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rapporto di
principio a conseguenza, il secondo degli intelligibili che è lecito porre in
relazione con l’intelligibile dato è una ed una sola nozione, precisamente
quella che sempre, fin dalla prima conoscenza del rapporto, è stata in rapporto
o di principio a conseguenza o di conseguenza a principio con l’intelligibile
dato; se il rapporto di principio a conseguenza, pensato di una connessione
causale, si riduce a una connessione di funzioni, nessuna delle due
rappresentazioni che vi entrano è qualitativamente variabile nei confronti
dell’altra, essendo la funzione una determinazione unica ed univoca per cui
l’un intelligibile se determinato qualitativamente pone necessariamente il
secondo secondo una ed una sola determinazione qualitativa, e accettando la
funzione il concetto di variabile solo sul piano quantitativo sul quale al
mutare della determinazione quantitativa di uno degli intelligibili
corrisponde secondo una certa misura e
un certo tipo di proporzione il mutamento della determinazione quantitativa
dell’altro; dal punto di vista qualitativo il nesso di principio-conseguenza se
rappresentazione di un nesso causale ontico non conosce variazioni, sicché,
posto X come termine ignoto in correlazione con l’intelligibile noto in vincolo
con X, o il termine ignoto è stato conosciuto almeno una volta e deve
coincidere con questo noto o mai è stato conosciuto e mai può risultare dalla
semplice analisi dell’intelligibile noto - siano A e B due intelligibili in
nesso di principio a conseguenza secondo un quadro rappresentativo che pretende
di essere il pensamento del nesso ontico a-b in cui a è quanto si conosce con
A, b quanto si conosce con B, a causa di b: non solo non è lecito convertire
A-B in B-A immutata restando la sequenza formale principio-conseguenza, ma
anche, qualora al pensiero sia dato o A o B fuor da ogni rapporto, il pensiero
che voglia connettere A o B con una rappresentazione che sia rispettivamente o
principio o conseguenza, non può identificare l’ignoto con una variabile e, se
ad esso è dato B, deve ritrovare a suo principio soltanto A qualora già abbia
conosciuto sia A sia il rapporto di A con B, oppure deve ricercare per B un
principio che non potrà essere se non A, l’A fino allora ignorato; se invece al
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al punto di
vista qualitativo si sostituisce il punto di vista quantitativo, dati A e B e
il rapporto di principio a conseguenza A-B rappresentativo del nesso
causale ontico a- b, una volta noti il tipo di proporzione quantitativa
intercorrente tra A e B e la modalità fissa del mutamento quantitativo di B in
funzione del mutamento quantitativo di A, si avrà sia che A1,
determinazione quantitativa di A, è una variabile sostituibile da tanti noti
quante sono le possibili mutazioni di B1, determinazione
quantitativa di B1, sia che B1 è una variabile indeterminata
in una certa connessione con A1, con la conseguenza che il rapporto
A-B è uno ed unico, costantemente e necessariamente determinato, mentre il
rapporto A1-B1 è mobile conoscendo tante determinazioni
quante sono le determinazioni quantitative che A è atto ad assumere senza
uscire dal nesso di principio con la sua conseguenza B-; che se si verifica una
modalità differente del rapporto di principio a conseguenza per cui o
all’intelligibile primo corrisponda un intelligibile conseguenza che sia una variabile, sia pure subordinata
a un numero prefisso di variazioni, o l’intelligibile conseguente entri in
rapporto con un intelligibile principio coincidente con una variabile, sia pure
a variazioni limitate di numero, qualora si pretenda che un qualsivoglia
rapporto di principio a conseguenza sia e non possa non essere che la
rappresentazione di un nesso causale ontico, al pensiero non resta che ridurre
i due rapporti principio-variabile e variabile-conseguenza a una relazione che
ripristini la condizione di unicità e univocità di entrambi i termini in nesso,
a una relazione in cui principio e conseguenza siano due invariabili costanti,
il che può fare soltanto assumendo il principio non nella sua mera esistenza,
ma secondo un esistere che s’accompagna alla determinazione peculiare
dell’autosussistenza diretta o indiretta, e facendo della conseguenza un
momento dell’articolazione organica del principio, momento che, ponendosi a un
certo grado dello sviluppo è sempre preceduto da una serie organica unica ed univoca.
