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insorgenti
nella nuova situazione; basterà cioè che il concetto-predicato sia concepito
come una determinazione particolare sovraggiunta all’intelligibile logicamente
antecedente, il quale diverrà eterogeneo da quel che era non solo perché
numericamente superiore ma perché qualitativamente differenziato da ciò che gli
si è sovraggiunto, e insieme simultanea a una determinazione diversa che si è
data nell’intelligibile logicamente antecedente, perché il concetto-soggetto
veda la sua connotazione ridursi da quella totalità che era nel giudizio
categorico alla sfera intelligibile
costituita dalle denotanti condizionanti il concetto- predicato e
modificato dalla determinazione il cui insorgere è simultaneo al darsi di
quella nuova determinazione che modifica l’area intelligibile e sommata a
questa trova nel predicato il suo concetto e il suo segno; in tal modo il
concetto-soggetto da principio di esistenza e di intelligibilità si è fatto
rappresentazione dell’ontico causatore di quell’ontico rappresentato dal
concetto-predicato, e il rapporto di predicazione del giudizio categorico da
mero rapporto di ragione si è fatto segno di un nesso causale ontico; resta da
definire le due determinazioni eterogenee, quella affettante la nuova
connotazione del concetto-soggetto, la quale aristotelicamente può essere
rappresentata come l’attuazione di una fra le molte potenzialità che immangono
a lato dell’intelligibile in atto, e quella affettante la nuova connotazione
del concetto-predicato, la quale aristotelicamente può essere rappresentata
come la potenzialità attuata e con ciò modificante l’intera struttura e modo di
essere di quanto di intelligibile già si dava in atto; secondo modi altri da
quello aristotelico possono essere descritte le due determinazioni, ma tutti
questi modi dovranno rispettare l’essenza delle due determinazioni, cioè il
loro modo fondamentale di essere l’uno un sovraggiungere, un dinamismo colto
nel suo attuarsi e nel suo modificare, l’altra un darsi, una staticità che non
è se non lo stesso dinamismo guardato non nel suo modificare sé e l’antecedente
logico, ma nel suo modificare il susseguente logico e nell’essere modificato
dalle determinazioni che in questo insorgeranno; a parte le nuove aporie, è certo
che il rapporto di ragione del giudizio categorico è divenuto segno di un nesso
causale ontico, e l’enunciato da giudizio-categorico si è fatto giudizio
ipotetico -trovi il giudizio categorico X è B la sua ragione nel rapporto di
principio a conseguenza X-B; in quanto B immane in X e, come
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parte di X,
ha la propria esistenza garantita dall’esistenza di X e la propria
intelligibilità fornita dall’analisi di quella sfera di X che astratta e
concepita in sé è pensata come B; la connotazione di X non è pensata né
semplice né omogenea, ma deve essere rappresentata come composta da molti
eterogenei, A B C D E...N, che, in forza dell’unità che è attributo formale
apodittico di X e in forza dell’univoco schema secondo cui molti eterogenei sono unificabili,
debbono essere ridotti all’ordine logico D, E, B, C, A,...N, garantito dal
rapporto razionale da condizionante a condizionante che intercorre tra due
denotanti immediatamente successivi, e sufficiente a fare dell’accostamento
delle denotanti un’unificazione per principio di ragione e quindi una sintesi
reale, in quanto unità nell’ontico e nel pensato; è sufficiente che la
denotante B, condizionata da D-E e
condizionante C-A...-_N, venga analizzata e identificata sia con la struttura
D-E arricchita dalla determinazione B1, offerta dall’insorgere in
D-E di B2, differenza specifica per cui D-E +B2 =
B,(insorgere che può essere aristotelicamente descritto come il moto di B2
dalla potenza all’atto), sia con la struttura D-E arricchita dalla determinazione
B2; in quanto B2 ≠ B1, come lo è uno
