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sotto cui è
lecito sussumere il tutto che accoglie in sé come immanente la parte, mentre il
predicato è offerto dal concetto sotto cui si sussume la parte che immane nel
tutto, ad ognuna di siffatte relazioni di immanenza corrisponde un giudizio del
tipo A è B, in cui A è o il concetto della totalità del fenomenico o il
concetto di una percezione o una certa nozione, e B è o il concetto di un
particolare sentito o il concetto di una percezione o una nozione generica: per
maggior chiarezza, diremo che il giudizio categorico A è B é la formula cui si
riconducono i giudizi: l’universo è rosso, il sangue è rosso, l’universo è
viviparo, il vertebrato è omotermo, Socrate è uomo, l’universo è animato.
Finché il rapporto di immanenza, qualsivoglia sia la parte relazionata al
tutto, è riguardato dal punto di vista della primordiale interpretazione razionale
del fenomenico, nella quale ogni sentito è nel tutto indipendentemente dal
tempo e dall’angolo sotto cui l’universo è considerato, finché cioè il rapporto
è lasciato nella sua esclusiva soggettività, il pensiero chiuso com’è in se
stesso conserva immutati e validi sia il rapporto che il giudizio
corrispondente; ma basta che il rapporto sia ricondotto alla sua fonte pura,
cioè al fenomenico di intuizione sensoriale, perché il pensiero sia
costretto a fare i conti con una
oggettività su cui tempo e angolo di visuale hanno una presa ineludibile:
quando il termine che nella relazione di immanenza è posto a parte del tutto è
un sentito, il rapporto, relazionato non più al pensiero ma al fenomenico di
intuizione sensoriale, deve riconoscere che al mutamento di ambiente tien
dietro l’ottemperanza al tempo e quindi alla successione delle sensazioni che immangono nel tutto fenomenico,
successione che sarà lecito giustificare con ragioni sufficienti e con ciò
ricondurre a una apoditticità intelligibile, ma che ciononostante resta quel
che è, un presente in cui si danno come compositive del fenomenico i sentiti
intuiti all’istante e non i sentiti intuiti in un passato non più ripetuto e
non i sentiti la cui intuizione è prevedibile nel futuro; e se per caso la sensazione
che nel rapporto è dichiarata immanente non coincide con un sentito intuito
all’istante il rapporto deve essere escluso dal pensiero che voglia adeguare la
sua interpretazione razionale del fenomenico al fenomenico quale si dà
nell’intuizione sensoriale pura; e l’esclusione prenderà la forma di un
giudizio in cui la negazione della copula o del predicato - è molto discutibile
la scissione kantiana della classe delle negazioni nelle due classi dei giudizi
negativi e dei giudizi infiniti - è il segno dell’esclusione del rapporto di
immanenza del predicato
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nel
soggetto: A non è B, A è non B è la formula cui si riconducono i due giudizi
“l’universo è rosso”, “ il sangue è rosso “, quando nell’intuizione sensoriale
all’istante la percezione “ sangue” conservi le sensazioni che la componevano e
rispetto alle quali sia essa che l’unità del fenomenico abbracciavano in sé la
sensazione del predicato, ad eccezione di questa stessa. D’altra parte, lo
stesso rapporto di immanenza, che abbia come termine assunto a parte di un
tutto una nozione intelligibile, voglia porsi a rappresentazione del fenomenico
di intuizione sensoriale pura, deve, esso pure, ricondursi al tempo; ma per
esso l’ottemperanza all’imperio del tempo non è condizione sufficiente di
validità ontica, perché è anche necessario che esso rispetti la congruenza col
punto di vista. L’introduzione della nozione di intelligibilità equivale a una
separazione entro l’area del fenomenico di due zone che si distinguono per
caratteri opposti, essendo l’una costituita da enti costantemente identici a se
stessa e qualitativamente immutabili o, se si vuole, universali e necessari, e
l’altra da enti atti ad assumere molteplici modi qualitativi e destinati a
patire mutamenti qualitativi o, se si vuole, particolari e contingenti; che gli
ontici siano dei qualificati ed intuiti oppure siano dei qualificati che solo
mediatamente si lascian intuire, che siano dei rapporti tra qualitativi
intuiti, poco importa, perché l’identità e l’immutabilità, o l’universalità e
la necessità, introdotte dall’intelligibilità, spezzano comunque il fenomenico
in due classi indipendentemente dalla natura e dal modo cognitivo propri di ciò
che è intelligibile e di ciò che non lo è; con l’intervento
dell’intelligibilità, e con le conseguenti bipolarità del fenomenico, sia di
interpretazione razionale che di intuizione sensoriale pura, e rilevanza
data a certe rappresentazioni che sono
appunto gli intelligibili, la sfera del fenomenico si trova condizionata da un secondo modo, che s’affianca a quello
del tempo: essendo l’intelligibile da un lato un particolare attributo del
fenomenico dall’altro una molteplicità di rappresentazioni che si riferiscono a
differenti zone del fenomenico caratterizzato da quell’attributo, il pensiero
può servirsi di una delle nozioni intelligibili per interpretare il fenomenico, ossia per distinguervi quel che
di intelligibile in esso si verifica, alla condizione di traguardare il
fenomenico pel medio della nozione stessa in modo che le linee di conoscenza
che muovono dalle note connotanti l’intelligibile in sé vadano a toccar non dei
fenomenici in generali, ma quei particolari fenomenici che si rivelano, in uno
o in altro modo, identici alle note
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connotatrici:
