- 78 -
[pag. 78 F 1]
che “il fenomenico sensoriale è esistere “, di fatto si ha il diritto
di ricondurli entrambi all’unica affermazione che legittimamente si sovraordina
loro, che “ l’ontico è esistere”: infatti, l’esistere che Parmenide erige a
soggetto è, anteriormente allo svolgimento del discorso, un concetto cui nulla
si oppone di accogliere determinazioni ben più vaste di quelle del suo
predicato se non altro sulla base del criterio logico che un giudizio, che per
presupposto non sia stato enunciato nella veste e nelle condizioni gnoseologiche
di una tautologia, anche se i segni che lo compongono ne abbiano tutto l’aspetto epidermico, deve porre il soggetto con
una connotazione con cui le note denotanti il predicato coincidono solo in
parte, così come d’altra ((parte??)) si accetta al termine dell’intero discorso
quando, identificata la connotazione del predicato con l’intera connotazione
del soggetto, una nota denotante questa resta esclusa dalla sua connotazione in
quanto non denotante il predicato, la nota dell’in sé; ora, in siffatta anteriorità
assoluta, in cui l’esistere del predicato non è ancora stato sottoposto
all’analisi riduttiva delle sue note alle note dell’esistere dell’ontologia
geometrico - matematica, l’esistere del predicato deve essere pensato come
l’unità possibile o classe possibile di tutti i possibili ontici che siano
denotati dall’unica nota che per immediata evidenza denota il predicato; per
tale nota, che non può essere altro dalla conoscibilità in genere, tutto il
noto rientra nell’esistere in quanto concetto soggetto del giudizio, ed anche
il noto fenomenico e sensoriale non ne
resta escluso; che poi questa primordiale sussunzione sia la condizione
principale della cecità umana, il buio che abbacina il pensiero quando ancora
il carro della ragione non lo ha smosso e avviato verso la soglia al di là
della quale, liberato dal peccato dell’originale violenza e rigenerato nella
giustizia, sarà capace di escludere dalla sussunzione sotto il soggetto la
parte del conosciuto non denotata dell’esistere del predicato, è conquista
ulteriore; così, anche un hegelismo di fatto deduce la sua primordiale
enunciazione che “il fenomenico è esistere” dall’affermazione che “l’ontico è
esistere “, perché il presupposto, da cui muove per superare la soglia
dell’accettazione immediata del sensoriale destinata a privare questa di
qualsiasi intellezione, è di ritrovarvi la liceità della sussunzione univoca e
quindi la facoltà di un giudizio primo che trasporti il sensoriale dalla sfera
immediata alla sfera riflessa; ora, tale liceità non può nascere se non
dall’assumere una certa
[pag.78 F2]
nota che sia comune a tutto il sensoriale, nota che per la sua
genericità non potrà essere tale da escludere dalla sua classe tutto ciò che
non sia sensazione, come quella che una volta colta nella sua immediatezza
attende analisi condotta su di esso ((??essa??)) nel suo isolamento; tale nota
è segnata dalla parola “esistere”, ma questa rimanda a un concetto che,
anteriormente a qualunque ulteriore processo, non può essere denotato se non
dalla mera conoscibilità che si pone come attributo puramente di qualsivoglia
contenuto di coscienza il quale appunto
c’è perché può essere conosciuto; per questo, tutti i contenuti di coscienza
godono del predicato dell’esistere che
perciò vale per l’ontico in generale, in forza del principio che l’ontico che
non possa essere conosciuto non è ontico; che se è lecito predicare al
sensoriale l’esistere, la liceità deriva
dalla conoscibilità dell’ontico in genere e dal fatto che il sensoriale è un ontico in quanto conoscibile, il che,
tradotto in termini di intellezione, si manifesta come l’antecedenza del
giudizio predicante l’esistere all’ontico rispetto al giudizio affermante
l’identico predicato per il sensoriale -; e tale operazione conduce secondo le
modalità di un’analisi volta ad approfondire il predicato in vista di una
conoscenza del soggetto che si porti sotto la costa dell’apparente, in quanto
in un giudizio quel che in realtà si fa è di rilevare una certa area della
connotazione del soggetto, di delimitarla per dir così con uno steccato, onde
superare l’indeterminatezza del concetto del soggetto pel medio di un’analisi
che non sarà più abbandonata al caso e al disorientamento provocanti una
ricerca che or parte di lì or di qua perché di fatto non sa donde partire, ma
sarà facilitata nelle sue operazioni che han visto ridotto in buona parte il
terreno di scavo e sarà dotato di un orientamento nei confronti della totalità
del concetto perché la delimitazione fissata dal predicato ha fatto dell’area
circoscritta il principio, l’essenza, l’intelligibile di tutto il resto;
sembrerebbe, quindi, che l’analisi dovesse essere unidirezionale come quella
che in teoria è condotta su due concetti, ossia sul predicato in sé e sul
predicato in quanto immanente nel soggetto, ma di fatto deve introdursi su di
un unico ed univoco ontico intelligibile che è la porzione della connotazione
del soggetto di cui il predicato in sé non ha se non delimitato il perimetro;
ora, questo è vero quando
[pag 78 F 3]
il predicato è materiale, ossia quando le denotazioni che risultano
