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che
compongono un conosciuto che entro la classe delle rappresentazioni sensoriali
si dia secondo i modi della razionalità, consentono la conoscenza del razionale
nella sua completezza; le metafisiche di cui stiamo parlando mettono avanti il
diritto che esse avrebbero di connotare
siffatto razionale secondo gli
attributi non solo delle categorie
formali dell’identità, della
non-contraddittorietà, della ragion sufficiente, ma anche dei modi
dell’unicità, della riduzione di tutte le contraddizioni per diversità a
((o??)) contraddizioni per contrari, del rapporto tra genere e specie come
nesso di una sintesi di opposti che non
sia giustapposizione, ma intelligibilità per identificazione: poiché qui
interessa soltanto il punto di arrivo dell’intero discorso, non pare
opportuno né ripetere i ragionamenti
pei quali si darebbe il diritto di predicare tali attributi al razionale, né
controllare questo diritto. Importa, invece, considerare con attenzione il
risultato ultimo del discorso con tutte le sue conseguenze: in primo luogo, il
concetto di reale primo ontico, in quanto razionale, è da predicarsi con le
nozioni di identico a sé, uno, unico, sintesi di tutta l’intelligibilità
materiale e formale dell’universale; poi, giacché l’intelligibilità di tutte le
cose si dà da un lato attraverso una connotazione di individualità che divarica in contraddizione per contrari,
dall’altro attraverso una rappresentazione una ed unica dei contrari, la
sintesi dell’intelligibile universale costitutiva del principio ontico deve pensarsi come unità dei contrari,
abbracciante in quanto tale i contrari stessi e insieme la loro coincidenza,
ossia la loro divaricazione e insieme l’unicità della loro genesi; infine,
poiché la predicazione dell’unità dei
contrari al concetto di primo nell’essere è la conseguenza necessaria di un complesso di nozioni
preordinate, non già una rappresentazione determinata che per uno o per altro
motivo si abbia il diritto di affermare inerente al soggetto di cui essa si
pone a predicato, poiché la nozione della razionalità del reale primo
nell’essere e la presenza nel fenomenico di una molteplicità di coppie di
contrari comportano la riduzione ad unità di ogni coppia come attuazione di una
razionalità che il principio metafisico deve verificare, l’impossibilità di
intuire immediatamente il reale metafisico e di darsi una rappresentazione
diretta della riduzione ad uno di due contrari, e l’insufficienza del
fenomenico del sensoriale a porre qualcosa di più della mera opposizione di
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due contrari
in genere e insieme della loro coessenzialità puramente formale rendono
legittime per un pensiero di condizione umana
l’affermazione di un’inconoscibilità totale del principio metafisico, la
predicazione al principio di una razionalità essenziale che null’altro è se non
il possesso di quell’intelligibilità totale che l’ontico fenomenicamente noto
non offre, la predicazione del fenomenico noto al principio la quale nulla più
è che l’enunciazione di una razionalità puramente parziale del fenomenico
stesso che rimanda alla razionalità totale e coessenziale a quella del
fenomenico, perché formalmente nota e solo materialmente ignota, e quindi
all’immanenza del fenomenico nel metafisico: è vero che la particolare modalità
metafisica qui considerata è equazione tra il rapporto vincolante il concetto
di primo nell’essere col concetto di fenomenico e la relazione intercorrente
tra un genere e le sue determinazioni speciali quando siano nozioni contrarie,
e che per questa equazione divengono impensabili il concetto di primo
ontico senza le nozioni fenomeniche e
il concetto de fenomenico senza la nozione di primo nell’essere, sicché dal
fatto che il pensamento di ciascun contrario avvenga solo in connessione con
l’immagine dell’inerenza del contrario nel principio ontico che lo racchiude in
sé come un determinante necessario al suo esistere perfetto, non resta che
affermare immanenti nel primo metafisico entrambi i contrari; ed è quindi
altrettanto vero che assumere siffatta posizione metafisica significa fondare
la liceità della predicazione di tutto il fenomenico al principio
metafisico in nome dello stesso diritto
per cui dato un qualsivoglia giudizio disgiuntivo è sempre consentito
trasmutarlo in un giudizio categorico, sintesi unificatrice di tanti giudizi
categorici quanti sono i predicati disgiunti nel primo, purché il passaggio dal
giudizio disgiuntivo al categorico sia concomitante a una dislocazione dalla
sfera del fenomenico intuito alla razionalità pura, purché cioè l’attenzione si
sposti dai concetti predicati al concetto soggetto; infatti, quando si tien
conto dell’esistenza del razionale entro l’intuito sensoriale, l’intelligibile
generico che fa degli intuiti
sensoriali dei traducibili in universalità e necessità, sussiste in ciascuno di
essi, con una sola delle determinazioni specifiche ed esclude tutte le altre, e
questa esclusione viene tradotta nel giudizio che fa suo soggetto la nozione
del generico in una disgiunzione dei predicati, mentre se si tien presente solo
l’intelligibile generico al di fuori di qualunque sua attitudine a inserirsi
nel fenomenico, le determinazioni specifiche che esso può assumere non
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possono più
essere separate ma debbono essere allineate l’una dopo l’altra come altrettanti
