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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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  • Prot. 51 - 101
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successione temporale, necessaria sì ma pur sempre successione, tra lo scoccare della scintilla elettrica entro una massa di idrogeno e di ossigeno e la conseguenza del formarsi dell’acqua, tra il contatto di una goccia d’acqua con la mia pelle e il mio bagnarmi, tra la fecondazione dell’ovulo ad opera dello spermatozoo e il darsi di una creatura autovivente, tra il penetrare di una soluzione in un organo gustativo e la sensazione di dolce, tra il fiat del creatore e il mondo creato; è certo che una volta definita così la causalità, si tratterà di definire in che cosa consista quella successione di determinazioni senza la quale non si avrebbe né un ultimo né un primo perché non si avrebbe nessuna serie e senza la quale quindi verrebbe meno quel rapporto tra ultimo e primo che alla simultaneità delle eterogenee determinazioni aggiunge la distinzione che consente di trattare l’una come causa e l’altra come effetto e di ripristinare l’irriversibilità del rapporto di ragione che l’esclusione della successione temporale ha eliso, tanto più che la successione temporale è un dato intuitivo che nessun ragionamento e nessuna definizione possono eliminare; mantenendo presente questo aspetto irresoluto dell’ontico, e precisamente la questione di giustificare a livello di intelligibilità il sovraggiungere di determinazioni succedentisi nel tempo senza ricorrere a una causalità per successione, e rimandandone la soluzione ad altra ricerca, dichiaro che la mia ragione non riesce a trovare successione temporale nell’analisi di tutti quei rapporti tra nozioni che altri o essa stessa hanno presentato come rapporti di ragione rappresentativi di nessi ontici causali in quanto se una differenza dev’essere data entro le due nozioni eterogenee la quale sia ragion sufficiente della priorità logica dell’una rispetto all’altra e dell’impossibilità di rovesciare il reciproco nesso di ragione, quando si voglia identificare siffatta differenza con una priorità cronologica il pensiero deve abbandonare il piano concreto e passare sull’astratto, ossia scindere il nesso e condursi a pensare l’esistenza dell’una come necessariamente antecedente l’altra; ma la scissione e il pensamento trovano la loro ragione nell’irriversibilità del rapporto di connessione analizzato e scisso, non in una concreta antecedenza cronica del principio-causa sulla conseguenza effetto, tant’è vero che il pensiero, se vuol far corrispondere l’immagine della nozione -causa come onticamente e cronologicamente anteriore nel tempo all’immagine della nozione effetto, deve

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rappresentarsi la nozione-causa secondo una struttura ontica inequivalente e dissimmetrica alla struttura ontica che l’oggetto corrispondente ha quando assume la funzione di causa, del che ci rendiamo conto analizzando l’immagine che ci diamo o delle masse d’ossigeno e d’idrogeno con la scintilla elettrica o dello spermatozoo o della goccia d’acqua o della soluzione con l’organo gustativo, quando pensiamo tutto questo in ontica antecedenza cronologica rispetto alla situazione ontica che da esse necessariamente deriva: l’immagine si rappresenta i vari oggetti come capaci di dar luogo al loro effetto, ma al tempo stesso come strutturati in altro modo da quello che assumeranno quando ad essi si connetterà di fatto il loro effetto, e precisamente le masse gassose separate spazialmente dalla scintilla, lo spermatozoo in un movimento che non è né di penetrazione né di scissione, la goccia d’acqua a forma sferica e non a forma schiacciata e irregolare, la soluzione pronta ad entrare nell’organo ma non ancora a contatto con l’organo; che se invece  ci rappresentiamo gli ontici causali nell’esatta struttura che assumeranno allorché s’accompagneranno effettivamente ai loro effetti, e precisamente la scintilla scoccante entro la massa gassosa, la goccia d’acqua diffusa sulla pelle, lo spermatozoo penetrato nell’ovulo e scissosi e confusosi con alcune componenti dell’ovulo, la soluzione a contatto con la terminazione nervosa dell’organo gustativo, tosto dovremo rappresentarci anche l’ontico -effetto relativo, ma non riusciamo a inserire nessun lasso di tempo, sia pur breve a piacimento, tra la causa e l’effetto, essendo di fatto l’immagine un conosciuto uno ed unico che guardato sotto un certo punto di vista è principio e causa, guardato da un altro punto di vista è conseguenza ed effetto; e i due punti di vista non sono offerti né dal tempo in quanto in un unico e solo non c’è successione temporale né dall’eterogeneità in quanto questa isolatamente presa è atta a fissare il rapporto di successione sia nei modi come è stato posto sia nei modi contrari, né dal modo  con cui le due nozioni si relazionano nel vincolo di ragione in quanto questo ricorso genera un circolo vizioso privo di qualsiasi peso d’intelligibilità, e trovano se stessi solo nel rapporto di successione temporale da cui ciascuna nozione è legata come determinazione non alla sua correlata, ma alla situazione fenomenica cui appartiene e a cui il pensiero la collega quando l’assume in sé fuor dal rapporto di ragione. E allora se il rapporto