Sian dati i giudizi categorici X è B, X è C, X è D, e X è B, Y è B, Z è B, del
tipo Socrate è uomo, Socrate è mammifero, Socrate è vertebrato, e Socrate è
mammifero, Antonio è mammifero, Pietro è mammifero,
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è evidente
che nei primi tre a un principio costante s’accompagna una conseguenza
variabile, mentre nei secondi tre una conseguenza costante tien dietro a un
principio variabile; nei due casi il pensiero non è in grado di eguagliare
immediatamente il rapporto di predicazione con la rappresentazione di un nesso
causale ontico, facendo del soggetto la nozione del principio causale e del
predicato la nozione dell’effetto conseguente, e neppure è in grado di porre la
medesima eguaglianza capovolgendo la funzione e ponendo il soggetto a nozione
dell’effetto conseguente e il predicato a nozione del principio causale, perché
la rappresentazione del nesso causale ontico diviene un pensato legittimo
quando, cadendo sotto la giurisdizione dei quattro principi logici, li concreta
tutti in se stesso in modo che ciascun principio logico acquisti la funzione di un denotante della sua
connotazione; ora la sussunzione della rappresentazione in genere del nesso
causale ontico sotto ciascuno dei quattro principi non esige determinazione
particolare quando il sussumente sia il principio di ragione perché l’immagine
di un ontico che sia effetto di un altro non è che un caso particolare della
generale necessità per una rappresentazione di ricavare apoditticamente il
proprio esser pensata e il proprio esser pensata in una certa connotazione
dall’esser pensato secondo una certa connotazione di un’altra rappresentazione,
al fine di albergare legittimamente entro la sfera del pensato dialetticamente
utilizzabile; ma quando si tratti di stabilire il diritto di sussumere la
rappresentazione in genere di nesso causale ontico sotto il principio di
identità non è sufficiente porre la permanenza e l’apodissi della dialettica
della rappresentazione che è principio alla rappresentazione che è conseguenza
e viceversa perché queste permanenza e apodissi garantiscano il rapporto in
quanto rappresentazione di un nesso causale ontico e in quanto legittimato dal
principio di identità; per questa nuova sussunzione occorre una ulteriore
determinazione che, come abbiam già osservato, non coincide con una successione
temporale che faccia del principio in quanto rappresentazione dell’ontico
causale non solo ciò che deve esser pensato necessariamente onde sia pensata
legittimamente la rappresentazione dell’ontico conseguente, ma anche qualcosa
che non è rappresentabile in una situazione ontica di simultaneità, sicché la
kantiana definizione del nesso causale come di necessità di successione
temporale tra due eterogenei non può essere assunta come la denotante che
legittima la sussunzione della sua rappresentazione sotto il concetto di
principio d’identità;
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d’altra
parte la determinazione che qui si cerca non può essere offerta neppure
dall’eterogeneità sia perché il pensiero umano non accoglie la nozione di
eterogeneità assoluta dissolvente qualsiasi legame tra una nozione e un’altra
scelta a piacere tra la totalità delle
restanti nozioni, che non sia quello di principio a conseguenza, e ripudia tale
nozione in quanto contraddittoria con il postulato dell’unità logica e materiale
fra tutte le rappresentazioni pensabili e pensate sul quale si fonda la
conoscibilità del mondo sia perché nessun rapporto che il pensiero si offra
come fonte di cognizione si dà tra due rappresentazioni che non siano
eterogenee ossia sussumibili, da uno o altro punto di vista, sotto due generi
differenti, sicché se la determinazione in nome della quale dovremmo
determinare un rapporto che sia rappresentazione di un nesso causale ontico, in
modo da fissarlo come identico permanentemente
con se stesso e con ciò sussumibile sotto il concetto-principio di
identità, fosse l’eterogeneità, tutti i giudizi dovrebbero essere nozioni
particolari del generico concetto di nesso causale ontico, il che crediamo
nessun matematico accetterebbe; la determinazione che è denotazione necessaria
e sufficiente a fare della rappresentazione di un nesso di ragione una
rappresentazione di un nesso causale ontico è la concomitanza di una
determinazione propria di una certa situazione ontico-fenomenica con la
determinazione propria di un’eterogenea situazione ontico-fenomenica, quando le
due determinazioni siano eterogenee e tali che la prima sia l’ultimo momento di
una successione di modi entro la prima situazione e la seconda sia il primo
momento di una successione di modi entro la seconda situazione; in parole più
semplici, la rappresentazione di un nesso causale è il concetto della
simultaneità di due eterogenee determinazioni, l’una delle quali la causa si
presenta come ultima nella successione di determinazioni che si son date entro
un complesso ontico-fenomenico colto come tutto, mentre l’altra, l’effetto, si
pone a capo della serie di determinazioni appartenenti a un differente
complesso ontico-fenomenico conosciuto come tutto; come ha affermato Kant, il
tempo interviene nella definizione del vincolo causale, ma non, come egli
pretende, come nota prima ed essenziale, in quanto se è vero che è impossibile
determinare la causalità fuori dal tempo e dal divenire perché in tal caso la
totalità di tutti i modi dell’ontico sarebbe stata data nell’istante primo
dell’esistenza dell’ontico, è altrettanto vero che non arrivo a vedere come
possa parlarsi di
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