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una certa
modalità del conoscere, la cui determinazione non può escludere dalle sue fonti
né il pensiero riflettente e intelligente né la materia che vi penetra in forza
di certe modalità che la caratterizzano, il primo perché è il dettatore delle
condizioni che devono essere verificate dalla materia onde questa possa
divenire oggetto di una conoscenza per intelligibili e non di una conoscenza
qualsivoglia, la seconda perché è l’ontico che è tenuto a dimostrare la
congruenza tra le condizioni e la totalità del suo essere. Che siffatta situazione
sia legittima quando l’ontico sia il fenomenico sensoriale, che cioè il
pensiero riscontri una liceità effettiva di equazionare la formalità del
sensoriale con la formalità dell’intelligibile, che almeno in parte deve
accogliere in sé del geometrico, se non altro quell’unità e unicità che un
conosciuto deve avere per divenire intelligibile, è compito dell’hegelismo
dimostrare, e dimostrare per tutta la sfera del sensoriale e non per una zona
soltanto, con una limitazione del compito, tipica, ad esempio, di una scienza,
come lo storicismo marxista, ma non di una metafisica. Ma non è nostro impegno
qui di concedere o negare legittimità all’hegelismo e tanto meno di darne
un’esposizione che tocchi solo quei vertici che hanno che fare con il concetto
di negazione. Resta, perciò, che un hegelismo si dà il diritto di procedere con
una dialettica pendolare che dall’ontico fenomenico in sé si porta alla
struttura formale della riflessione intelligente per ritornare da questa al
primo, e si trova nella necessità di assumere la forma della riflessione
intelligente secondo alcune delle modalità che la geometria vi ha fissato, se
non rinvenuto: anche per un hegelismo l’intelligibilità intenzionale è
denotabilità della nozione da parte dell’unità e dell’identità, e quindi
coincide con l’univocità e con l’immutabilità dei rapporti di immanenza tra
vari pensati intelligibili e il pensato intelligibile che si pone a loro tutto
comprensivo; per il primo carattere dell’intelligibilità il fenomenico
sensoriale dev’essere uno e dev’essere pensato uno, donde deriva che,
nonostante il tempo che infrange il sentito in una molteplicità di eterogenei
ciascuno dei quali si sostituisce all’altro nel conoscere e nell’esistere, il
sensoriale dev’essere definito come un ontico uno nel cui seno albergano le
successioni, e che, nonostante lo spazio che disarticola il sentito in
un’irrelata frangia di molteplici eterogenei e insussumibili sotto nessuna
classe, tranne quella genericissima e qualitativamente irrilevante della
formalità esistenziale e cognitiva, il sensoriale dev’essere definito come un
unico tutto nel cui perimetro
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gli
eterogenei si giustappongono in una coesistenza che supera la mera spazialità
per fondarsi sulla coessenzialità. E’ questo l’unico condizionamento positivo
che un hegelismo deve accettare dal geometrismo formale dell’intelligibilità ed
è l’unica risultante che un hegelismo non possa ripudiare dal moto pendolare
che dal formalismo intenzionale in sé porta al formalismo dell’ontico in sé.
Quando poi si passi all’altra condizione della permanenza o costante identità
con se stesso dell’intelligibile, l’irriducibilità del fenomenico sensoriale a
questa condizione si pone come l’effetto o il segno apparente di un’opposizione
insuperabile della struttura formale dell’essenza profonda dell’uno che si
squaderna nel sentito contro la struttura formale dell’essenza profonda
dell’intelligibilità geometrica; e poiché identica opposizione è presente nel
pensiero stesso e nell’area di questo prende corpo nella contraddizione e nella
negazione, i poli che si oppongono all’univocità e costanza della relazione di
immanenza di tipo geometrico, l’opposizione da relativa al pensiero si fa
assoluta ossia relativa all’ontico, il quale divarica sé in un modo tipico del
suo esistere in sé, che sarà contraddizione e negazione, e in un modo tipico
del suo esistere per il pensiero, che sarà esclusione della contraddizione e
della negazione, essendo tuttavia comuni ad entrambi l’universalità e la
necessità che non possono non affettare ((??)) un ontico in quanto
intelligibile. La conseguenza della temporalità o assoluta, che è divenire, o
relativa, che è molteplicità eterogenea in simultaneità, è la contraddizione e
la negazione reciproca dei molti eterogenei; la sua ineliminabilità dal
fenomenico sensoriale si traduce nella forma intelligibile di questo e nella
forma di tutti gli intelligibili sotto cui il fenomenico debba legittimamente
essere sussunto. Che da siffatta prima determinazione dell’ontologico derivi una logica che a suo contenuto formale
avrà il solo concetto della contraddittorietà, e che per il resto dovrà
identificare la sua piramide formale con la materia sensoriale, intepretata in
questo o in quel modo, che in un hegelismo
la logica cessi di essere formale per farsi materiale, è considerazione
che dobbiamo fare per intendere come al pensiero sia data la legittimità di
costruire una serie di intelligibili a cui la legislazione
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deriva dal
fenomenico e che in alcun modo può pretendere di attingere la sua validità da
una struttura estranea al fenomenico e sovraordinata al materiale intelligibile
stesso; quel che interessa qui è però rilevare come dimostrato il fatto che,
quando i confini dell’intelligibile sono estesi al di là del fenomenico, la via
all’insù che mutua la legislazione formale dell’intelligibile dal sensibile
trae da questo la contraddizione e la negazione, così come in fondo aveva fatto la via all’ingiù, ma con
l’opposta valutazione dei due modi fenomenico-temporali, ossia con la loro erezione
a norma dell’essere e non con la loro riduzione a inintelligibili e superflue
entità la cui presenza nel fenomenico non intacca l’intelligibilità di questo e
il cui residuo nell’intelligibile dev’essere annullato se non si vuole viziare
questo di invalidità. Spetterà poi all’hegelismo descrivere l’ontico
intelligibile in modo tale da giustificarne la struttura fondata sulla
negazione, allo stesso modo che a un aristotelismo tocca aggiungere all’ontico
intelligibile qualche aspetto che giustifichi l’esistenza, sia pur solo
relativa o ipoontica, del negativo.
