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che si sente
una, pur non potendo giustificare la propria unità con una ragion sufficiente
che sia altra dal mero darsi di conoscenze in una coscienza che pur
conoscendoli come dei molteplici eterogenei e pur avvertendo di esistere, come
conoscente, in funzione di ciascun eterogeneo noto, ciononostante afferma se stessa
costantemente identica come soggetto conoscente e quindi come una; e cioè, come
rivela la tautologia della definizione, un’unità che scaturisce dalla
condizione in cui ci veniamo a trovare quando dopo aver fenomenizzato tutto
l’ontico ci rendiamo conto che lo stato fenomenico che è irrelatezza e
molteplicità può investire tutto ad eccezione della natura del conoscente che
deve restare immota nella sua unicità assoluta di centro cui tutti gli
eterogenei si riconducono e che, al tempo stesso, non può essere né pensata né
definita come sostanza; è insomma un’unità cui si perviene come a termine
ultimo di analisi e come a fattore inintelligibile e insieme necessario, inintelligibile perché con la descrizione
dell’unità del sentito come unicità di un fattore cui si collegano in rapporto
molti fattori eterogenei che verrebbero a trovarsi connessi tra loro in forza
del loro comune legame ad un uno, vorrebbe far coincidere una conoscenza che
nella descrizione ritrova se stessa solo in parte, e precisamente nella
presenza o apparenza a sé dei molti noti, ma non in tutto, restando fuori dalla
descrizione ad esempio la fondamentale sensazione dell’autocoscienza che per
quanto si tenti di relegarla nel vacuo fenomenico in quanto apparenza
superficiale del rapporto profondo dell’Io penso, non ritrova in questo quella
riflessività o rappresentabilità senza cui né il fenomeno dell’autocoscienza né
qualsivoglia altro fenomeno sono pensabili in quanto riflessi e rappresentati;
necessario perché, una volta fenomenizzato tutto, bisogna pure trovare qualche
unità che giustifichi le varie unità sotto cui il molteplice fenomenico si
presenta; d’altra parte, l’unità generica della kantiana appercezione
trascendentale non coincide né con l’unità immediata del condizionamento funzionale
reciproco sotto cui il sensoriale si presenta in sé dal punto di vista dei suoi
modi qualitativi né con l’unità mediata della connessione essenziale profonda
sotto cui il pensiero guarda alla spezzettatura irrelata e superficiale dei
molti sentiti, non con la prima perché essa, introducendosi, non sarebbe in
grado di provocare quei mutamenti qualitativi di cui l’unità
funzionale-qualitativa è causa, non con la seconda perché essa non investirebbe
delle essenze inesistenti ma delle mere
apparenze, non con tutt’ e due perché essa, se veramente fosse presente,
sarebbe il principio da cui l’una e l’altra trarrebbero
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origine o il
fondamento su cui l’una e l’altra s’appoggerebbero; infine l’unità di cui parla
Kant è mero strumento metafisico valido sia a dar vita al principio di un
discorso che voglia giungere a dimostrare la validità della scienza sia a
consentire una conoscenza in generale una volta che si siano volute ignorare,
muovendo dai presupposti, solo parzialmente veri, di un empirismo totale dai
quali sono distrutte quelle unità fenomeniche cui noi qui ci rifacciamo e che
non possono essere tolte dal fenomenico stesso pena il fare del fenomenico non
quello che è nell’esperienza in atto ma quel che si vuole che sia muovendo da
certe sue definizioni e traendo da queste tutte le possibili conseguenze; e aggiungiamo che le due unità
da noi prese in considerazione non sono che alcune delle unità che di fatto il
fenomenico offre e senza le quali non si dà fenomenico. Dunque, l’unità essenziale
e profonda insorge nel fenomenico quando il pensiero se ne impadronisce e lo
trasferisce da quel suo darsi in sé e per sé al nuovo suo darsi nel pensiero e
per il pensiero: ora, in tale unità le sensazioni e i complessi sensoriali sono
connessi son solo nello spazio, ma anche nel tempo, in quanto la nuova
equazione cui il pensiero ha dato vita, i molti sentiti sono nel loro intimo un
uno, coinvolge non solo lo stato all’istante ma tutti gli stati passati e
futuri del sensoriale, stati che nel fenomenico in sé non si danno perché
destinati a venire dallo zero del qualitativo per ritornare in un qualitativo
zero, ma si danno nel fenomenico per il pensiero, in cui la memoria e
l’antipazione ((??anticipazione??)) dei possibili aduna in compresenza i sentiti
all’istante a lato dei sentiti inesistenti, o passati o futuri. E, comunque la
partecipazione dell’esistenza dei sentiti all’esistenza dell’uno che tutti le
comprende sia definita, è solo nel fenomenico ridotto dal pensiero ad un’unità
essenziale che si possono dare rapporti di immanenza ossia rapporti per cui
ogni sentito è pensato come parte costitutiva di un tutto: nel fenomenico in sé
tale immanenza o partecipazione di esistenza non è pensabile, in quanto ogni
sensazione o ogni gruppo di sensazioni che tragga origine dal condizionamento
qualitativo reciproco, giacciono fuori da ogni relazione con tutto il resto del
fenomenico che si dà nell’istante e tutt’al più sono sentiti in unità col tutto
del fenomenico in funzione del fatto che tutti vi sono sentiti come conosciuti
nello stesso modo, il che fonda non l’unità dell’essere del fenomenico,