con un’immagine intuitiva, il concetto coincide con un punto da cui si
dipartono in fascio delle semirette, che sono altrettante linee della
cognizione intelligibile, le quali intersecando il fenomenico vi disegnano una
determinata circonferenza dentro cui
vanno a sistemarsi tutti i sentiti o i percepiti che si danno in congruenza o
in una certa identità di tipo qualitativo con i modi del punto ciascuno dei
quali è all’origine di una semiretta, sicché il pensiero, contemplando il
fenomenico dall’origine del fascio delle semirette, è costretto a scorgere non il fenomenico o in generale o nella sua
totalità, ma il fenomenico e in quella parzialità perimetrata dal fascio e in
quella particolarità contrassegnata da ogni qualità intelligibile: è questo
quel che Aristotele chiama punto di vista. E’ naturale che questo modo
condizionato di conoscenza investa al pari del tempo sia la totalità del
fenomenico in quanto di intuizione sensoriale sia la totalità del
fenomenico in quanto di interpretazione
razionale, e che, nel caso che il pensiero esiga che questo si ponga in
congruenza o in simmetria col primo, l’atto del traguardare, del contemplare
dal concetto come da sorgente di conoscenza, non sia indifferente, nel senso
che non sia lecito che si attui da un qualsiasi intelligibile
un’area
indeterminata del fenomenico, ma da un certo intelligibile sull’area fenomenica
congruente con l’intelligibile. Ora, poiché il traguardare stesso non è che
un’immagine di cui ci si vale per stabilire sia i modi sotto cui è valido un
certo rapporto di immanenza tra un intelligibile e l’area del fenomenico che lo
contiene sia le condizioni sotto cui è legittimo un giudizio categorico formulato sotto il segno
dell’intelligibilità, ogni qualvolta il rapporto di immanenza e il corrispondente giudizio categorico son
posti tra un concetto genere e un concetto specie o tra un concetto e una percezione o tra un concetto e l’intera
fenomenicità in quanto comprensiva della percezione, il rapporto deve essere
escluso dal pensamento legittimo se la specie non giace entro il cono disegnato dal fascio delle
semirette divergenti dal genere o se la percezione non coincide con la
circonferenza che il cono delinea nel fenomenico o se il tutto del fenomenico
non comprende una percezione il cui perimetro faccia tutt’uno con la
circonferenza intelligibile; in tutti questi casi il giudizio assume la forma
della negazione. Non ci soffermiamo, com’è logico, né sulla negazione quando
tocca un rapporto
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di principio
a conseguenza e quando, per ciò, prende corpo in un giudizio ipotetico, perché
tutto questo è sempre riducibile, almeno per il fenomenico, a una situazione di
immanenza e a un giudizio categorico, né sui motivi e modi per cui e secondo cui il pensiero immagina
un rapporto di immanenza e formula un giudizio categorico che poi devono essere
rispettivamente esclusi e negati, perché ciò riguarda una teoria del
contraddittorio e dell’errore. Quel che qui ci interessa è che la negazione,
fermo restando il presupposto che essa insorga entro il fenomenico apodittico,
è sempre la risultante di una triplice operazione del pensiero di condizione
umana, e precisamente una denotazione come affermazione di immanenza di un
intelligibile in un altro intelligibile o in un fenomenico, o
parziale-percezionale o totale, una denotazione come contemplazione
dell’immanenza di un intelligibile in un altro intelligibile o in un
fenomenico, o parziale-percezionale o totale, l’esclusione dal pensamento
legittimo della prima e la sostituzione ad essa della seconda; questo schema
generalissimo va completato con le seguenti connotazioni parimenti formali, che
le due denotazioni debbono essere contraddittorie o per contraddizione per divenire o per contraddizione per
molteplicità, che la prima denotazione deve darsi di fatto, per un qualsivoglia
motivo o ragion sufficiente che giustifichi il suo porsi ad opera del pensiero,
e deve pretendere a un’esistenza di
diritto, secondo una pretesa che si
traduce in un suo riscontro, cioè in una sua
contemplazione nel fenomenico di intuizione sensoriale, che la seconda
denotazione deve darsi di fatto in quanto posta dal pensiero e di diritto in
quanto il pensiero la pone in seguito al suo riscontro o contemplazione nel fenomenico di intuizione sensoriale, che
l’intelligibile affermato immanente coincide indifferentemente con un unico
indiveniente o con una classe di fenomenici qualsivogliano, che il fenomenico,
in quanto termine di immanenza, può essere dal pensiero assunto o
immediatamente o mediatamente a seconda che l’intelligibile immanente sia ritrovato
direttamente entro i fenomeni o sia ritrovato in un intelligibile la cui
immanenza nel fenomeno sia cognizione immediata o mediata, che qualora il
termine recettore di immanenza sia il fenomenico nella sua totalità esso vien
sempre riguardato, mediatamente, sotto il punto di vista della percezione che
si pone a congruente fenomenico dell’intelligibile della cui immanenza si tratta. La negazione, dunque, è un
processo dialettico, che per l’eterogeneità dei suoi momenti gode del completo
diritto di essere ridotta a un dialogo o contrapposizione dialettica a un primo
momento qualificato da una certa determinazione di un secondo momento
costituito dalla dichiarazione della sua illegittimità e dall’affermazione
della sua necessaria esclusione dal pensiero costruttivo, sulla base di una
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