- 79 -
[pag 79 F1]
dualismo e
con un pluralismo, b) che all’indubbia verità che la formalità del riflettere
intelligente consiste in comportamenti generalissimi fa ((fan??))riscontro le
verità altrettanto indubitabili che tali comportamenti, molteplici come sono,
non si danno con evidenza immediata né riducibili ad uno solo tra essi né
sussumibili l’uno sotto l’altro secondo un ordine di derivazione
apoditticamente uno, e che più comportamenti particolari possono discendere da
un solo comportamento generalissimo andando ad occupare contemporaneamente il medesimo
livello di specialità e il medesimo sito fissato su questo livello da un
medesimo punto di vista. Di qui risulta che un esame puramente formale del
pensiero riflettente ed intelligente in sé, ammesso e non concesso che sia di
diritto e di fatto possibile, procurerebbe una serie di nozioni la quale non
sarebbe mai univoca, ma almeno ambigua se non equivoca, e sarebbe capace di
porsi come una alla sola condizione che il pensiero riflettesse sui suoi modi
formali quali si danno entro una certa zona materiale, entro una certa classe
di conoscenze materiali. L’analisi, allora, consegue risultati diversi a
seconda che, applicandosi al concetto di esistenza che è concetto formale e
rivela la sua formalità con l’identificarsi con un possibile modo di conoscere
proprio della materia affermata esistente, ricerchi le denotazioni dell’esistere o nella connotazione dell’ontico che
è il concetto fatto soggetto del giudizio primo, o nella connotazione di quella materia nota che, presente nel pensiero
riflettente e intelligente e assunta a noto privilegiato in quanto unica
rappresentazione simmetrica ed equivalente dell’ontico in sé, gode della natura formale della riflessione
intelligente per la sua immanenza in questa e della capacità di rivelare la
formalità dell’ontico per la sua simmetria con questo: le due strade, infatti,
non sono né unidirezionali né biffate da nozioni identiche; lo potrebbero
essere solo nel caso che il concetto dell’ontico, posto a soggetto del
giudizio, coincidesse col concetto del conosciuto cui è riservato il compito di
rivelare la denotazione dell’esistere; ma questo in un eleatismo e in un
hegelismo non si verifica, giacché il pensato che il primo assume a principio
del discorso sull’esistere è in generale il geometrico con la conseguenza che
l’ontico in sé dovrà identificarsi con ciò che accoglie le generalissime
modalità formali di un geometrico ed escludere il fenomenico sensoriale, mentre
il secondo, proprio perché esercita la ricerca del’intelligibilità sul
fenomenico sensoriale, conclude in una denotazione dell’esistere che è quanto
qui ci interessa:La formalità del fenomenico è tale che, considerata in sé,
[pag 79 F 2]
accoglie la
denotazione della successione e della giustapposizione di eterogenei, e,
confrontata con la legalità geometrica, manifesta la contraddizione come suo
attributo fondamentale: la totalità del fenomenico, che almeno l’immaginazione
può offrire in atto al pensiero, è un quadro in cui incessantemente si
accendono e si spengono luci di colori
diversi e in cui, quindi, entrano nel conoscere ed escono dal conoscere qualità
materiali, in quanto sentite dal pensiero altre dai modi secondo cui essa
riflette e capisce; la stessa totalità è un quadro in cui molti materiali
eterogenei si danno a conoscere,
entrando e rimanendo nella conoscenza tutti, alcuni senza mai venir meno, altri
senza sottrarsi allo scomparire dalla conoscenza: l’unicità di almeno un modo
presente in tutti gli eterogenei, ossia l’unicità della loro caratteristica di
essere conosciuti all’improvviso fuori dalla necessità di conoscere qualcosa
d’altro per poter conoscere ciascuno di essi, induce il pensiero intelligente a
supporre una relazione sotterranea, celata sotto quel loro manifestarsi immediata, la quale potrebbe farsi ragione
dell’unicità stessa, una tale relazione sotterranea non compare o almeno non si
ha il diritto di giudicare conoscibile se per conoscenza si deve intendere quel
modo di darsi al pensiero che è esclusivo dei sensoriali; dunque, i molteplici
sentiti sono degli eterogenei irrelati. E’ questo l’aspetto del sensoriale in
sé e tale aspetto il pensiero chiama tempo quando si rifà a quell’apparire e
scomparire dei sentiti, chiama spazio quando si rifà al permanere dei sentiti
in quanto eterogenei; perché il tempo divenga un concetto e possa essere
denotato o come l’aristotelica misura del movimento o come il kantiano schema
assoluto e immutabile di una successione per eterogenei o come il bergsoniano complicarsi per
creatività limitata e condizionata o
come l’einsteniana determinazione quantitativa in rapporto funzionale con altre
determinazioni quantitative, occorre
sostituire al sensoriale una elaborazione del sensoriale stesso, la quale
potrà essere variabile a piacimento, ma
avrà sempre il carattere costante di mettere una unicità permanente
qualsivoglia al posto di ciò in cui non c’è unicità e di valersi di una certa
relazione fra molteplici eterogenei per molteplici eterogenei, che sono
relazionabili solo per un pensiero che li conservi non per una conoscenza
sensoriale che apoditticamente li deve eliminare via via che di per sé
