- 99 -
[pag.99 F 1]
ridotta a
ciò che di specificante c’è in essa, oppure solo alla condizione di sostituire
alla connotazione del concetto-predicato la rappresentazione dello scisma che
vi si opera e che vi provoca le due, se vogliamo seguire la lettera del
platonismo, o le molte, se vogliamo attenerci allo spirito del platonismo,
determinazioni -il giudizio categorico X è B, in cui X sia specie di B e abbia
a connotazione A B C di contro alla connotazione A B di B, può ridursi alla
struttura ipotetica se X è, è B, alla condizione che X venga ridotto a C,
sicché (X è B) = (se X è, è B) in cui però X =C, o alla condizione che B venga
pensato equivalente a D(=rottura di B nella sua specie), sicché (X è B)= (se X
è, è B) in cui però B=D-; è evidente che le due sostituzioni non sono casuali,
ma hanno a loro fondamento una differente interpretazione del processo
dialettico che tra il concetto-soggetto e il concetto-predicato deve
instaurarsi perché i due concetti si vincolino in un rapporto di predicazione
categorico che sia intelligibile; se il processo dialettico viene
determinato come un moto di pensiero
che ricorre al concetto-soggetto per attingere il diritto di esistenza dei due
componenti il giudizio e al concetto-predicato per valersi della sua intelligibilità
ai fini di conoscere il concetto-soggetto, la determinazione della funzione di
principio vien fatta in vista della priorità dell’esistenza rispetto
all’intelligibilità e il concetto-soggetto deve esser pensato tale da offrire
il diritto di passare dalla funzione di principio a una funzione di causa; se
il processo dialettico viene interpretato come una corrente unidirezionale che
dal concetto-predicato muove al concetto -soggetto per estendere a questo
l’esistenza e l’intelligibilità di cui gode il primo, sull’esistenza prende
priorità l’intelligibilità, questa priorità si pone a criterio di
determinazione della funzione di principio entro il giudizio categorico e il
concetto-predicato, divenuto principio nei confronti del concetto-soggetto,
dev’essere pensato tale da poter di diritto consentire un passaggio dalla sua
funzione di principio alla sua funzione di causa; è ancora evidente che
l’assunzione di una delle due priorità, quella dell’esistenza
sull’intelligibilità o dell’intelligibililtà sul’esistenza, non dipende da una scelta fatta a caso, ma da un lato da
una definizione del concetto di esistenza, dall’altro da una certa
interpretazione dei meccanismi gnoseologici come strumenti di apprendimento di
nuovo: se infatti l’esistere è affermato equivalente
[pag.99 F 2]
al modo
ontico proprio di tutta la nostra soggettività, l’intelligibilità non può farsi
principio dell’esistenza ma solo sua conseguenza, e con ciò il moto dialettico
destinato a fondare la ricerca del diritto ad esistere va necessariamente dalla
specie al genere, dal concetto-soggetto al concetto-predicato, e, acquistando
primato sul moto dialettico orientato a fondare la intelligibilità, trasferisce
siffatto primato al concetto-soggetto che è fondamento dell’esistenza nella
sfera del giudizio categorico; e, una volta presupposto ciò, la conoscenza come
acquisto di rappresentazioni nuove dovrà essere descritta secondo certi suoi
meccanismi; se invece l’esistenza è affermata equivalente all’intelligibilità
ossia all’organamento dell’esistente secondo la formalità razionale,
l’esistenza deve trovare il suo principio
nell’intelligibilità, il concetto-predicato necessariamente inferisce la
propria funzione di principio dall’unicità del moto dialettico che fonda
insieme il diritto dell’esistenza e dell’intelligibilità, e il meccanismo del
conoscere deve ricevere tutt’altra descrizione. E’ lecito, ma non necessario
pensare che entrambi i discorsi siano ipotetici e problematici, e che il
pensiero non riesca mai o a risalire a una ragione prima di assoluta verità che
sia principio di validità alla definizione dell’esistenza come naturalità
fenomenica o a giungere a una rappresentazione di assoluta validità da cui
debba necessariamente inferirsi l’equivalenza tra esistente ed intelligibile
razionale; infatti è pur sempre lecito attribuire al pensiero una somma di
conoscenze la cui analisi approfondita offra la nozione che permetta di
accettare l’una definizione dell’esistere e di respingere l’altra. Tuttavia,
anche ammettendo come risolta la questione di quel che si deve intendere per
esistere, la decisione a favore dell’una elaborazione del giudizio categorico
in nulla diminuisce l’impossibilità di ridurre questo a un modo soggettivo e
fenomenico di un giudizio ipotetico. Già di una differente natura dei due
giudizi ci hanno avvertiti sia le aporie che insorgono quando si pretenda di
investire il rapporto di predicazione categorico con un contenuto di causalità senza provvedere e modificare le
connotazioni dei concetti che al rapporto si sottomettono: cause differenti
dovrebbero essere a principio di un
unico effetto; effetti eterogenei dovrebbero trovare a loro principio un’unica
causa; queste aporie dimostrano l’impossibilità
[pag 99 F3]
di ridurre
il rapporto di principio a conseguenza di un giudizio categorico a un rapporto
di causa ad effetto nella concreta ed intuita situazione di pensiero, ma sono
insufficienti a liberare questo stato dai modi della relatività e della
soggettività che si manifestano o possono manifestarsi come suoi indici tipici
se si fa del giudizio categorico un velo di puro valore formale steso sopra
quella struttura da giudizio ipotetico che in apparenza risulta la
trasfigurazione cui il pensiero ha
dovuto sottoporre il giudizio categorico per interpretarlo in termini di
causalità, ma che di fatto o((??e??)) di diritto è il sottofondo essenziale ed
immutabile di cui il giudizio categorico stesso è trasfigurazione indebita.
