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rapporto di
causa in genere perché l’intuizione sensoriale tradotta in giudizio categorico
difetta or di questa or di quella delle note essenziali assunte a denotare la
causalità secondo questa o quella definizione -, al pensiero non resta che
chiudersi in se stesso e darsi, come fonti dell’immagine del rapporto causale
intercorrente fra gli ontici rappresentati nel giudizio categorico, le
connotazioni dei concetti costitutivi del giudizio, la struttura generale di un
rapporto causale, le modificazioni che le connotazioni dei concetti devono
accettare per incastrarsi in tale struttura, e infine la facoltà del possibile
che gli apre la strada a tutte le rappresentazioni lecite perché non offendenti
i principi di ragione, tutti fattori questi che null’altro sono se non
materiali del pensiero utilizzati col contenuto col quale son entrati
nell’intelletto e utilizzabili senza nessun altro apporto dal reale;il che
potrebbe anche condurre a una soluzione soddisfacente, se non si verificasse la
non felice situazione che il rapporto di predicazione tra X e B nel giudizio X
è B nulla dice in sé della direzione dialettica che dev’essere seguita per far
di tale rapporto un nesso di ragione-causalità, essendo nel giudizio lecito
trascorrere da X a B o da B ad X a seconda del punto di vista che si assume, e
precisamente a seconda che si voglia dell’intelligibilità far principio
dell’esistenza, nel qual caso B si pone a ragione di X, o dell’esistenza far
principio dell’intelligibilità, nel caso B e X invertono i rapporti di ragione
e X si fa ragione di B; l’indifferenza del moto dialettico rende equivalenti i
rapporti di ragione X-B e B- X e costringe il pensiero a procurarsi una duplice
immagine della struttura cui le connotazioni di X e di B devono sottoporsi onde
divenire segni di una causa e di un effetto o segni di un effetto e di una
causa rispettivamente per ricondurre il binomio dialettico X-B o B-X a
rappresentazione di un nesso causale ontico. Sia della prima operazione, per la
quale il pensiero deve ripudiare la predicazione di un giudizio categorico nei
modi come intuitivamente si presenta a una riflessione immediata, che della
seconda operazione, per la quale il pensiero deve sottoporre le connotazioni
dei concetti a una modificazione onde le nozioni costitutive del giudizio
vedono il loro rapporto di predicazione divenir rappresentativo di una
causalità vincolante i loro ontici corrispondenti e deve inoltre scegliere tra
due possibili modificazioni entrambe valide per l’unico fine, si dà una chiara
ragion sufficiente, che è al
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tempo stesso
avvio all’argomento che dimostra l’impossibilità di trattare il rapporto di
predicazione di un giudizio categorico come un nesso la cui essenza sia un
rapporto di causalità: in un giudizio categorico non è lecito muovere né
dall’esistenza né dall’intelligibilità per stabilire se il soggetto sia
principio del predicato o il predicato principio del soggetto, perché, se da un
lato è vero che senza l’intellezione del predicato la predicazione di questo al
soggetto è inutile ai fini dell’intelligibilità del soggetto, sicché parrebbe
che sotto l’angolo dell’intelligibilità il predicato sia principio del
soggetto, è altrettanto vero che nessuna analisi del predicato si dà se non attraverso un’analisi del
soggetto stesso in quanto determinato dal predicato, sicché il moto dialettico
ai fini intellettivi procede dal soggetto e torna al soggetto e il soggetto
deve ritenersi principio di intelligibilità di se stesso, e, se dall’altro è
vero che l’inerenza del predicato nel soggetto costringe il pensiero a dedurre
l’esistenza del primo dall’esistenza del secondo e a fare del soggetto il
principio esistenziale del primo, è altrettanto vero che non si riesce a
pensare il concetto del soggetto come un esistente secondo i modi del predicato
se non calando entro il reale indeterminato il concetto del predicato come un
esistente secondo una certa determinazione, il che null’altro significa che dal
punto di vista esistenziale il pensiero è libero di assumere il predicato a
principio del soggetto o il soggetto a principio del predicato; quando si
fuoriesca dal confine del pensiero e s’instauri un rapporto tra l’ontico fenomenico
dei dati sensoriali e la corrispondente rappresentazione concettuale che
l’intelletto può darsene, l’ambiguità si dissipa, perché nel sensoriale appare
evidente che la totalità intuita ha esistenza da altro e per altro che non sia
la parte sua messa in particolare rilievo coll’astrazione concettuale e col
riferimento predicativo, con la conseguenza che, quando non si voglia far
intervenire un’ulteriore complicazione con la giustapposizione di un ontico
transfenomenico determinato da una metafisica di determinazione particolare,
pare che l’esistenza investa simultaneamente il tutto e la parte e che
logicamente il pensiero null’altro possa pensare se non che la parte esiste
dentro e per l’esistenza del tutto e che il tutto, che tradotto in concetto assume
nel giudizio la funzione del soggetto, è principio esistenziale della parte,
che divenuta concetto è riferita nel giudizio al soggetto come predicato;
d’altra parte dal medesimo rapporto tra fenomenico e pensato risulta che dal