modi i quali ineriscono tutti entro l’intelligibile considerato. E’ certo che
questa giustapposizione tien conto soltanto dell’aspetto quantitativo del
rapporto tra il generico e le sue specie, pone in luce quante volte il pensiero
debba ripetere la rappresentazione della nozione generica per tenere presenti
davanti a sé tutti i modi con cui può
arricchirsi, ma soprassiede all’aspetto
qualitativo del fenomeno in quanto ignora
l’eterogeneità delle determinazioni omogeneizzandole tutte in quanto
determinanti: il pensiero che si sia posto in tale situazione ritiene legittima
la predicazione simultanea di tutte le specie al loro genere e, nel caso che
abbia la certezza che il predicato coincida con l’intera estensione del genere,
identifica aritmeticamente, a buon diritto, il predicato col soggetto: allora,
se nel giudizio disgiuntivo l’estensione del genere non era predicabile del
genere per ragioni qualitative, una
volta sostituito al punto di vista qualitativo quello meramente quantitativo la
classe delle specie predicata totalmente al genere con una predicazione che è
identificazione della serie dei membri della classe con la classe. Questo fanno
le metafisiche alla Cusano o alla Schelling:dopo aver trasposto l’immagine
della connessione tra principio ontico e naturale fenomenico in un giudizio
disgiuntivo il cui soggetto è costituito dalla nozione del primo e il cui
predicato distingue e separa secondo un
nesso di intollerabilità reciproca le varie nozioni in cui il secondo acquista
valore razionale, acquista consapevolezza che la separazione è in funzione
della fenomenicità e si annulla quando l’attenzione si sposti dalla espressione
naturale del principio al principio stesso; procede allora a rivestire di forma
categorica il giudizio disgiuntivo, e, poiché i vari predicati di questo erano
dati da molte o da una sola coppia di contrari, ritiene suo diritto
identificare predicato e soggetto, ossia asserire((??ascrivere??)) una
predicazione totale del fenomenico al principio, limitata però alla struttura
quantitativa dei due: quantitativamente, ma non qualitativamente, il naturale
fenomenico equivale al principio ontico e può essere predicato totalmente ad
esso. La dimostrazione di questo diritto muove dalla unicità e univocità della
razionalità per le quali la realtà ontica e metafisica di questa razionalità dà
un senso al giudizio il reale ontico e metafisico è razionale, passa attraverso
l’identificazione del razionale con l’intelligibile per identità,
dall’esistenza di contrari e dalla riduzione di tutto l’esistente
naturale-fenomenico a strutture
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binarie per
contrarietà inferisce la necessaria esistenza di un principio ontico che da un
lato non può identificarsi con la natura come quello che vede la sua genericità
capace di sussistere fuori dalla duplicazione cui una naturalità esclusiva
l’assoggetterebbe, e dall’altro deve entrare in nesso apodittico con la natura
come quello che ha la sua genericità insufficiente ad attuare se stessa senza
duplicarsi in due modi escludentisi l’un l’altro non appena attuati,
dall’immanenza del principio metafisico entro ciascuno dei contrari e
dall’unicità e parziale autonomia del principio stesso deduce un modo di essere
di questo in cui le determinazioni specifiche dei contrari possono coesistere
in unità e, poiché questa coesistenza è inetta a lasciarsi racchiudere da una
rappresentazione, conclude nell’impossibilità di predicare la natura o il
fenomenico al principio se si parte
dalla struttura qualitativa dei tre ontici, la necessità e quindi la liceità di
predicare tutto il naturale e tutto il fenomenico al principio muovendo dalla
loro struttura quantitativa, sulla base del dato di fatto che, non potendo
sussistere i contrari senza un’unità che li vincoli ed essendo questa unità un
generico che si riproduce in ciascun opposto e in ciascun opposto si connette
apoditticamente con la determinazione specifica che lo traduce da generico in
reale contrario, l’autosussistenza del
generico è pensabile solo come compresenza in esso delle due determinazioni
specifiche opposte il cui apodittico nesso col generico e la cui coesistenza in
unità debbono fare del principio metafisico un uno qualitativamente semplice e
quindi qualitativamente riducente ad unità i due contrari. Conviene analizzare
questa dimostrazione, e a questo fine riprendere in esame quel rapporto tra
giudizio disgiuntivo e giudizio categorico che è il substrato dialettico cui la
dimostrazione e quindi la metafisica qui considerata si rifanno. Le strutture
di un giudizio categorico e di un giudizio disgiuntivo non coincidono, non
tanto perché il predicato del primo abbia rispetto al suo soggetto una funzione
che non è quella esplicata nei confronti del proprio soggetto dal predicato del
secondo, quanto perché nei due giudizi differenti è il rapporto di inerenza che
passa tra i rispettivi soggetti e i rispettivi predicati. In primo luogo, è da
sottolineare che il giudizio categorico non è univoco: anche se si sta attenti
a non identificare il giudizio categorico con un giudizio affermativo, è facile
accorgersi che il giudizio affermativo acquista intelligibilità solo pel medio
dell’intelligibilità di un giudizio categorico in generale; se l’attributo di
affermativo, dal punto di vista puramente logico
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