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causale è la concomitanza in simultaneità di due eterogenei, ciascuno dei quali, isolatamente rappresentato, è una determinazione occupante un grado o momento nella successione  di determinazione caratteristiche di due situazioni ontico-fenomeniche eterogenee, è logico che da un nesso di ragione tra due nozioni in rapporto causale derivino come conseguenza non solo che il nesso è irreversibile, che le due nozioni sono eterogenee, ma anche che le nozioni entranti in rapporto debbono essere uniche ed univoche, con la conseguenza che è lecito che una nozione si relazioni a più altre nozioni eterogenee come causa ad effetti alla condizione però che le varie nozioni, pensate  come conseguenze od effetti, risultino essere determinazioni eterogenee di differenti situazioni ontico-fenomeniche, ma che non è affatto lecito né che differenti nozioni entrino con una nozione ad esse eterogenea in un rapporto di ragione che sia rappresentazione di un nesso causale ontico né che un rapporto di ragione possa considerarsi rappresentativo di un nesso causale ontico quando entrambi i termini relazionati sono delle variabili, a meno che siffatto rapporto non sia una conoscenza superficiale, fenomenica nel senso kantiano del termine, di una essenziale ed ontica relazione in cui la molteplicità delle nozioni-cause in rapporto con un’ unica nozione -effetto è puramente apparente e la molteplicità delle nozioni-effetto in rapporto con un’unica nozione-causa è di fatto una molteplicità di eterogenee relazioni di ragioni  in cui una stessa nozione, che è immagine di una determinazione di una certa situazione ontica, entra con differenti nozioni che sono altrettante immagini di eterogenee determinazioni di differenti situazioni ontiche. Ed è appunto a questo espediente che il pensiero deve ricorrere quando voglia interpretare il nesso predicativo di un giudizio categorico con la rappresentazione di un rapporto causale ontico. Quando, dunque, il pensiero abbia che fare con quei giudizi categorici X è B, X è C, X è D, X è B, Y è B, Z è B, e quando voglia interpretare il rapporto predicativo che li costituisce partendo dal presupposto che qualsivoglia rapporto tra concetti è un rapporto di ragione rappresentativo di un nesso causale ontico, in primo luogo deve assumere ciascun giudizio come un segno che nulla fa conoscere se non gli viene sostituita una certa sua interpretazione ed elaborazione, deve cioè, nel caso che il giudizio X è B sia ((un??)) la formula di tutti i giudizi del tipo Socrate è..., assumere il soggetto e il predicato non per quel che danno a conoscere all’intelletto quando l’intelletto li assuma in sé ossia in relazione

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a un predicato che sia la loro descrizione o definizione e quindi l’esplicitazione analitica della loro connotazione, ma per quello a cui l’intelletto deve ridurli onde la conoscenza che da essi scaturisce nel loro rapporto di ragione sia intellezione di un vincolo causale dei loro rispettivi ontici, giacché la rapportazione della connotazione analizzata del predicato alla connotazione analizzata del soggetto non attua in sé nessuna delle modalità del nesso causale, comunque questo  lo si voglia definire; con ciò il giudizio X è B in quanto segno di un rapporto di ragione tra X e B che sia segno di un vincolo di causale tra gli ontici di cui X e B sono rappresentazioni, non può restare quel che è in origine, quel che l’intelletto vi ritrova quando si arresta all’analisi dell’intuizione di se stesso in quanto determinato secondo quel rapporto di nozioni che il giudizio X è B esprime, ma deve lasciarsi sostituire da un nuovo giudizio, X 1 è B1, equivalente a X è B, nel senso che lascia invariato il rapporto di ragione secondo cui nel giudizio X è B veniva pensato il processo dialettico da X a B e da B a X, e insieme modifica la connotazione di X e di B secondo un’elaborazione che darà vita a due connotazioni nuove e diverse di due nuovi concetti, X1 e B1, le quali conserveranno delle precedenti alcune denotanti e il termine indicativo e si porranno secondo una struttura formale sufficiente a dotare il processo dialettico da X1 a B1 e da B1 a X1 delle modalità proprie di un rapporto di ragione rappresentativo di un nesso causale ontico, assicurando l’equivalenza tra X1 è B1 e X è B il diritto di elevare ad identica equivalenza i processi dialettici propri di ciascun giudizio; in secondo luogo, il pensiero deve fornirsi l’immagine strutturale a cui il concetto-soggetto e il concetto-predicato devono adeguarsi per sistemarsi in un rapporto di ragione che sia segno di un rapporto causale, e, poiché a nulla serve rifarsi all’intuizione fenomenica per attingervi le modalità di un rapporto causale tra due nozioni che siano soggetto o predicato di un giudizio categorico - l’intuizione fenomenica, infatti, offre un’assoluta contemporaneità  entro una unica ed univoca situazione i dati sensoriali eterogenei che in uno o in altro modo sono stati tradotti in concetti, sicché dei fattori costitutivi di un nesso causale  manca la successione cronologica e insieme l’appartenenza a due situazioni fenomeniche eterogenee di cui l’un dato o l’un complesso di dati sia ultimo nella successione delle determinazioni e l’altro primo, ed è inutile appellarsi a una delle definizioni possibili del




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