Tuttavia con
la distinzione tra un’intelligibilità ad imperio di identità che estende se
stessa al fenomenico e un’intelligibilità a base sensoriale che fenomenizza
l’intera classe degli intelligibili con
l’identificare in essi la forma e la materia, si coglie soltanto la differenza
superficiale e appariscente tra un hegelismo e un aristotelismo. Bisogna
oltrepassare quella soglia per giungere all’anima o al genio delle due
correnti. Che il fenomenico sensoriale appaia caratterizzato da certi modi di
esistenza se considerato e descritto come si manifesta in sé, mentre risulta
dotato di differenti modi di esistenza se lo si descrive nella struttura che
acquista in seguito alla sua entrata nel pensiero, è cosa che può essere
abbastanza evidente quando si tengan presenti alcune osservazioni: il sentito
nella sua immediateza è preda totale del tempo e della pluralità irrelata, perché da un lato nella
sfera sensoriale che di fatto è data le sensazioni insorgono all’improvviso
sottentrando a sensazioni che d’improvviso scompaiono per lasciare posto ed
esistenza alle nuove, dall’altro questa sensazione o questo gruppo di
sensazioni che giacciono nell’esistenza a lato di quest’altra sensazione o di
quest’altro gruppo di sensazioni non presentano nulla di comune e di identico,
almeno in quell’immediatezza sotto cui si danno, e quindi non lasciano adito a
rapporti, ad eccezione di quello di eterogeneità assoluta; la situazione del
sentito cambia quando abbandona
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lo stato di
immediatezza e si lascia elaborare dal pensiero, almeno fino a quelle forme che
sono il presupposto dell’azione che una ragione esercita su un conosciuto; la
prima di tali forme è l’unità di un molteplice in generale, un’unità che è
qualcosa di più e di diverso dalla sintesi percettiva nel senso che, se è vero
che un esame condotto sul sentito prima di ogni elaborazione di pensiero lascia
a giusta ragione dubbiosi che quel sentito insorga veramente in quella
spezzettatura assolutamente irrelata di sensazioni da cui noi stessi siam
partiti e che non spiegherebbe i condizionamenti cognitivi in cui i vari
sentiti si trovano sottoposti ad opera di altri sentiti coesistenti, è
altrettanto vero che l’unità della percezione o unità del sensoriale in sé è
un’unificazione qualitativa che anzitutto è al di fuori del tempo, nel senso
che non riguarda in alcun modo la conservazione di qualcosa di immutato
permanente al di sotto delle modificazioni diacroniche, e in secondo luogo
investe l’intera sfera spaziale, nel senso che riguarda non questa o quella
particolare unificazione di sentiti, ossia la percezione in funzione della sua
intelligibilità, ma l’intera sfera del sentito qual è data nell’istante al di
fuori e al di sopra delle suddivisioni che lo sforzo di intelligibilità vi
introdurrà; l’unità del molteplice in generale prodotta dal pensiero o unità del sentito in quanto pensato
coinvolge tempo e spazio, e non si arresta ai condizionamenti sensoriali che la
compresenza provoca fra sentito e sentito: infatti, quando il pensiero fa sua
la sfera sensoriale che gli si presenta nell’istante, ad esempio l’intero
complesso delle sensazioni che a noi si offrono in questo istante in cui stiamo
leggendo queste righe, prende ciascun sentito e lo connette con ogni altro
compresente con relazioni che nulla
hanno che fare con i condizionamenti funzionali per cui la qualità di questo
sentito si subordina alla qualità di tutti o di alcuni altri modificando il
proprio essere qualitativo in funzione della qualificazione dei condizionanti,
in quanto le connessioni che esso pensiero immette non sono se non la
rappresentazione o immagine di legami profondi e non sensoriali che sono
affermati esistenti sotto la fenomenica apparenza dell’intero quadro e capaci di
partire dall’essenza profonda rivelantesi con il qualitativo sentito per
investire e legare a sé l’essenza profonda degli altri qualitativi sentiti;
perciò tale unità generata dal pensiero non coincide per nulla con l’unità del
molteplice in generale della kantiana appercezione trascendentale; questa, in
realtà, nulla di più è che la nota comune a tutti i sentiti di essere dei
conosciuti di una coscienza
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