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successione
temporale, necessaria sì ma pur sempre successione, tra lo scoccare della
scintilla elettrica entro una massa di idrogeno e di ossigeno e la conseguenza
del formarsi dell’acqua, tra il contatto di una goccia d’acqua con la mia pelle
e il mio bagnarmi, tra la fecondazione dell’ovulo ad opera dello spermatozoo e
il darsi di una creatura autovivente, tra il penetrare di una soluzione in un
organo gustativo e la sensazione di dolce, tra il fiat del creatore e il mondo
creato; è certo che una volta definita così la causalità, si tratterà di
definire in che cosa consista quella successione di determinazioni senza la
quale non si avrebbe né un ultimo né un primo perché non si avrebbe nessuna
serie e senza la quale quindi verrebbe meno quel rapporto tra ultimo e primo
che alla simultaneità delle eterogenee determinazioni aggiunge la distinzione
che consente di trattare l’una come causa e l’altra come effetto e di
ripristinare l’irriversibilità del rapporto di ragione che l’esclusione della
successione temporale ha eliso, tanto più che la successione temporale è un
dato intuitivo che nessun ragionamento e nessuna definizione possono eliminare;
mantenendo presente questo aspetto irresoluto dell’ontico, e precisamente la
questione di giustificare a livello di intelligibilità il sovraggiungere di
determinazioni succedentisi nel tempo senza ricorrere a una causalità per
successione, e rimandandone la soluzione ad altra ricerca, dichiaro che la mia
ragione non riesce a trovare successione temporale nell’analisi di tutti quei
rapporti tra nozioni che altri o essa stessa hanno presentato come rapporti di
ragione rappresentativi di nessi ontici causali in quanto se una differenza
dev’essere data entro le due nozioni eterogenee la quale sia ragion sufficiente
della priorità logica dell’una rispetto all’altra e dell’impossibilità di
rovesciare il reciproco nesso di ragione, quando si voglia identificare
siffatta differenza con una priorità cronologica il pensiero deve abbandonare
il piano concreto e passare sull’astratto, ossia scindere il nesso e condursi a
pensare l’esistenza dell’una come necessariamente antecedente l’altra; ma la
scissione e il pensamento trovano la loro ragione nell’irriversibilità del
rapporto di connessione analizzato e scisso, non in una concreta antecedenza
cronica del principio-causa sulla conseguenza effetto, tant’è vero che il
pensiero, se vuol far corrispondere l’immagine della nozione -causa come
onticamente e cronologicamente anteriore nel tempo all’immagine della nozione
effetto, deve
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rappresentarsi
la nozione-causa secondo una struttura ontica inequivalente e dissimmetrica
alla struttura ontica che l’oggetto corrispondente ha quando assume la funzione
di causa, del che ci rendiamo conto analizzando l’immagine che ci diamo o delle
masse d’ossigeno e d’idrogeno con la scintilla elettrica o dello spermatozoo o
della goccia d’acqua o della soluzione con l’organo gustativo, quando pensiamo
tutto questo in ontica antecedenza cronologica rispetto alla situazione ontica
che da esse necessariamente deriva: l’immagine si rappresenta i vari oggetti
come capaci di dar luogo al loro effetto, ma al tempo stesso come strutturati
in altro modo da quello che assumeranno quando ad essi si connetterà di fatto
il loro effetto, e precisamente le masse gassose separate spazialmente dalla
scintilla, lo spermatozoo in un movimento che non è né di penetrazione né di
scissione, la goccia d’acqua a forma sferica e non a forma schiacciata e
irregolare, la soluzione pronta ad entrare nell’organo ma non ancora a contatto
con l’organo; che se invece ci
rappresentiamo gli ontici causali nell’esatta struttura che assumeranno
allorché s’accompagneranno effettivamente ai loro effetti, e precisamente la
scintilla scoccante entro la massa gassosa, la goccia d’acqua diffusa sulla
pelle, lo spermatozoo penetrato nell’ovulo e scissosi e confusosi con alcune
componenti dell’ovulo, la soluzione a contatto con la terminazione nervosa
dell’organo gustativo, tosto dovremo rappresentarci anche l’ontico -effetto
relativo, ma non riusciamo a inserire nessun lasso di tempo, sia pur breve a
piacimento, tra la causa e l’effetto, essendo di fatto l’immagine un conosciuto
uno ed unico che guardato sotto un certo punto di vista è principio e causa,
guardato da un altro punto di vista è conseguenza ed effetto; e i due punti di
vista non sono offerti né dal tempo in quanto in un unico e solo non c’è
successione temporale né dall’eterogeneità in quanto questa isolatamente presa
è atta a fissare il rapporto di successione sia nei modi come è stato posto sia
nei modi contrari, né dal modo con cui
le due nozioni si relazionano nel vincolo di ragione in quanto questo ricorso
genera un circolo vizioso privo di qualsiasi peso d’intelligibilità, e trovano
se stessi solo nel rapporto di successione temporale da cui ciascuna nozione è
legata come determinazione non alla sua correlata, ma alla situazione
fenomenica cui appartiene e a cui il pensiero la collega quando l’assume in sé
fuor dal rapporto di ragione. E allora se il rapporto
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causale è la
concomitanza in simultaneità di due eterogenei, ciascuno dei quali, isolatamente
