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di pensato
che coincide con la connotazione del predicato, sicché dal punto di vista
del’intelligibilità il concetto-predicato è principio per la dialettica che
conclude nel concetto-soggetto, e indirettamente in tutti i concetti che hanno
questo a predicato, allo stesso modo che il precedente moto dialettico estende
il diritto ad esistere e ad essere pensati a tutti i concetti che si fanno
predicati del predicato. Ma già questo modo di analizzare il giudizio
categorico è secondario e derivato, in quanto presuppone una serie di
considerazioni e raziocini volti a
semplificare facilitare disaporeticare
la concreta situazione e struttura sotto cui il giudizio categorico si dà a una
riflessione veramente immediata e intuitiva: infatti, in primo luogo il
giudizio categorico, assolutamente preso, e sottoposto ad un analisi che tenga
conto solo di quel che esso è nella
sfera del pensato, ossia il riferimento di una nozione intelligibile ad una
nozione intelligibile assunta come altra ed eterogenea e insieme lo spostamento
dell’energia attentiva del pensiero su di una sola delle due nozioni, appunto
quella che ha funzioni di soggetto, con il ben preciso scopo di ricondurre i
due intelligibili eterogenei ad un’unità o unicità di atto di pensamento per la quale nel caso che i due manifestino
una identità e coincidenza assoluta ed essenziale sottostante all’apparente
eterogeneità, dovuta a diversità di modi operativi, e quindi meramente formale
e non a materiale e qualitativa diversità, il pensiero elida la dualità e le
sostituisca l’unicità di diritto, nel caso invece che l’eterogeneità permanga,
il pensiero superi la discontinuità qualitativa sul fondamento di un rapporto
unificatore che con la sovraordinazione dell’un intelligibile all’altro
costringa il pensiero a collegare la conseguenza al principio e il principio alla
conseguenza, il giudizio categorico insorge da una definizione di eterogeneità
dei suoi due concetti e dall’intendimento di assumere l’uno a principio e
l’altro a conseguenza; la funzione logica di ciascuno dei due concetti nulla
depone a favore della natura di principio o di conseguenza, manca cioè una
proporzionalità diretta tra principio e funzione logica di soggetto, tra
funzione logica di predicato e conseguenza; la funzione logica, in realtà, è
fatto gnoseologico e non logico, è indice di una concentrazione di attenzione
su uno dei due concetti, la quale ha a suo fine non di determinare apriori,
mediante il suo effetto che è di porre un concetto a soggetto del giudizio, il
privilegio del primato logico, bensì di stabilire per quel concetto che lì per lì
l’interessa la sovraordinazione o la subordinazione
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di esso
all’altro rispettivamente e insieme indifferentemente come di principio a
conseguenza o di conseguenza a principio - per intendere bene questo è
necessario scavalcare le incrostazioni che derivano da un lato dalla
strutturazione aristotelica della logica, la quale ha fissato una
proporzionalità diretta fra funzione logica discorsiva, ossia compito sia di
soggetto che di predicato, e funzione logica dialettica, ossia compito sia di principio
che di conseguenza, dall’altro dall’uso tipico della nostra lingua e di altre dell’articolo nelle sue due modalità, per il quale uso il
genere assume una modalità dell’articolo e la specie un’altra; conviene rifarsi
ai concetti e in particolare a due loro segni diversi, X e B se si vuole,
ciascuno dei quali è l’indice di una variabile o meglio di una classe di
omogenei, ciascuno dei quali tollera il segno appunto perché rientra nella
classe; una volta stabilito che il vincolo di predicazione che si inserisce tra
X e B ha a sua ragione l’intento di elidere l’eterogeneità con la sussunzione
che è l’unico mezzo con cui il pensiero è in grado di ridurre la discontinuità
del differente qualitativo alla sua unità, si ha come conseguenza che X e B non
possono essere né omogenei né cogeneri; ma, oltre a queste due condizioni
nessun’altra limitazione è posta alla connessione di X con B, e diviene
indifferente per il pensiero predicare X a B o B ad X, consistendo l’unica
differenza per scegliere tra la prima e la seconda predicazione nella diversità
di situazione in cui il pensiero viene a trovarsi e per cui il pensiero si
concentra o su X o su B; è la necessità di stabilire la natura o di conseguenza
o di principio di B che, dati B ed X, induce il pensiero a fare di B il
soggetto cui X viene predicato, così come è la necessità opposta che capovolge
i concetti nel giudizio; perciò se nella struttura aristotelica della logica e
nel linguaggio italiano con uso di articolo non è la stessa cosa dire che
Socrate è uomo e l’uomo è Socrate, l’uomo è mammifero e il mammifero è uomo,
per il pensiero i giudizi Socrate è uomo e uomo è Socrate, uomo è mammifero e
mammifero è uomo sono formalmente indifferenti, in quanto l’attenzione
concentrata successivamente su Socrate e uomo e su uomo e mammifero, fa di
ciascuno un soggetto, ossia il termine di cui si cerca il primato o la
dipendenza consequenziale, non apoditticamente il principio del conseguente
predicato- Quando si cerchi
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il punto di
vista determinato rispetto al quale al pensiero sia dato stabilire il rapporto
da principio a conseguenza tra i due concetti del giudizio categorico, può