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ma l’unità
del suo essere conosciuto, che è appunto l’unità di Kant, la quale tuttavia non
è connessa da nessun rapporto intelligibile con un’unità reciproca dei sentiti
in sé. Se ora ci portiamo nell’unità generata
dal pensiero per assumerla in quel che essa è e nelle sue conseguenze,
senza chiederci la sua ragion sufficiente e i fattori da cui il pensiero è partito
per rendere lecita a se stesso l’unificazione essenziale, se cioè ci rendiamo
conto che l’unità essenziale si traduce di fatto in una serie di affermazioni
per le quali ogni sentito è dichiarato
immanente in un tutto sotteso, piattaforma comune in cui ogni sensazione
affonda le sue radici, vediamo siffatto modo tradursi in sorgente e in
principio della negazione, con la conseguenza che dovremo parzialmente
correggere la descrizione che ne abbiam dato, dichiarando che la negazione non
appartiene alla sfera del fenomenico sensoriale in sé, ma a tale sfera a
livello della prima elaborazione che ha subito ad opera del pensiero nell’atto
in cui questo la traduce in sé; solo entro questo perimetro si assiepano i
rapporti di immanenza che si escludono a vicenda e che riescono a prevalere
l’uno sull’altro grazie al loro riferimento alla sfera del fenomenico in sé. E’
lecito, quindi, affermare che il fenomenico sensoriale nell’ambito della
coscienza non resta né unico ed univoco né in una sintesi, alla Schopenauer, in
cui la scissione analitica raggiunge
concretezza solo al livello metafisico; di fatto, il fenomenico sensoriale si
offre al conoscere in due modi, immediatamente e senza modificazioni
elaborative e sostitutive dell’immediata apparenza, secondo un modo che
potremmo chiamare intuitivo sensoriale, immediatamente ma con l’aggiunta delle
intepretazioni elaborate dal pensiero, secondo un modo che potremmo chiamare
intuitivo razionale: i due modi si danno in assoluta distinzione solo in
situazioni particolari, soprattutto quando il fenomenico di intuizione
sensoriale sia tale da non essersi mai
primo ((??prima??)) offerto ad alcuna elaborazione razionale o quando un moto affettivo di violenza straordinaria
sconvolga l’elaborazione che di solito il pensiero sovrappone all’immediata
intuizione sensoriale; di solito i due modi si danno confusi o meglio in uno stato di indistinta
sovrapposizione, che risulta dall’applicazione dell’intuizione razionalmente
elaborata all’immediato dato sensoriale, ma che non coincide mai con una
sintesi completa dei due, tant’è vero che il pensiero stesso si dà pena di
tenerli separati e distinti onde ritrovare nel primo il termine di confronto e
di convalida per il secondo; e
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tale stato
di sovrapposizione indistinta, che di solito chiamiamo mondo, conosce
molteplici modi, tanti quante sono le varie elaborazioni cui il pensiero
sottopone il sensoriale immediatamente intuito e tradotto nelle forme
primordiali di interpretazione razionale: l’universo della vita comune non è che uno di quei modi, quello la cui
elaborazione trova alle sue sorgenti l’agire e il vivere, e ad esso si
affiancano alcuni altri universi, che non coincidono certo con tutte le teorie
filosofico-metafisiche, ma che piuttosto ritrovano la loro struttura nel filone
essenziale di cui le teorie sono determinazioni. Ora, il fenomenico, ridotto
alle sue due forme originarie, quella dell’immediata intuizione sensoriale e quella della primordiale interpretazione
razionale, non è indifferente e non può indifferentemente esser assunto o nell’una o nell’altra forma; ci sono
differenze profonde a lato di una sostanziale identità, fornita dal materiale
sensoriale che si dà comune ad entrambe: medesimi permangono i sentiti nella
loro qualificazione fenomenica sia che
vengano relazionati solo con se stessi e non possano essere di diritto
rapportati a un tutto che li comprende o a parti di questo tutto che si
danno omogenee ad essi, sia che vengano
immessi in rapporti o di immanenza in una totalità o di omogeneità con altri;
nel primo caso essi vengono all’esistenza, vi permangono, ne escono senza che
s’instauri nessun rapporto e quindi nessuna contraddizione per divenire o per
molteplicità e quindi senza che valgano a dar luogo a negazioni; nel secondo
caso essi giacciono nell’esistenza secondo rapporti di immanenza e di
eterogeneità che provocano contraddizione e negazione. Il fenomenico, dunque,
nella sua intuitività sensoriale non conosce negazione; la negazione compare
solo nel e per il pensiero, quando questo abbia fatto suo quel fenomenico e gli
abbia imposto l’originaria e primaria elaborazione razionale. Ma poiché il
fenomenico di intuizione sensoriale non dà luogo a nessuna conoscenza in quanto
per il pensiero di condizione umana conoscere significa non semplicemente
rappresentare, ma rappresentare secondo strutture in cui possano incunearsi
certi processi di intepretazione, per il pensiero un fenomenico assoluto né è
utile né è da prendere in nessuna considerazione tranne che in quella che ne fa
una labile appariscenza di quel fenomenico profondo di cui la sua originaria
elaborazione indica il vero essere; e a questo punto l’applicazione
dell’interpretazione all’intuitivo sensoriale,
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