punto di vista dell’intelligibilità il predicato debba assumersi a principio
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del
soggetto, appunto perché nella totalità fenomenica intuita il tutto acquista o
la natura di universale e di necessario o il mero attributo formale di diverso
e di distinto da altri in virtù o dell’universalità e necessità di cui la parte
si riveste o dell’eterogeneità per la quale la parte si distingue da altri dati
sensoriali, con la conseguenza che l’attenzione deve muovere dalla parte e da
quel suo simmetrico che è il concetto-predicato per estendere o
l’intelligibilità o l’eterogeneità al tutto e al concetto -soggetto simmetrico
del tutto; ma la mera esistenza del tutto non è nozione sufficiente a fare del
tutto la causa della parte, in quanto perché si dia un rapporto causale fra due
ontici è necessaria una distinzione che
qui non è data e che consiste nella liceità che, una volta giunti all’esistenza
i due ontici, ciascuno possa stare
nell’esistenza senza l’altro e che l’esistenza dell’uno non sia
condizione permanente dell’esistenza dell’altro: premesso che su questo punto cruciale del rapporto ontico
intercorrente fra un fenomenico tutto e una sua parte ritorneremo, qualunque
sia la rappresentazione che ci diamo di un rapporto causale ontico, o quella energetico-essenziale per
cui la causa trasferisce sé o qualcosa di sé all’effetto, o quella
temporale-qualitativa per cui la causa è un mero antecedente dell’effetto
essendo l’unico legame tra i due l’eterogeneità e la necessità della
successione, o quella acronico-situazionale, che è la nostra, tutte sganciano
la dipendenza esistenziale dell’effetto
dalla causa non appena l’effetto si è dato per la causa, il che non appare
evidente fin che ci si arresta alla causa e all’effetto in sé, ma lo diviene
quando si faccia dell’effetto la prima di una serie di determinazioni
successive e della causa l’ultima di una serie di determinazioni successive che
s’accompagna a quell’effetto, ad altri effetti identici, ad altri effetti
eterogenei; ma in quella situazione fenomenica che è tradotta da un giudizio
categorico, l’esistenza del tutto -soggetto è il punto di partenza
dell’intellezione dell’esistenza della parte-predicato, ma non ne è il
principio-causatore, proprio perché se è vero che il tutto con la propria
esistenza pone l’esistenza della parte, è pur vero che la parte esistendo pone
l’esistenza del tutto, secondo un rapporto biunivoco che non consente né al
tutto di rendersi indipendente dalla parte né alla parte di rendersi
indipendente dal tutto; è questo la ragion sufficiente per cui
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proposizioni
di questo tipo, che il mio corpo è causa della mia mano o del colore dei miei
capelli, che Socrate è causa della sua mammiferinità, che il quadrato è causa
dell’uguaglianza e parallelismo dei suoi lati, suonano false e riescono
inintelligibili; ma se il pensiero vuole ridurre un giudizio categorico, X è B,
a segno di un nesso causale ontico e si impedisce di apportare alcuna
modificazione alle connotazioni dei concetti che lo costituiscono, deve
aspettarsi di sostituire al nesso X è B il nesso X è causa di B, appunto perché
il rapporto di principio esistenziale a conseguenza tra soggetto e predicato
nulla ha che fare con la connotazione di un rapporto di causalità in genere in
forza di quell’insufficienza che ha la mera esistenza di una cosa a porsi a
causa dell’esistenza di un’altra, insufficienza di cui il modo finora considerato non è che un aspetto, e neppure
l’essenziale. D’altra parte, riprendiamo il nostro giudizio categorico X è B e
consideriamo il rapporto che dal punto di vista qualitativo intercorre tra il
soggetto e il predicato: nel caso che il giudizio sia del tipo cui
convenzionalmente un giudizio categorico si riduce, del tipo cioè dell’inerenza
del predicato nel soggetto, il concetto del predicato è una nota componente la
connotazione del concetto-soggetto, sicché qualitativamente e materialmente si
dà una certa coincidenza tra i due, e per questo appunto alcuni logici hanno
creduto di avere il diritto di parlare di una certa applicazione del principio
d’identità ai giudizi categorici, ossia di una identità parziale a fondamento
di tal fatta di giudizi; ora qui non interessa cercare questo fondamento, e
quanto ci serve dell’osservazione che in un giudizio categorico inerenziale il
soggetto sta al predicato come un tutto a una sua parte è questo che tale
rapporto elide l’eterogeneità tra i due e fonda una loro omogeneità come
dimostra il fatto che se si volesse ricercare un concetto sovraordinato che
gettasse intelligibilità su entrambe le nozioni del giudizio, questo concetto
sarebbe offerto dal genere immediatamente sovraordinato al concetto predicato,
il qual genere avrebbe la liceità di sussumere il concetto-soggetto pel
semplice motivo che la sussunzione prima coinvolgerebbe in sé la sussunzione
seconda, il che non ha luogo quando i due sussumibili siano eterogenei, nel
qual caso appunto il concetto sussumente va ricercato tra quei generi tanto
lontani da uno dei due concetti e dall’estensione talmente ampia che sotto di
lui s’adunino una quantità notevole di concetti altrimenti eterogenei; inoltre,
il diritto che il pensiero può trovare
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