dalla rottura della sua unità sintetica coincidono con modi di essere del
concetto del soggetto i quali il pensiero umano non può ritrovare in nessuno
dei modi con cui esso esiste in quanto ontico riflettente e intelligente:
quando le note connotanti i concetti del soggetto e del predicato sono o
totalmente o parzialmente eterogenee dalle note proprie della connotazione del
pensiero riflettente ed intelligente,
il conosciuto offerto dalle note, che non può essere identificato in alcun
modo, da parte del pensiero stesso, con se stesso, né nella sua totalità né
nelle sue componenti costitutive, può essere chiamato materia, al fine di
rilevare la sua contraddittorietà, almeno parziale, con il pensiero che lo
conosce, e, inoltre, al fine di non confondere siffatta modalità di conosciuto
con l’oggetto che non è se non il conosciuto in generale, nella cui classe può
iscriversi non solo lo stesso pensiero, come tutto e come modi costitutivi di
esso, che può porsi a conosciuto di un atto di conoscenza del pensiero stesso
senza mai divenire materia, ossia oggetto eterogeneo dal soggetto, ma anche
quell’ontico che il pensiero conoscente avverte non coincidente con se stesso e
quindi materiale, benché ricco di una materialità particolare, come quello che
si attua in una zona di ontico ricca di quella peculiare autocoscienza
individua e determinata che il pensiero ritrova nella propria riflessione e
nella propria intelligenza; è logico, allora, che dinanzi a un predicato
materiale, a un predicato cioè che è la mera circoscrizione entro l’area
connotante il soggetto di una porzione qualitativa parzialmente o totalmente
eterogenea dalle denotazioni della riflessione intelligente, il pensiero di
condizione umana non abbia diritto di inserire tra il conosciuto assunto come
soggetto e il noto assunto come predicato una differenza la cui classe
abbraccia tutte le eterogeneità che distinguono un unico irripetibile da un
unico ripetibile, ossia, in termini più semplici, di diversificare la connotazione
del predicato dalla porzione che questo delimita nel soggetto nello stesso modo con cui un noto che è lecito aspettarsi di ritrovare in sintesi
altre da quella sotto cui si dà nella connotazione del soggetto si differenzia
da se stesso, in quanto connesso con altri noti in una sintesi che non si ha diritto di pensare tale da poter essere
ritrovata identica con altri noti utilizzati in altri momenti di questo e di
qualsiasi altro discorso; ora, in tale situazione, il pensiero ritrova, nella
permanenza e costanza in nome delle
[pag. 78 F4]
quali ha circoscritto nel soggetto una certa ((??terza??)) area della
connotazione e in nome delle quali ha disinnescato l’area erigendola a
((??o??)) noto a sé stante in quanto appunto permanente e costante, la liceità
o di analizzare la connotazione del predicato in sé o di analizzarla entro il
soggetto o di analizzarla in qualsivoglia altra sintesi si ripresenti, nel caso
che il predicato si dia parzialmente ignoto, o di ripetere per il predicato
tutte le conoscenze che della sua connotazione si sono ottenute grazie a
precedenti analisi, e di immetterle nella connotazione del soggetto sotto forma
di determinazioni da sostituirsi a quanto di indeterminato l’area rilevata in
tale connotazione presenta. Ma la condizione in cui il pensiero umano viene a
trovarsi dinanzi a un giudizio cambia quando il concetto del predicato o l’area
rilevata entro il concetto del soggetto non risultino costituiti da conosciuti
materiali, non si rivelino ciò((??cioè??)) o totalmente o parzialmente
eterogenei da ciò che il pensiero riflettente e intelligente è nel suo tutto o
in alcuni suoi modi; se chiamiamo formale un concetto che sia nozione di un
modo di essere generale o particolare della riflessione e della intelligenza,
la predicazione di un concetto formale ad una qualsiasi rappresentazione esige
un’analisi che determini la connotazione della forma considerata nel caso che
questa sia stata assunta indeterminatamente, e l’analisi può essere condotta
sia nell’area che il predicato circoscrive entro l’ambito del concetto del
soggetto sia sia nella sfera del pensiero riflettente ed intelligente appunto
perché il concetto del predicato
null’altro fa che indicare un modo di questo: si dovrebbe ammettere che,
trattandosi di un modo di essere che apriori è assunto identico se concepito
per sé e se concepito per altro, se non altro per il fatto che la predicazione
è sempre un indice di identità, nessuna differenza di conoscenza può risultare
dalla dissimiglianza dei termini su cui l’analisi è condotta, e l’ammissione
sarebbe legittima se i modi costitutivi della riflessione e dell’intelligenza
fossero unici ed univoci, ma sull’unicità e univocità della formalità del
pensiero di condizione umana si deve a giusta ragione dubitare come dimostrano
le considerazioni a) che le strutture costanti ed uniformi attribuibili
all’ontico in sé sono molte ed eterogenee non solo nella materia alla cui
elaborazione si sovraordinano ma soprattutto nelle loro modalità relazionali,
ossia nella loro forma, potendosi caratterizzare l’ontico in sé con un
determinismo meccanico o con un determinismo teleologico, con una legalità
matematica o con una legalità biologica, con un monismo o con un
|