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o piuttosto
la sostituzione dell’intuitivo razionale all’intuitivo sensoriale avviene
secondo direzioni divaricantesi: o il pensiero attua la sostituzione in
assoluto e in questo caso il
fenomenico vien ricondotto sotto tutti
gli aspetti all’elaborazione razionale acquistando gli attributi della
contraddittorietà e della negazione, ed è questa la strada battuta da un
hegelismo, o il pensiero limita la sostituzione ad alcuni aspetti essenziali,
in particolare all’unicità razionale, e in questo caso il fenomenico essenziale
vien descritto come una sorta di contaminazione per la quale l’intuizione
sensoriale pura conserva la sua struttura pura da contraddizione e da negazione
e l’estende al pensiero di condizione umana in quanto rappresentativo
dell’essenziale e libero da intrusioni
sue proprie, soggettive tanto per intenderci, mentre la stessa
intuizione accoglie in sé quel tanto di elaborazione ad opera del pensiero che
non contraddice e non ripugna all’essenza assoluta di contraddizione e di
negazione, ed è questa la strada che un aristotelismo batte. Ma quel che qui
interessa è che sia nell’uno che nell’altro caso il fenomenico di pura
intuizione sensoriale è assunto dopo una sua traduzione da parte del pensiero
in alcune o in tutte le condizioni che lo caratterizzano, e quindi dopo la sua
introduzione nell’area della razionalità
riflessa, nella quale al puro intuito sensoriale saranno tolti in tutto e solo
in parte i suoi attributi, ma in tutti i modi tale intuito verrà colto entro il
pensiero e tale da poter accettare i modi del pensiero. Ora, tra questi c’è
proprio e tipico della condizione umana del pensiero anche il modo della
possibilità, che il fenomenico in sé ignora e il cui intervento nel fenomenico
amplia la liceità della negazione. Se per possibilità s’intende la nozione
della simultaneità contraddittoria o eterogenea rispetto all’esistenza, ossia
la consistenza ((di)) nel pensiero di due rappresentazioni omogenee nella
materia, ma eterogenee nella forma, in quanto l’una pensata come esistente,
ossia come data alla conoscenza fuor di tutte le condizioni soggettive del
conoscere, l’altra pensata come non esistente, ossia come data alla conoscenza
ma nelle condizioni soggettive del conoscere, tale coesistenza trova il suo
simmetrico in due giudizi che hanno a soggetto comune la materia delle due
rappresentazioni, e a predicato l’uno il concetto di esistente, l’altro il
concetto di non esistente; l’assenza, o la volontaria rinuncia a ricercarle e a
trovarle, delle ragioni sufficienti a porre come apodittico l’uno o l’altro dei
due giudizi, porta il pensiero
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a
conservarli entrambi e insieme a mantenere la materia della rappresentazione,
nonostante la contraddittorietà che la pervade, in uno stato di conoscenza che
non garantisce la liceità del suo pensamento e nemmeno la invalida; in siffatto
caso la materia della rappresentazione viene utilizzata, a volontà del
pensiero, in qualsiasi discorso e porta con ciò a conseguenze le quali però
patiscono al pari del loro principio di
quella duplice predicabilità; quando una materia rappresentata è pensata in tal
modo, diciamo che è possibile e con tale attributo indichiamo la sua
capacità a conservare valore e vitalità come pensato e conosciuto, non
garantita però dall’intervento di ostacoli che costringano ad espellerla dal
pensiero. Per questo, diciamo che la possibilità alberga solo in un pensiero di
condizione umana, perché la contraddittorietà che affetta il suo sottofondo,
ossia la contraddizione tipica dell’esistenza nel pensiero del pensato
possibile si traduce nell’oggetto nella contraddizione propria dell’esistenza
attribuita all’oggetto; ma questa è esistenza in sé non soggetta ad alcuna
condizione che non sia dell’oggetto stesso; e poiché tra le condizioni
dell’esistere nel e pel soggetto c’è il conoscere in atto, un’esistenza che
possa essere e non essere conoscenza in atto
non può essere dell’oggetto: la possibilità non è dell’oggetto, o può
esserlo secondo modi che della possibilità del pensiero hanno solo i modi, non
l’essenza e la struttura. Poiché il principio della possibilità può essere
anche un atto di volontà, nel senso che un qualunque pensato a qualsivoglia
classe appartenga può esser posto dal pensiero in una situazione di
simultaneità contraddittoria con se
stesso dal punto di vista del suo esistere, e con ciò può esser posto a
soggetto di due giudizi il cui predicato sia rispettivamente l’esistere e il
non esistere, con la conseguenza che al pensiero è lecito chiamare al non
esistere di diritto il pensato che esiste di fatto e di diritto e
rappresentarsi come esistente qualunque pensato che di fatto e di diritto debba
essere affermato inesistente, la facoltà del possibile amplia indefinitamente
l’area del pensiero non solo relativamente alla rappresentazione ma anche
rispetto a tutti quei modi cui la rappresentazione si adatta nell’atto stesso in cui accede al pensiero razionale, e
quindi rispetto alla contraddizione e alla negazione. Infatti, l’intervento
della possibilità scinde il pensato in due grandi classi, la classe
dell’apoditticità e la classe della problematicità, nella prima delle quali
entrano tutte le rappresentazioni che al pensiero non è dato rappresentarsi in
altro
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modo da