statico da un dinamico e un primo di una serie di determinazioni future da un
ultimo di una serie di determinazioni passate, e D-E +B1 ≠ D-E
+ B2 come una situazione che genera dal proprio seno un nuovo modo
di essere si differenzia dalla stessa situazione che patisce modifiche dal modo
di essere da essa stessa generato, perché D-E + B1 si ponga a
ragione-causa di D-E +B2 = B che è il suo conseguente effetto, e
perché l’enunciato X è B da giudizio categorico si faccia giudizio ipotetico,
se è X, è B -. Anche ammettendo che siffatta modificazione sia una pretesa del
pensiero fondata però su un diritto che la legittima in tutto, e che quindi
l’enunciato X è B sia una semplice apparenza fenomenica e superficiale dell’ontico
intelligibile realtà profonda e effettualmente sottesa se X è, è B, è evidente che il moto
dialettico dal fenomeno all’essenziale sotteso non ha luogo senza una
modificazione delle connotazioni del concetto-soggetto e del
concetto-predicato: queste nel giudizio categorico sono gli atti unitari di
pensiero con cui sono rappresentate in sintesi, ossia in istato di
implicitazione, la totalità delle rispettive denotanti, e, sottoposte ad
analisi, condotte cioè a uno
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stato di
esplicitazione, si sdipanano nell’elencazione delle note secondo l’ordine
logico di condizionamento; ben diverse sono le connotazioni del
concetto-soggetto e del concetto-predicato nel giudizio che pur conservando la
segnatura e la struttura categorica dell’altro acquista la funzione di segno di
causalità che l’altro non aveva: il concetto-predicato conserva in fondo la
connotazione precedente in cui però particolare rilievo acquista la denotante
specifica nella funzione di determinante eterogenea di una situazione eterogenea
che è il generico adattato però ai modi che la denotante rilevata esige, mentre
la connotazione del concetto-soggetto si spoglia di quella parte di denotazioni
che iniziano con la nota del concetto-predicato e aggiunge al residuo generico come determinante, simultanea ed
eterogenea relativamente alla
determinazione rilevata nella
connotazione del predicato, la differenza specifica stessa nel suo dinamismo
genetico; con ciò, la connotazione del concetto-soggetto del giudizio
categorico di intuizione immediata sta alla connotazione del corrispondente
concetto nel giudizio categorico elaborato come la sintesi di un tutto organico
a quel che di questa sintesi resta quando si abradano tutte le denotanti a
cominciare dal concetto predicato, e la connotazione di questo, anche se
quantitativamente non patisce modifiche nel passaggio dall’un giudizio
all’altro, viene qualitativamente elaborata fino a divenire non un mero
rapporto da generico a specifico, ma la relazione tra un generico che deve organarsi in un certo modo per
accogliere lo specifico, e uno specifico che alla giustapposizione al generico
aggiunge un’azione elaboratrice esercitata sul generico stesso. Dopo questa
particolare elaborazione delle connotazioni del concetto-soggetto e del
concetto-predicato così come in seguito all’altra ed opposta loro modifica,
vengono meno le aporie che impediscono a un giudizio categorico, quale si dà
alla riflessione di intuizione immediata, di fare del suo rapporto di
predicazione il segno di un nesso causale ontico: l’impossibilità di
considerare X è B equivalente di se X è, è B perché si dovrebbe pure accettare
le equivalenze X è C = se X è, è C, X è D = se X è, è D, ecc., l’impossibilità
cioè di porre tale equivalenza per il conseguente derivare da essa di una variabilità
degli effetti nonostante l’unicità e univocità della causa e del punto di vista
e del tempo sotto cui la causa è riguardata come tale, cade in quanto alla
variazione degli effetti fa riscontro un mutamento omologo della causa, essendo
l’X di X è C altro dall’X di X è B (in X è B X=D-E + B1, in X è C X=
D. E -B+ C1); così l’impossibilità di accettare X è B = se X è, è B
