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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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  • Prot. 51 - 101
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che compongono un conosciuto che entro la classe delle rappresentazioni sensoriali si dia secondo i modi della razionalità, consentono la conoscenza del razionale nella sua completezza; le metafisiche di cui stiamo parlando mettono avanti il diritto che esse avrebbero  di connotare siffatto razionale  secondo gli attributi  non solo delle categorie formali  dell’identità, della non-contraddittorietà, della ragion sufficiente, ma anche dei modi dell’unicità, della riduzione di tutte le contraddizioni per diversità a ((o??)) contraddizioni per contrari, del rapporto tra genere e specie come nesso di una sintesi di opposti  che non sia giustapposizione, ma intelligibilità per identificazione: poiché qui interessa soltanto il punto di arrivo dell’intero discorso, non pare opportuno  né ripetere i ragionamenti pei quali si darebbe il diritto di predicare tali attributi al razionale, né controllare questo diritto. Importa, invece, considerare con attenzione il risultato ultimo del discorso con tutte le sue conseguenze: in primo luogo, il concetto di reale primo ontico, in quanto razionale, è da predicarsi con le nozioni di identico a sé, uno, unico, sintesi di tutta l’intelligibilità materiale e formale dell’universale; poi, giacché l’intelligibilità di tutte le cose si da un lato attraverso una connotazione di individualità  che divarica in contraddizione per contrari, dall’altro attraverso una rappresentazione una ed unica dei contrari, la sintesi dell’intelligibile universale costitutiva del principio ontico  deve pensarsi come unità dei contrari, abbracciante in quanto tale i contrari stessi e insieme la loro coincidenza, ossia la loro divaricazione e insieme l’unicità della loro genesi; infine, poiché la predicazione  dell’unità dei contrari al concetto di primo nell’essere è la conseguenza  necessaria di un complesso di nozioni preordinate, non già una rappresentazione determinata che per uno o per altro motivo si abbia il diritto di affermare inerente al soggetto di cui essa si pone a predicato, poiché la nozione della razionalità del reale primo nell’essere e la presenza nel fenomenico di una molteplicità di coppie di contrari comportano la riduzione ad unità di ogni coppia come attuazione di una razionalità che il principio metafisico deve verificare, l’impossibilità di intuire immediatamente il reale metafisico e di darsi una rappresentazione diretta della riduzione ad uno di due contrari, e l’insufficienza del fenomenico del sensoriale a porre qualcosa di più della mera opposizione di

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due contrari in genere e insieme della loro coessenzialità puramente formale rendono legittime per un pensiero di condizione umana  l’affermazione di un’inconoscibilità totale del principio metafisico, la predicazione al principio di una razionalità essenziale che null’altro è se non il possesso di quell’intelligibilità totale che l’ontico fenomenicamente noto non offre, la predicazione del fenomenico noto al principio la quale nulla più è che l’enunciazione di una razionalità puramente parziale del fenomenico stesso che rimanda alla razionalità totale e coessenziale a quella del fenomenico, perché formalmente nota e solo materialmente ignota, e quindi all’immanenza del fenomenico nel metafisico: è vero che la particolare modalità metafisica qui considerata è equazione tra il rapporto vincolante il concetto di primo nell’essere col concetto di fenomenico e la relazione intercorrente tra un genere e le sue determinazioni speciali quando siano nozioni contrarie, e che per questa equazione divengono impensabili il concetto di primo ontico  senza le nozioni fenomeniche e il concetto de fenomenico senza la nozione di primo nell’essere, sicché dal fatto che il pensamento di ciascun contrario avvenga solo in connessione con l’immagine dell’inerenza del contrario nel principio ontico che lo racchiude in sé come un determinante necessario al suo esistere perfetto, non resta che affermare immanenti nel primo metafisico entrambi i contrari; ed è quindi altrettanto vero che assumere siffatta posizione metafisica significa fondare la liceità della predicazione di tutto il fenomenico al principio metafisico  in nome dello stesso diritto per cui dato un qualsivoglia giudizio disgiuntivo è sempre consentito trasmutarlo in un giudizio categorico, sintesi unificatrice di tanti giudizi categorici quanti sono i predicati disgiunti nel primo, purché il passaggio dal giudizio disgiuntivo al categorico sia concomitante a una dislocazione dalla sfera del fenomenico intuito alla razionalità pura, purché cioè l’attenzione si sposti dai concetti predicati al concetto soggetto; infatti, quando si tien conto dell’esistenza del razionale entro l’intuito sensoriale, l’intelligibile generico  che fa degli intuiti sensoriali dei traducibili in universalità e necessità, sussiste in ciascuno di essi, con una sola delle determinazioni specifiche ed esclude tutte le altre, e questa esclusione viene tradotta nel giudizio che fa suo soggetto la nozione del generico in una disgiunzione dei predicati, mentre se si tien presente solo l’intelligibile generico al di fuori di qualunque sua attitudine a inserirsi nel fenomenico, le determinazioni specifiche che esso può assumere non