rappresentato, è una determinazione occupante un grado o momento nella
successione di determinazione
caratteristiche di due situazioni ontico-fenomeniche eterogenee, è logico che
da un nesso di ragione tra due nozioni in rapporto causale derivino come
conseguenza non solo che il nesso è irreversibile, che le due nozioni sono
eterogenee, ma anche che le nozioni entranti in rapporto debbono essere uniche
ed univoche, con la conseguenza che è lecito che una nozione si relazioni a più
altre nozioni eterogenee come causa ad effetti alla condizione però che le
varie nozioni, pensate come conseguenze
od effetti, risultino essere determinazioni eterogenee di differenti situazioni
ontico-fenomeniche, ma che non è affatto lecito né che differenti nozioni entrino
con una nozione ad esse eterogenea in un rapporto di ragione che sia
rappresentazione di un nesso causale ontico né che un rapporto di ragione possa
considerarsi rappresentativo di un nesso causale ontico quando entrambi i
termini relazionati sono delle variabili, a meno che siffatto rapporto non sia
una conoscenza superficiale, fenomenica nel senso kantiano del termine, di una
essenziale ed ontica relazione in cui la molteplicità delle nozioni-cause in
rapporto con un’ unica nozione -effetto è puramente apparente e la molteplicità
delle nozioni-effetto in rapporto con un’unica nozione-causa è di fatto una
molteplicità di eterogenee relazioni di ragioni in cui una stessa nozione, che è immagine di una determinazione
di una certa situazione ontica, entra con differenti nozioni che sono
altrettante immagini di eterogenee determinazioni di differenti situazioni
ontiche. Ed è appunto a questo espediente che il pensiero deve ricorrere quando
voglia interpretare il nesso predicativo di un giudizio categorico con la
rappresentazione di un rapporto causale ontico. Quando, dunque, il pensiero
abbia che fare con quei giudizi categorici X è B, X è C, X è D, X è B, Y è B, Z
è B, e quando voglia interpretare il rapporto predicativo che li costituisce
partendo dal presupposto che qualsivoglia rapporto tra concetti è un rapporto
di ragione rappresentativo di un nesso causale ontico, in primo luogo deve
assumere ciascun giudizio come un segno che nulla fa conoscere se non gli viene
sostituita una certa sua interpretazione ed elaborazione, deve cioè, nel caso
che il giudizio X è B sia ((un??)) la formula di tutti i giudizi del tipo
Socrate è..., assumere il soggetto e il predicato non per quel che danno a
conoscere all’intelletto quando l’intelletto li assuma in sé ossia in relazione
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a un
predicato che sia la loro descrizione o definizione e quindi l’esplicitazione
analitica della loro connotazione, ma per quello a cui l’intelletto deve
ridurli onde la conoscenza che da essi scaturisce nel loro rapporto di ragione
sia intellezione di un vincolo causale dei loro rispettivi ontici, giacché la
rapportazione della connotazione analizzata del predicato alla connotazione
analizzata del soggetto non attua in sé nessuna delle modalità del nesso
causale, comunque questo lo si voglia
definire; con ciò il giudizio X è B in quanto segno di un rapporto di ragione
tra X e B che sia segno di un vincolo di causale tra gli ontici di cui X e B
sono rappresentazioni, non può restare quel che è in origine, quel che
l’intelletto vi ritrova quando si arresta all’analisi dell’intuizione di se
stesso in quanto determinato secondo quel rapporto di nozioni che il giudizio X
è B esprime, ma deve lasciarsi sostituire da un nuovo giudizio, X 1
è B1, equivalente a X è B, nel senso che lascia invariato il
rapporto di ragione secondo cui nel giudizio X è B veniva pensato il processo
dialettico da X a B e da B a X, e insieme modifica la connotazione di X e di B
secondo un’elaborazione che darà vita a due connotazioni nuove e diverse di due
nuovi concetti, X1 e B1, le quali conserveranno delle
precedenti alcune denotanti e il termine indicativo e si porranno secondo una
struttura formale sufficiente a dotare il processo dialettico da X1
a B1 e da B1 a X1 delle modalità proprie di un
rapporto di ragione rappresentativo di un nesso causale ontico, assicurando
l’equivalenza tra X1 è B1 e X è B il diritto di elevare
ad identica equivalenza i processi dialettici propri di ciascun giudizio; in
secondo luogo, il pensiero deve fornirsi l’immagine strutturale a cui il
concetto-soggetto e il concetto-predicato devono adeguarsi per sistemarsi in un
rapporto di ragione che sia segno di un rapporto causale, e, poiché a nulla
serve rifarsi all’intuizione fenomenica per attingervi le modalità di un
rapporto causale tra due nozioni che siano soggetto o predicato di un giudizio
categorico - l’intuizione fenomenica, infatti, offre un’assoluta
contemporaneità entro una unica ed
univoca situazione i dati sensoriali eterogenei che in uno o in altro modo sono
stati tradotti in concetti, sicché dei fattori costitutivi di un nesso
causale manca la successione
cronologica e insieme l’appartenenza a due situazioni fenomeniche eterogenee di
cui l’un dato o l’un complesso di dati sia ultimo nella successione delle
determinazioni e l’altro primo, ed è inutile appellarsi a una delle definizioni
possibili del
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