel discorso, con la conseguenza che, proprio per
il motivo che né un eleatismo né un hegelismo hanno a loro legittimo principio
il giudizio “ l’ontico è esistere”, ma muovono dalla determinazione
dell’intelligibilità e del razionale in generale che per l’eleatismo è una
certa legislazione mentre per l’hegelismo è la medesima legislazione ma ridotta
al minimo di enunciati sufficiente per farla sussistere come normatività -
occorre tener presente che la completa legislazione hegeliana
dell’intelligibilità non ha nulla che fare con le norme prime da cui muove per
costruire legittimamente e per analizzare il giudizio primo, ossia, in parole
più chiare, che la normatività razionale per dialettica di contraddittori è in
un hegelismo un punto di arrivo e non di partenza -, e proprio perché il
giudizio è un primo solo in apparenza e non di fatto, saremmo tenuti
all’analisi tutt’al più dei veri rispettivi principi, sempre che volessimo
giungere agli stessi risultati che le due correnti si attendono; in terzo
luogo, l’approfondimento diverrebbe per noi un obbligo solo nel caso che
avessimo assoluta certezza che il discorso, con la sua ambiguità, è l’unico
possibile per un pensiero di condizione umana e ((o??)) che eleatismo ed
hegelismo sono i due poli esclusivi fra i quali può unicamente oscillare la ricerca. Dunque, il pensiero
opera su quel giudizio che ha fatto principio sia nel suo atteggiamento
eleatico che in quello hegeliano - è opportuno rilevare che solo in apparenza
eleatismo ed hegelismo divaricano nel giudizio concreto da cui muovono, giacché
quei loro rispettivi giudizi da cui in realtà paiono muovere, e precisamente
l’affermazione del primo che l’esistere è esistere, con il connesso enunciato
contraddittorio che “ il non esistere è non esistere “, e l’affermazione del
secondo
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