quello con cui se le rappresenta, mentre nella seconda rientrano tutte le
rappresentazioni in generale, comprese le rappresentazioni apodittiche, in
forza della liceità che il pensiero ha di rappresentarsele in altro modo come quelle che possono essere
pensate esistenti nel modo in cui esistono e non esistenti secondo questo, e
quindi, eventualmente, secondo altro modo il quale, a sua volta, può essere
pensato non esistente in quanto contraddetto nell’esistenza o dal primo modo o
da un terzo modo: le rappresentazioni apodittiche, dunque, grazie alla
volontarietà della possibilità si offrono al pensiero anche come problematiche
non solo nell’esistenza, ma anche, indirettamente, nella qualità secondo cui esistono, essendo sempre lecito dedurre dall’inesistenza di questa qualità
l’esistenza di un’altra che le affetti in altro modo, e riducendosi, in questo
caso, la sfera del lecito alla scelta del nuovo modo esistenziale entro tutte le possibili rappresentazioni di
cui il pensiero di fatto è capace. Che se poi si tratta di stabilire
l’apoditticità di certe rappresentazioni non già nella sua natura formale di necessità
di essere rappresentate nel modo in cui sono rappresentate e nell’illiceità di
venir rappresentate in modo altro da questo, ma nelle ragioni sufficienti che
la pongono, una delle possibili vie secondo cui l’apoditticità può essere
stabilita rispetto alle sue ragioni è quella della fenomenicità per intuizione
sensoriale, al di là della quale un discorso a base fenomenica com’è quello che
stiamo svolgendo non può, d’altra
parte, portarsi; una volta posta l’apoditticità come derivata dai modi del fenomenico quale si dà nella pura
intuizione sensoriale, si deve riconoscere che la predicazione della nozione di
apodittico spetta a quelle rappresentazioni che corrispondono a un dato del
fenomenico di intuizione sensoriale o a quelle rappresentazioni con cui si
determinano i rapporti invisibili che
intrecciano in unità i dati sensoriali dispersi: potrà sembrare strano che qui
si pongano sullo stesso piano di necessità le sensazioni di colore e i concetti
matematici, ma a guardar bene sul piano del fenomenico non si riproduce quella
distinzione tra necessità razionale o di intelligibilità e ((o??)) necessità
intuitiva o di fatto cui si arriva solo dopo aver assunto un particolare punto
di vista, quello ontologico, che riempie di una certa connotazione il concetto
di necessità; sul piano del fenomenico il rosso di una sensazione è altrettanto
necessario dell’eguaglianza di due angoli alterni interni, tant’è vero che
nell’esperimento ci si vale proprio della necessità di conoscenze del tipo di
quella sensazione per garantire una necessità del tipo di quest’uguaglianza.
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Dalla
facoltà del possibile il pensiero di condizione umana ricava un’ampiezza di
orizzonte che supera di molto il perimetro dell’apoditticità fenomenica e una
libertà di movimenti il cui effetto è, tra l’altro, di sottrarre la negazione
alle condizioni cui deve sottostare nell’area del fenomenico: ed appunto il
fatto che la negazione insorge in seguito al trasferimento del fenomenico
dall’intuizione sensoriale all’interpretazione razionale, in seguito cioè
all’arricchimento del fenomenico di modi peculiarmente soggettivi, dimostra che
la negazione è un dato della razionalità soggettiva, conservabile anche
nell’area dell’ontico in sé alla condizione di trasferire il soggettivo
all’ontico in sé, alla condizione che il razionale sia reale, e che quindi
la negazione è atta a patire tutti i modi propri del pensiero in sé,
compreso quello della possibilità. Con ciò la negazione è un apodittico e un problematico,
e solo muovendo da questa duplice natura è lecito darsi una comprensione totale
della negazione, in particolare in quell’ultima sua denotazione che ancora
resta da esaminare, la nota che la caratterizza di porsi in seguito a una certa
sussunzione, in seguito alla
connessione a fini di intelligibilità tra due nozioni, ossia in seguito a ciò
che abbiam chiamato l’appello a una denotazione particolare.
La
negazione, in quanto appello a una denotazione particolare, riceve una prima
luce di intelligibilità dall’esame che si può condurre entro i limiti
delll’apoditticità fenomenica: qui il pensiero aduna in unità tutte le
rappresentazioni passate e presenti, sensoriali e intelligibili, e grazie
all’unità si pone in grado di connettere in rapporti di immanenza ogni
rappresentazione sensoriale con il complesso unitario dei fenomeni, mentre
grazie all’intelligibilità si dà la liceità di connettere in rapporti di
immanenza sia uno fra un certo gruppo di rappresentazioni sensoriali con il
gruppo stesso al quale la sostanzialità, conferitagli dalla natura
intelligibile sua peculiare, dona quel certo modo di unità che chiamiamo
percezione, sia una delle percezioni con l’unità globale del fenomenico, sia
una delle nozioni concettuali, sotto cui una determinata area del fenomenico
può essere ricondotta per derivarne intelligibilità, con un’altra tra le
medesime nozioni che sussume e con ciò
rende intelligibile un’area più ristretta di fenomenico, sia una delle nozioni
concettuali o con una certa area di fenomenico o con la totalità stessa del
fenomenico; poiché abbiam già visto che a questa immagine intuitivo-spaziale di
un rapporto di immanenza corrisponde un giudizio in cui il soggetto è
costituito dal concetto
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