Accettiamo pure come valida questa interpretazione, riteniamo pure, in altri
termini, che nei confronti del rapporto intercorrente tra due concetti
destinati ad entrare in un vincolo categorico, il pensiero si strutturi per dir
così su due piani uno essenziale e legittimo, l’altro relativo ed apparente,
che sul primo i due concetti si pongano con le funzioni di soggetto e di
((da??)) predicato di un giudizio ipotetico e sul secondo con le stesse
funzioni di un giudizio categorico, che le rispettive connotazioni dei concetti
mutino a seconda del giudizio in cui entrano, che la modificazione cui il pensiero
deve sottoporre l’una o l’altra connotazione per scendere dal piano del
giudizio categorico a quello sotteso del giudizio ipotetico sia un’elaborazione
tendente a ricostruire l’originaria situazione legittima e non una
modificazione arbitrariamente introdotta per dimostrare l’assenza di rapporto
causale implicita e celata sotto l’esteriorità della relazione categorica.
Anche se le cose stanno veramente così, è lecito dimostrare che l’esistenza dei
due piani e la dualità tra un nocciolo essenziale e una crosta
superficiale non depongono affatto a
favore di una relatività e soggettività dell’apparente e sovrapposto piano o
crosta del giudizio categorico. Siano i due giudizi da considerarsi l’uno un
giudizio categorico nella forma tradizionalmente accettata di un
concetto-soggetto al quale è riferito come inerente il concetto-predicato,
l’altro un giudizio ipotetico che ha a suoi fattori i concetti del precedente,
ma elaborati in modo che l’uno si ponga a causa dell’altro: nel giudizio
categorico il pensiero esprime l’atto di contemplazione con cui si è posto
dinanzi al concetto-soggetto come dinanzi a uno statico immutabile e le
successive operazioni di analisi che ha dovuto compiere su di esso per renderlo
da conoscibile, conosciuto: effetti di tutto ciò sono
[pag.99 F4]
la
trasformazione di un esistente statico immutabile da unitario a molteplice e la
dichiarazione di immanenza di ognuno dei molti costitutivi nella sintesi cui
l’unità si è ridotta: a volte l’analisi è immediata, come, ad esempio, quando
il concetto-soggetto è l’effetto di una traduzione di una percezione dal
fenomenico sensoriale all’intelletto, altre volte l’analisi è mediata, nel
senso che richiede operazioni o di confronto tra il concetto dato ed altri
concetti posseduti o di manipolazioni della percezione per condurre alla
scoperta che la presunta unità semplice è di fatto l’unità sintetica di molti
eterogenei; comunque, quando il pensiero passa dal giudizio come atto ad esso
connaturato, operazionale, al giudizio come termine di riflessione valutativa e
quindi come nozione pretendente di rappresentare qualcosa di ontico, il
giudizio categorico diviene per il pensiero l’immagine di una totalità
composita entro cui è stato sottolineato questo componente anziché quello
attraverso un particolare atto di attenzione gnoseologica che spostandosi dal
tutto al componente fornisce una conoscenza più approfondita e completa del
tutto; questo e nulla di più è il giudizio categorico; potrà, è vero,
arricchirsi di ulteriori determinazioni, via via che nella sua struttura
formale è ricondotto alle varie categorie del pensiero: sarà lecito
interpretarlo come una struttura dualistica entro cui il pensiero deve muoversi
dialetticamente, ma solo quando il giudizio sia ricondotto, in quanto
produttore di conoscenza, alla definizione del conoscere discorsivo come dialettica da un principio a
una conseguenza, e per questa riduzione o sussunzione si porrà il problema se
principio del conoscere nel giudizio sia il concetto-soggetto o il
concetto-predicato, con le due differenti soluzioni, che il concetto-predicato
è principio di conoscenza per il concetto-soggetto in quanto coincide con una
nozione atta a conservare perenne identità con sé stessa indipendentemente
dalla nozione cui offre intelligibilità - è questa la posizione aristotelica per la quale nel giudizio X è B la luce
di conoscenza muove da B ad X, in
quanto ciò che si sa di B in X è B è identico a ciò che di B è noto in Y è B, Z
è B, T é B, ecc. - oppure che il concetto -soggetto è principio per la conoscenza
del concetto-predicato come quello che rende noti sia una particolare
determinazione di cui il concetto-predicato è capace di arricchirsi sia il modo
particolare di cui il concetto-
|