scompaiono da essa; a livello del sensoriale puro il tempo
[pag. 79 F
3]
è il segno
da un lato del tipo di conoscibilità del sensoriale, costituito da un
rappresentare che si lascia costantemente distruggere da un altro eterogeneo,
secondo un modo che chiamiamo successione o mutamento, dall’altro di un modo di
esistere in generale che può essere
ricavato dal modo del conoscere, stante l’identità o dipendenza funzionale
dell’esistere dall’esser conosciuto, e che può essere identificato con un
esserci che si lascia costantemente distruggere ed annullare da un esserci eterogeneo, in quanto
esserci ed esser conosciuto sono qui la
stessa cosa e l’uno si fa condizionatore funzionale dell’altro a seconda che
l’attenzione del pensiero si porti
sull’uno o sull’altro. Altrettanto può dirsi dello spazio che non è se non
l’aspetto del sensoriale cui si rifa il
pensiero quando rileva l’eterogeneità di più sentiti nessuno dei quali venga
sostituito nella conoscenza da un sentito eterogeneo - e questo rilievo può
divenire relativo al pensiero grazie alla facoltà che il pensiero ha di
conservare il sentito nell’immaginazione anche quando cessi di essere
conosciuto all’improvviso e quindi di mantenerlo negli stessi rapporti di
eterogeneità con altri sentiti anche quando la conoscenza immediata non
verifica l’eterogeneità, facoltà questa che annulla il tempo -; qualunque altra
denotazione dello spazio, o quella geometrica di una certa misura che sarebbe
l’ontico in sé sotteso all’ontico per il pensiero del mero rapporto di
eterogeneità fra sentiti conosciuti immediatamente, o quella aristotelica di
una qualificazione in sé posseduta da un estremo di una certa misurazione
geometrica e destinata non solo a porsi in funzione di tale misura ma anche a
permanere quando venga meno l’eterogeneo sentito che consenta il misurare, o
quella newtoniano-kantiana di un’
assolutezza di simultaneità che esclude il condizionamento da qualsiasi
determinazione quantitativa e insieme da qualsiasi determinazione qualitativa,
essendo il simultaneo indipendente dalla misura e dal modo di esistere dei
coesistenti, o quella einsteniana di una certa diacronia instaurata non tra
eterogenei ma tra quegli omogenei che sono certi modi del pensiero ripetuti
identici entro la sostituzione di un eterogeneo ad un altro, ogni altra
denotazione dello spazio, ripetiamo, si dà alla condizione che alla relazione
di eterogeneità tra sentiti eterogenei si sostituisca una relazione di
omogeneità, alla condizione cioè che i due eterogenei, che il pensiero nella
sfera del sensoriale spazializza col solo rilevare la loro eterogeneità
[pag.79 F 4]
unitamente
all’assenza di sostituzione di un terzo eterogeneo a uno dei due, vengano
sussunti sotto un’identica nozione con un atto di generalizzazione indebito
come quello che si rifà a una loro qualsivoglia omogeneizzabilità che è per il
pensiero e non a quella loro assoluta eterogeneità che è per il sentito; lo
spazio non è che il segno della mera eterogeneità in quanto liberata dal tempo,
o meglio, come vedremo in seguito, in quanto lasciata nel tempo del pensiero e
astrattamente avulsa dal tempo del fenomenico sensoriale, come quella che
investe due sentiti di cui s’ignora di fatto e si vuole ignorare di diritto la necessità
della loro sostituzione da parte di due altri eterogenei. Ora, su questa
effettiva formalità del fenomenico sensoriale, avente a sue categorie il
conoscere istantaneo e libero da mediazioni, il tempo come conoscenza e
ignoranza secondo istantaneità e immediatezza senza ragion sufficiente
dell’ignorare e del conoscere, lo spazio come eterogeneità in un conoscere non
affetto da ignoranza, il pensiero deve lavorare per ritrovarvi ulteriori
denotazioni formali che la rendano congruente con la sua propria formalità,
proprio per la ragione che nessuna delle modalità generalissime del pensiero in
sé, indipendentemente da qualsivoglia dei loro possibili ordinamenti logici e
da questa o da quella delle molte determinazioni in cui l’uno o altro loro
ordine logico si particolarizza, ritrova se stessa nelle denotazioni formali
del fenomenico sensoriale, tranne che nell’istantaneità e immediatezza, la
quale però, affetta com’è da attitudine a passare dalla conoscenza
all’ignoranza e da eterogeneità, si rende estranea al pari della temporalità e
della spazialità alle leggi di ragione: questa ricerca di una intelligibilità
del fenomenico in sé è il contenuto del discorso di un hegelismo. E’ da dirsi
dubito che l’analisi hegeliana non è né un’operazione arbitraria in quanto
trova le sue ragioni sia nel giudizio da cui prende le mosse - il giudizio in
quanto predicazione di un certo modo all’ontico fenomenico assume a suo
presupposto la delimitazione entro i connotanti di questo di un’area di
intelligibilità; lo stesso giudizio, in quanto predicazione di una
intelligibilità meramente formale, presuppone una congruenza tra la formalità
del fenomenico e la formalità dell’intelligenza - né un’elaborazione che possa
prescindere da uno dei due termini del giudizio per applicarsi esclusivamente
all’altro, così come si dà in un eleatismo - il giudizio, infatti, nell’atto in
cui ha fatto suo il predicato dell’esistenza, ha affermato indeterminatamente
|