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possono più essere separate ma debbono essere allineate l’una dopo l’altra come altrettanti modi i quali ineriscono tutti entro l’intelligibile considerato. E’ certo che questa giustapposizione tien conto soltanto dell’aspetto quantitativo del rapporto tra il generico e le sue specie, pone in luce quante volte il pensiero debba ripetere la rappresentazione della nozione generica per tenere presenti davanti a sé tutti i modi  con cui può arricchirsi, ma soprassiede  all’aspetto qualitativo del fenomeno in quanto ignora  l’eterogeneità delle determinazioni omogeneizzandole tutte in quanto determinanti: il pensiero che si sia posto in tale situazione ritiene legittima la predicazione simultanea di tutte le specie al loro genere e, nel caso che abbia la certezza che il predicato coincida con l’intera estensione del genere, identifica aritmeticamente, a buon diritto, il predicato col soggetto: allora, se nel giudizio disgiuntivo l’estensione del genere non era predicabile del genere  per ragioni qualitative, una volta sostituito al punto di vista qualitativo quello meramente quantitativo la classe delle specie predicata totalmente al genere con una predicazione che è identificazione della serie dei membri della classe con la classe. Questo fanno le metafisiche alla Cusano o alla Schelling:dopo aver trasposto l’immagine della connessione tra principio ontico e naturale fenomenico in un giudizio disgiuntivo il cui soggetto è costituito dalla nozione del primo e il cui predicato distingue  e separa secondo un nesso di intollerabilità reciproca le varie nozioni in cui il secondo acquista valore razionale, acquista consapevolezza che la separazione è in funzione della fenomenicità e si annulla quando l’attenzione si sposti dalla espressione naturale del principio al principio stesso; procede allora a rivestire di forma categorica il giudizio disgiuntivo, e, poiché i vari predicati di questo erano dati da molte o da una sola coppia di contrari, ritiene suo diritto identificare predicato e soggetto, ossia asserire((??ascrivere??)) una predicazione totale del fenomenico al principio, limitata però alla struttura quantitativa dei due: quantitativamente, ma non qualitativamente, il naturale fenomenico equivale al principio ontico e può essere predicato totalmente ad esso. La dimostrazione di questo diritto muove dalla unicità e univocità della razionalità per le quali la realtà ontica e metafisica di questa razionalità un senso al giudizio il reale ontico e metafisico è razionale, passa attraverso l’identificazione del razionale con l’intelligibile per identità, dall’esistenza di contrari e dalla riduzione di tutto l’esistente naturale-fenomenico a strutture

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binarie per contrarietà inferisce la necessaria esistenza di un principio ontico che da un lato non può identificarsi con la natura come quello che vede la sua genericità capace di sussistere fuori dalla duplicazione cui una naturalità esclusiva l’assoggetterebbe, e dall’altro deve entrare in nesso apodittico con la natura come quello che ha la sua genericità insufficiente ad attuare se stessa senza duplicarsi in due modi escludentisi l’un l’altro non appena attuati, dall’immanenza del principio metafisico entro ciascuno dei contrari e dall’unicità e parziale autonomia del principio stesso deduce un modo di essere di questo in cui le determinazioni specifiche dei contrari possono coesistere in unità e, poiché questa coesistenza è inetta a lasciarsi racchiudere da una rappresentazione, conclude nell’impossibilità di predicare la natura o il fenomenico al principio  se si parte dalla struttura qualitativa dei tre ontici, la necessità e quindi la liceità di predicare tutto il naturale e tutto il fenomenico al principio muovendo dalla loro struttura quantitativa, sulla base del dato di fatto che, non potendo sussistere i contrari senza un’unità che li vincoli ed essendo questa unità un generico che si riproduce in ciascun opposto e in ciascun opposto si connette apoditticamente con la determinazione specifica che lo traduce da generico in reale contrario, l’autosussistenza  del generico è pensabile solo come compresenza in esso delle due determinazioni specifiche opposte il cui apodittico nesso col generico e la cui coesistenza in unità debbono fare del principio metafisico un uno qualitativamente semplice e quindi qualitativamente riducente ad unità i due contrari. Conviene analizzare questa dimostrazione, e a questo fine riprendere in esame quel rapporto tra giudizio disgiuntivo e giudizio categorico che è il substrato dialettico cui la dimostrazione e quindi la metafisica qui considerata si rifanno. Le strutture di un giudizio categorico e di un giudizio disgiuntivo non coincidono, non tanto perché il predicato del primo abbia rispetto al suo soggetto una funzione che non è quella esplicata nei confronti del proprio soggetto dal predicato del secondo, quanto perché nei due giudizi differenti è il rapporto di inerenza che passa tra i rispettivi soggetti e i rispettivi predicati. In primo luogo, è da sottolineare che il giudizio categorico non è univoco: anche se si sta attenti a non identificare il giudizio categorico con un giudizio affermativo, è facile accorgersi che il giudizio affermativo acquista intelligibilità solo pel medio dell’intelligibilità di un giudizio categorico in generale; se l’attributo di affermativo, dal punto di vista puramente logico




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