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attraverso la visione delle operazioni che si compiono sui dati
sensoriali o con assoluta indipendenza da queste, con un’indagine che riguardi
esclusivamente gli intelligibili; la questione è stata da noi risolta con un
voto a favore della prima linea metodica sulla base di questo dato di
intuizione interiore: in primo luogo, ogniqualvolta il pensiero di condizione
umana rivolge il cuneo della forza attentiva sui propri moti dialettici da
intelligibile ad intelligibile a un fine non già di pensamento ma di
ripensamento del pensato in vista del possesso delle proprie strutture formali,
esso non pare capace di un’intuizione assolutamente pura e sembra piuttosto
costretto a valersi di uno strumento sussidiario che pare destinato a porsi
come medio tra l’analisi intuitiva e l’intelligibile intuito ed analizzato; lo
strumento che sembra a portata di mano
è il linguaggio, sicché il pensiero può essere facilmente portato a fare
delle espressioni linguistiche e dei loro rapporti immagini simmetriche e di
diritto sostitutive dei concetti e dei loro rapporti; la facile e frequente
osservazione che parole e nessi di parole sostituiscono sì intelligibili e
nessi tra intelligibili ma sulla base
di pretese di esigenze e di condizioni che non sono quelle di un discorso di
razionalità pura, porta ben presto il pensiero ad abbandonare lo schermo del
linguaggio; ed allora un altro strumento si fa avanti, quello
dell’immaginazione: qui il linguaggio non è abbandonato del tutto, ma è
utilizzato solo come avviamento, in quanto dei termini verbali e dei loro
rapporti il pensiero si serve per farsi
trasportare, per dir così, in seno agli intelligibili, e per essere più precisi
del fatto che l’espressione verbale è fondata su rapporti di ciascuno di questi
il pensiero si vale per spostarsi a ciò che è della stessa natura generica del
rapporto verbale ma non necessariamente della stessa essenza determinata e
speciale, al nesso cioè relazionale tra concetti intelligibili, e una volta
preso contatto col particolare nesso razionale si trova ad avere presa anche
sugli intelligibili; ma, se il pensiero presta molta attenzione a quanto viene
operando in questa autoanalisi, se cioè si rifletta per ripensare il
ripensamento orientato al possesso delle sue strutture formali, è costretto a
riconoscere che nel momento stesso che lascia da parte il parallelismo tra il
rapporto tra termini e il rapporto fra
intelligibili per aderire immediatamente e solamente a quest’ultimo, ancora ciò
su cui fa presa non sono né gli intelligibili né
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il moto dialettico che si pone a loro nesso relazionale, si rende
tosto conto che il suo atto intuitivo aderisce immediatamente a costruzioni
sensoriali ricostruite secondo quella particolare attitudine a ripetere una
rappresentazione fenomenica esteriore che comunemente chiamiamo immaginazione o
fantasia, secondo l’orientamento cui è tesa; siffatte costruzioni che sono
fantasmi interiori e che godono di tutti gli attributi cognitivi di cui son ricche le immagini giuocanti
nell’immaginazione, sono quanto di più indeterminato possa darsi in
questa attitudine, in quanto non assumono né forma geometrica ben precisa, né
ripetono colori sfumature parvenze di oggetti esteriori percepiti; sono
fenomeni immaginativi indeterminati che dei fenomeni che di solito compaiono
nell’immaginazione riprendono alcune caratteristiche, la capacità a
suddividersi, a ripetersi, a contenersi l’un l’altro, a simultaneizzarsi e a
succedersi, a modificarsi e a lasciarsi modificare o da un ente della loro
classe o dal pensiero stesso, a schierarsi secondo un certo ordine spaziale, a
scomparire qui per riprodursi là, ad
annullarsi definitivamente; sono enti immessi nello spazio e nel tempo che di fenomenico
non hanno se non tutti gli attributi che derivano loro dal fatto di esser dati
secondo lo spazio o secondo il tempo, enti che l’immaginazione si
preoccupa di rivestire del minor numero
di determinazioni fenomeniche possibile; pare che siffatta strumentalità sia
quanto di meglio si offra a un’intuizione interiore delle operazioni e
strutture formali, come quella che meno deforma i processi di ragione giacché
le uniche deviazioni modificanti che essa introduce, ossia la riduzione della
acronicità alla simultaneità spaziale e la traduzione della successione
dialettica in successione temporale, possono essere facilmente elise dal
pensiero - ho cercato di descrivere con oggettività quanto il mio stesso
pensiero compie nei suoi processi di autoanalisi, traendo conforto per ritenere
di condizione umana siffatto comportamento e per rigettare che sia atto
particolare e contingente, dal fatto che chiunque ha negato l’esistenza di ontici intelligibili effettivamente dati
al pensiero ha sempre fornito tra le varie prove
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l’incapacità per il pensiero di intuire un intelligibile pensato che
