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il diritto
di affermare l’irriducibilità di un giudizio disgiuntivo anche alla classe dei
giudizi categorici, non già sulla base di un rapporto tra concetto-soggetto o
concetto -predicato che non è di sostanza ad inerente, ma di inerente a
sostanza perché abbiam visto essere il soggetto del disgiuntivo un
sottoordinato al predicato, ma sulla base di una differente struttura cognitiva
e funzionale che nel giudizio categorico
è di contemplazione soddisfatta e di strumentalità operativa per altro
attraverso sé, mentre nel giudizio disgiuntivo è di ignoranza insoddisfatta e
di strumentalità operativa per sé attraverso altro.Ma è lecito scendere ancora
più a fondo e offrire una ragione ben più probante dell’irriducibilità di un
giudizio disgiuntivo al categorico. E’ stato affermato che il pensiero non
pensa attraverso giudizio, ma attraverso sillogismi e che nel pensiero non si
dà il giudizio, ma il sillogismo, nel senso che il giudizio in sé non è che l’astrazione
di un momento di un processo da cui di fatto e in concreto non può isolarsi
nulla: è logico che l’affermazione debba essere estesa al giudizio categorico;
tutto ciò, è vero, alla condizione, però che il pensiero che essa considera sia
di condizione umana: un pensiero che non è capace di contemplare un tutto nelle
parti componenti se non separando queste dal tutto e le une dalle altre e poi
riferendo parte a parte e parti a tutto con atti che tendono a ricostruire
l’unità mediante il riferimento per inerenza; uno di questi atti è il giudizio,
anzi è lecito dire che il giudizio è lo
strumento fondamentale di questo riferimento per inerenza sostitutivo
dell’unità intelligibile. Il giudizio, infatti, è la primordiale e originaria
rottura e ricostituzione dell’unità, e il giudizio categorico è l’atto
originario con cui il pensiero bipartisce l’ontico intelligibile nel tutto e in
una sua parte per poi ricostruirlo con l’immanenza di questa in quello. Allora
gli intelligibili che il giudizio categorico abbraccia sono due e soltanto due;
che se si vuole uscire dalla dualità, si deve o procedere a spezzare il
concetto-predicato per astrarne una componente, la quale sarà costitutiva anche
del concetto-soggetto - e in questo caso alle tre operazioni del pensiero,
quella originaria del giudizio, quelle successive
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della
ricognizione del predicato e dell’approfondimento analitico del soggetto,
corrisponderanno tre giudizi il cui vincolo
è posto dal primo come da quello che pone l’inerenza dell’ulteriormente
suddivisibile nell’ulteriormente suddiviso (se A è B, la divisione di B in B è
C, pone che A è C, essendo che B è C, A è B, A è C, in cui il giudizio
primitivo è mediale)- o ritrovare un intelligibile altro dai due concetti dati
del quale il concetto-soggetto del giudizio originario sia parte componente e
che debba accogliere come inerente il concetto-predicato del giudizio
originario - in questo caso le tre operazioni del pensiero, l’originaria,
quella della ricognizione di un intelligibile sottoordinato al
concetto-soggetto e quella dell’approfondimento analitico di questo
sottoordinato, prendono corpo in tre giudizi cui fa da vincolo il giudizio
ricomponente in unità il concetto-soggetto col concetto di inerenza (se A è B,
la divisione di C in C è A, pone che C è B, essendo che A è B, C è A, C è B, in
cui fa da medio il nuovo giudizio sovraggiunto all’originario)-; si deve
concludere quindi che per un pensiero di condizione umana l’optimum sarebbe
dato dall’intera serie dei giudizi categorici aventi a concetto-soggetto la
classe di tutti gli intelligibili di infima subordinazione e a concetto
predicato l’intelligibile di suprema sovraordinazione: il possesso della serie
dei giudizi offrirebbe il medio di tutti i sillogismi leciti la cui conclusione
sarebbe l’analisi intera sia degli intelligibili infimi che dell’intelligibile
supremo: tale stato, elidente la condizione umana, equivarrebbe all’intuizione
in atto della sfera del razionale. La sua base, tuttavia, sarebbe un complesso
di giudizi categorici, ciascuno dei quali comprenderebbe due intelligibili,
l’uno dei quali unità di tutti gli intelligibili, l’altro principio dell’intelligibilità in genere: il
sillogismo, o discorso mirante
all’analisi dell’unità degli intelligibili e all’ordinamento in serie, secondo
principio di ragione, degli intelligibili, ha a sua origine la giustapposizione
di due concetti; qualora un sillogismo tragga origine da una
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rappresentazione
che un discorso tra due concetti, siffatta rappresentazione non è lecito
ritenerla né un giudizio né il principio del sillogismo. Consideriamo ora un