sembrare che sia apodittico per il pensiero far proprio criterio X la
differenza di estensione dei due concetti, il fatto cioè che l’un concetto
denoti un numero di concetti più grande di quello dei concetti denotati
dall’altro e che nel rapporto di denotazione uno solo dei due concetti abbia
funzione attiva e l’altro funzione passiva; sembra che non sia lecito assumere
a principio se non il concetto che con la propria esistenza e intelligibilità
rende necessarie l’esistenza e l’intelligibilità dell’altro comparendo con la
propria connotazione nella connotazione di questo, e che il concetto-principio
sia per il suo carattere di parte nei confronti del concetto-conseguenza sia
per il suo potere di essere fonte di esistenza e di intelligibilità per altri
concetti secondo un identico rapporto di parte a tutto abbia estensione
superiore, sia cioè genere rispetto alla funzione di specie dell’altro. Ma a
parte che questo criterio è di fatto molto meno determinato e molto più affetto
di indeterminazione di quel che non è parso quando lo si è preso in
considerazione, si verifica che nella situazione di immediata intuizione in cui
si trova il pensato l’assunzione del concetto-genere a principio suscita
aporie che non si verificano se la
natura di principio viene assegnata al concetto-specie; in primo luogo conviene
distinguere l’una dall’altra tre condizioni di cui il pensiero può valersi come
impulsioni motrici di quell’attenzione o tensione attentiva che lo muove a
rilevare l’un concetto sull’altro e ad assegnare al concetto rilevato la
funzione di soggetto del giudizio: se il pensiero si trova in una condizione di parziale ignoranza rispetto a uno dei due
concetti o si riporta volontariamente alla condizione di parziale ignoranza
originaria da cui uno dei due concetti era affetta, l’attenzione cognitiva si
concentra su questo concetto che diviene soggetto del giudizio, attendendo
dall’altro la fornitura di quelle nozioni capaci di annullare l’ignoranza; è
indifferente che il concetto ignorato sia a denotazione maggiore e((??)) unione
del concetto noto, potendosi perciò verificare che il soggetto, preda di
ignoranza sia o il concetto-specie o il concetto-genere; in questo caso, fonte
di conoscenza è sempre il concetto-predicato, il quale dovrà essere elaborato
in due differenti maniere, per adempiere alla sua funzione di fornitore di
conoscenza, a seconda che sia genere o specie del concetto-soggetto; appunto
per siffatta condizione si verifica che un concetto -genere possa essere
indifferentemente soggetto o predicato di un suo concetto-specie; ma si dà
anche la condizione che entrambi i
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concetti
siano noti, nel senso che siano possedute entrambe le connotazioni, e che il
pensiero intenda sottolineare l’immanenza di una connotazione nell’altra, nel
qual caso, sebbene unico modo di tale rilievo paia quello di concentrare
l’attenzione sul concetto-specie come quello nella cui connotazione immane
l’altro, pure tal modo è garantito e legittimato solo dal presupposto
pregiudiziale aristotelico non dall’effettuale stato delle due connotazioni
pensate, per le quali è altrettanto
vero che la connotazione del concetto-genere immane nel concetto-specie
quanto lo è il contrario, sicché sotto questo punto di vista il concetto-specie
può fare da soggetto e insieme da predicato; infine terza condizione è quella
in cui viene a trovarsi il pensiero quando voglia individuare e sottolineare il
moto dialettico tendente a fissare l’ontico rapporto di principio a conseguenza
tra i due concetti: in questo caso, benché paia naturale e immediato che il
concetto-soggetto debba coincidere nel concetto-specie come quello su cui si
estende l’intelligibilità e l’esistenza in quanto intelligibile del
concetto-genere che avrà funzioni di predicato, pure di fatto è indifferente
per il pensiero assumere a soggetto il concetto-specie o il concetto-genere,
perché basta spostare il punto di vista da cui ad ognuno dei due si guarda
perché l’un concetto debba porsi
rispettivamente o a soggetto o a predicato - nel caso che, dati i due
concetti uomo e Socrate, corrispondenti rispettivamente al segno B e al segno X
fin qui adottati, sia ignoto parzialmente il concetto di uomo, di cui ad
esempio, come sempre accade, si conoscano bene le componenti della animalità e
della viviparità, ma non quella della razionalità e della moralità, se questa
parziale ignoranza, reale o voluta, è motore dell’attenzione, è evidente che il
giudizio della forma uomo è Socrate, assume a principio il concetto di Socrate
relativamente però all’attitudine del concetto-predicato di fornire le
cognizioni che si sanno presenti nel concetto-soggetto, ma che s’ignorano nella
loro materialità; sicché in questo caso il denotato è principio di conoscenza
del denotante secondo un rapporto che si capovolge quando l’ignoranza
parziale colpisca Socrate, muovendo
l’attenzione a concentrarsi sul denotato per attendere conoscenza dal
denotante, nel nuovo giudizio “Socrate è uomo “; il rapporto di denotazione è
qui indeterminato agli effetti di un universale rapporto((apporto??)) di
principio a conseguenza che debba intercorrere dal concetto-genere al
concetto-specie; se invece il rapporto di predicazione tende a sottolineare la
relazione di immanenza
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