non sia o immagine di rappresentazione fenomenica o parola, dal fatto che le
espressioni comuni con cui si designa l’ordine degli intelligibili,
sovraordinazione, subordinazione, genere sommo, specie infima, piramide
concettuale, denunciano la traduzione della contemplazione della totalità degli
ontici intelligibili pensati in un
quadro di immagini spazializzate e temporalizzate, infine dal fatto che nella
descrizione delle operazioni dialettico-formali i logici si servono di termini
che di solito son segni di operazioni compiute su ontici giacenti nello spazio
e succedentisi nel tempo, si servono cioè di un linguaggio adatto a un mondo di
fenomeni, il che non avverrebbe se quei
logici non si valessero di quella strumentalità descritta sopra, della
proiezione degli intelligibili
nell’immaginazione, tanto più che gli stessi logici non esitano a dar
vita a termini nuovi come nuovi segni
per ontici nuovi - In secondo luogo, lo stato secondo cui il pensiero di
condizione umana assume l’intelligibile, la struttura generale che tale
pensiero attribuisce all’intelligibile, i rapporti in cui esso deve porre vari
intelligibili per poter operare su di essi, si trovan ripetuti nelle identiche categorie sotto cui il fenomenico naturale si presenta; il calco razionale
dell’empirico esiste sia nel caso che si voglia ritenerlo preso dall’empiria
sul razionale sia nel caso contrario. Infine, il controllo di una nozione formale
generica inferita da una particolare struttura secondo cui intelligibili determinati si ordinano,
se vien fatto su una serie di altre strutture particolari ordinanti
intelligibili della stessa classe, nulla impedisce che venga attuato su
complessi i cui componenti son dati sensoriali. Per tutto ciò riteniamo che la
riflessione abbia il diritto di valersi del ricorso a strutture empiriche
ricalcate su equivalenti strutture di pura intelligibilità ogni volta che miri
ad ottenere rappresentazioni chiare di rapporti razionali puri, senza che sia
pregiudiziale una presa di posizione gnoseologica e metafisica a pro di una
qualsiasi dottrina astrattistica. Come dimostra un giudizio categorico
descrivente una certa situazione empirica, quello, ad es., che ci dice il
colore dei capelli di una persona, la condizione preliminare di un giudizio
categorico è la rappresentazione di una totalità unitaria la cui intuizione
prima fa conoscere un’unità che non è sintesi in quanto di essa non sono
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ancora date né la molteplicità delle parti che vi si ritroveranno né
la composizione che fa di queste un tutto indivisibile; nel dato primo
dell’unità della percezione non è ancora presente il concetto di sostanza, come
dimostra il fatto che, anteriormente ad ogni analisi è capace di lasciarsi
intuire come percezione unitaria un
complesso sensoriale destinato poi a frangersi in varie percezioni; questa
nozione di unità assoluta è da principio uno stato psicologico indistinto che
colora la rappresentazione e che la compone assieme all’autocoscienza,
piuttosto che un intelligibile distinto formalmente categoriale, e rivela la
propria presenza come nell’atteggiamento pragmatico uno ed indifferenziato che
l’individuo conoscente assume di fronte a una percezione nuova così nel modo
con cui il pensiero accoglie un intelligibile nuovo ed ignoto: il senso
dell’unità del conosciuto di prima acquisizione è il sottofondo saldo che
sottendendosi a tutte le operazioni successive conserva al conosciuto il suo
modo d’essere originario e garantisce al pensiero la facoltà di modificare le
rappresentazioni ulteriori che potrà darsi del conosciuto senza che questo
venga meno e si disperda svanendo nel diverso cui le operazioni l’han ridotto;
attraverso ragionamenti sdipanati da principi posti in particolare sarà dato
ridurre l’unità a conseguenza di un intelligibile universale, l’autocoscienza o
la sostanza, come quella che è una determinazione particolare e appariscente di
un motore efficiente che si cela dietro il conosciuto, e con ciò si cercherà di
dar soddisfazione al principio di ragione anche nei riguardi di tale stato
psicologico, il quale però non ha bisogno di interpretazioni e
giustificazioni per porsi come
condizione prima di tutti i modi di
conoscenza del pensiero di condizione umana: là dove manca un qualsiasi senso
di unità vien meno la conoscenza, può restare una contemplazione che pone la
coscienza in uno stato affettivo di turbante insoddisfazione, quale si dà
quando un qualsiasi motivo spinge a spogliare di unità quel che prima era stato
accettato come un uno semplice, l’immagine di un caleidoscopio o la nozione di
un periodo storico. Basta poi che alla primordiale impressione di unità
semplice e perciò indifferenziata subentri la certezza che differenziazioni
qualitative compongono l’unitario, basta che alla primitiva intuizione
immediata succeda il risultato di una qualsivoglia analisi,
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