giudizio disgiuntivo, M è o A o B; ripetiamo che, secondo rigore formale, esso consta della
rappresentazione di due intelligibili, e precisamente della rappresentazione
dell’intelligibile sottoordinato al concetto-predicato, in quanto però
totalità, distintivamente concepito, di tutti gli intelligibili sottoordinati e della rappresentazione dell’intelligbile sovraordinato, in
quanto però totalità, distintivamente concepita, di tutti gli intelligibili
sottoordinati e della rappresentazione
dell’intelligibile sovraordinato, in quanto però totalità, distributivamente
concepita, di tutti gli intelligibili
sottoordinati, e della rappresentazione dell’intelligibile sovraordinato,
in quanto però totalità, distributivamente concepita, di tutti gli
intelligibili subordinati - (M è o A o B) = (tutti gli M sono tutti gli A-B) =
(la totalità degli A- B inerisce alla totalità degli M), essendosi in questa
formula, per brevità, assunto il punto di vista aristotelico -,. Si tratta ora
di vedere se l’enunciato del giudizio ritrovi la sua unità e intelligibilità
nella struttura verbale e razionale o solo nella prima e non nella seconda:
essendo il concetto-soggetto costituito dalla totalità di una classe, essendo
cioè il disgiuntivo un giudizio universale, deve essere lecita la sua
conversione in un giudizio individuale, in quanto se si dà una certa
predicazione di una certa classe, deve siffatta predicazione estendersi ad ogni membro della classe; d’altra parte
la conversione della forma del giudizio disgiuntivo da universale in
particolare, deve essere lecita anche per quella forma in cui il predicato
esprime esplicitamente ciò che di implicito si dava nel predicato in quanto
disgiunto: se [(M è o A o B) = (tutti gli M sono tutti gli A-B)] e se [(M è o A
o B) = (un M è o A o B)], deve darsi che [(M è o A o B) = (un M è tutti gli
A-B)], in quanto, se [( M è B = (M è tutto B)] e se [(M è B)= (un M è B)], si
dà anche che [(M è B) = (un M è tutto B)]. Ma la conversione risulta
evidentemente assurda; dunque nella struttura verbale del giudizio disgiuntivo
deve darsi qualcosa di diverso da ciò che si verifica nella struttura razionale
che l’enunciazione pretende di tradurre: è stato detto sopra, e con noi
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dicono i logici, che il giudizio disgiuntivo esprime la necessità
dell’inerenza di uno dei corni del predicato nel soggetto e la necessità
dell’esclusione dal soggetto della restante parte dei corni del predicato; ma
se ci si rende conto che uno dei corni del predicato deve inerire del soggetto
perché nel corno stesso inerisce la nota sotto cui è conosciuto il soggetto e
che o non è se non quell’intelligibile la cui esistenza pone necessariamente
come propria determinazione il corno stesso, si deve riconoscere che di fatto
l’enunciato comprende tre rappresentazioni di tre intelligibili, due dei quali,
estremi coincidono l’uno con il razionale, concepito nella sua individualità
indipendentemente da che sia oppur no classe di intelligibili, e l’altro con il
razionale immediatamente sovraordinato, mentre il terzo, pensato come il
razionale sovraordinato a quest’ultimo, si pone come il medio che con la
necessità della inerenza in sé del razionale sovraordinato e con la necessità
della propria inerenza nel subordinato pone la necessità dell’inerenza dell’un
estremo nell’altro, secondo un rapporto di inerenza che per principio di
contraddizione esclude qualsiasi altro rapporto di inerenza e((??o??)) perciò
rende necessaria la negazione di qualsiasi intelligibile, altro dal predicato,
dal soggetto; il movimento attraverso i tre concetti porta ad una predicazione
che è affermazione di inerenza e per corollario immediato, negazione di qualsivoglia altra inerenza; con ciò il giudizio disgiuntivo trova, anzitutto,
il suo correlato cognitivo ed intellettuale nel moto dialettico che
dall’individuo di una classe porta direttamente alla sua sussunzione sotto la
classe che è classe della prima per il medio della ragione della prima classe e
indirettamente alla sua esclusione da altra sussunzione; basta che al posto di
una delle tre costanti intelligibili venga sostituita una variabile, basta cioè
che l’individualità sussunta sotto le due classi venga pensata come una
variabile che possa coincidere con uno qualsiasi degli enti intelligibili atti
alla medesima sussunzione, perché il discorso subisca una modificazione
profonda: se la sussunzione dell’intelligibile sotto la classe immediatamente
sovraordinata fosse univoca in quanto determinata esclusivamente dalla
dipendenza funzionale dalla classe della classe, al pensiero sarebbe
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