perché ne deriverebbe la necessità di accogliere come equipollenti di X è B= se
X è, è B, Y è B, Z è B, con la conseguenza che l’unico ed univoco effetto B
dovrebbe avere a suo principio la molteplicità delle cause X, Y, Z, cade, in
quanto l’eterogeneità di X, di Y, di Z, sarebbe solo relativamente alla
connotazione totale di ognuno degli intelligibili, non relativamente a quella zona
di connotazione per la quale X può porsi a principio causale di B, zona di connotazione in cui X, Y, Z coincidono (D-E
+ B1=X =Y =Z)-. E’ lecito, allora, concludere, che nulla impedisce
di sussumere la classe dei giudizi categorici sotto la nozione di giudizio
ipotetico e di definire un giudizio dalla formula X è B uno fra i tanti
modi comunicativi d un giudizio la cui
formula essenziale è se X è, è B, alla condizione però che la formula X è B sia
ritenuta un modo superficiale e fenomenico di conoscere l’effettuale rapporto
che vincola X a B, e insieme alla condizione che le connotazioni che i concetti
X e B hanno in X è B risultino l’adattamento gnoseologico alla modalità
superficiale e fenomenica della forma che le stesse connotazioni devono avere.
La conclusione a cui siamo giunti che la legittimità
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di
identificare il rapporto di predicazione di un giudizio categorico con il
rapporto predicativo di un giudizio ipotetico sta tutta nell’assumere il
giudizio categorico secondo quel che in esso il pensiero vi ritrova quando
intuitivamente e immediatamente prende contatto con esso o nell’affermare che quel che risulta da
tale contatto non dà cognizione dell’intima essenza del giudizio ma rimanda a
un differente rapporto che si cela sotto e al di là dell’apparente aspetto
intuito, lascia già intravvedere che il giudizio categorico in sé e per sé non
è direttamente riconducibile a un giudizio ipotetico. Si tratta, ora, di vedere
che cosa offra questo aspetto intuito immediatamente in un giudizio categorico
e perché mai quel qualcosa non appaia congruente con un rapporto di ragione che
sia rappresentazione di un nesso causale ontico. Manteniamo ancora l’ipotesi,
in ottemperanza alla quale abbiam fin qui ragionato, che cioè un giudizio
categorico sia l’enunciazione di un rapporto di inerenza, e che quindi la
formula X è B sia di un giudizio categorico quando X stia a B come una nozione
specie sta a una nozione genere, in modo che B venga sempre fatto coincidere
con una cognizione la cui sfera di denotazione sia sempre più ampia di quella
denotata dalla cognizione di X, indipendentemente dal fatto che X sia
effettivamente una nozione da sussumersi apoditticamente e intelligibilmente
sotto B, ipotesi questa che nella sua ristrettezza lascia fuori altri giudizi dalla formula X è B e insieme nella
sua indeterminatezza prende dentro giudizi dall’identica formula in cui però B
non è propriamente genere di X; l’altitudine mentale, cui ci ha portato la
secolare impostazione aristotelica della logica, muove a considerare il
concetto-soggetto come il tutto di cui il concetto-predicato è una parte, ad
assumere quello come la nozione che ritrae il proprio diritto ad esistere o
dalla corrispondente situazione ontico-sensoriale o da una nozione che
direttamente o indirettamente ha questa situazione a principio della sua
esistenza, o pensabilità che è poi lo stesso, ma mai dal concetto-predicato,
sicché in ordine all’esistenza o alla pensabilità il pensiero procede
dialetticamente dal soggetto al predicato come dal principio alla conseguenza,
e a giudicare il concetto-predicato come la nozione che deve essere analizzata
e conosciuta nella sua universalità e necessità, o unicità e immutabilità, e
quindi nella sua luce intelligibile, al fine di trasfondere l’intelligibilità
sua in quel tutto in cui immane, il quale in tal modo viene a partecipare della
luce di intelletto se non altro relativamente a quella nota di ontità e
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