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data la convertibilità di modo
semplice, dovrebbe esser lecita un’identica utilizzazione di ciascuno dei due
giudizi e in particolare l’utilizzazione che li erige ((??esige??)) a premesse
maggiori di un univoco sillogismo che ai due intelligibili dati ne giustapponga un terzo il che però non si
verifica - infatti, dato B C.. N son A, sarà possibile procedere affermando che
X è B e che X è A e servendosi del giudizio come di una premessa maggiore che è
costitutiva di un sillogismo in Barbara e che ha il proprio soggetto con
funzioni di medio; ma dato il giudizio A è B C...N o si deve conservare alle
due altre proposizioni del precedente sillogismo, e in questo caso il
sillogismo cessa di essere in Barbara, oppure pretende di conservare l’univoca
struttura in Barbara, e allora diventa o impossibile o assurdo. -; d’altra
parte, è lecita un’altra considerazione: il discorso sillogistico è una
prosecuzione del moto dialettico iniziato nel giudizio stesso che fa da
premessa maggiore, sicché, poiché il verso
del moto dialettico di un giudizio
categorico è dal predicato al
soggetto, cioè dal genere alla specie, i sillogismi che ne derivano conservano
tutti il medesimo verso continuando
nella direzione delle specie; se il giudizio fosse equazionale come si
pretende sia a prima vista, esso dovrebbe contenere sia la dialettica di
orientamento specie-genere sia la dialettica di orientamento contrario, e i
sillogismi che derivano da esso come da premessa maggiore dovrebbero costruirsi sia secondo il primo che secondo
l’altro orientamento - essendo X un genere di A ed Y una specie sottoordinata a
B C...N specie immediatamente sussunte sotto A, se il giudizio A è B C...N
fosse equazionale o di identità assoluta dovremmo poterlo assumere a premessa
maggiore sia di un sillogismo che prenda in considerazione X, sia di un
sillogismo che si costruisca su Y; dovrebbero esser leciti sia il sillogismo “
A è B C...N, X può essere A, X può essere B C...N “, sia il sillogismo “ A è B
C...N, Y è A, Y è B C..N “ -; ma dei due solo il sillogismo di orientamento
specie→genere è intelligibile; quindi, il nostro giudizio non è di
identità assoluta. Il nostro giudizio con soggetto a funzione generica rimanda,
per la sua intellezione, a quanto or ora si diceva che la rappresentazione
autoriflessa delle leggi sovraordinate alle dialettiche espresse sia dal
giudizio copulativo categorico sia dalle strutture sintattiche riguardanti le
conseguenze formali di questo finisce o per approfondire e completare i
risultati
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della dinamica naturale o automatica che sta alla base di tali
dialettiche, o per provocare dinamiche nuove, avventizie, che si determinano in
dialettiche eterogenee: mentre, infatti, la dinamica automatica è un movimento
o spostamento di rappresentazione attentiva che da un intelligibile di
connotazione determinata si porta ad un intelligibile di connotazione più
povera per poi riflettersi spostandosi da questo a quello secondo un rapporto di
parte a tutto e secondo un’inversione per la quale il secondo intelligibile
viene a denotare l’altro e a possedere un’estensione più ricca come quella che
è estensione uno altra dall’estensione zero del primo, e mentre la medesima
dinamica automatica grazie alle nozioni consapevoli delle sue modalità
necessarie si fa più complessa e completa allargandosi a un numero crescente di
intelligibili che si interrelazionano ai già connessi secondo i medesimi nessi
di rapporto inverso tra connotazione e denotazione, tra genere e specie, la
contemplazione consapevole di un ordine piramidale di intelligibili fornisce,
per analisi, rappresentazioni e interpretazioni nuove di rapporti che impongono
dialettiche nuove: in una gerarchia concettuale assunta come perfetta e
compiuta risulta che un intelligibile denota una serie di nozioni; dal punto di
vista meramente formale e quantitativo, questa denotazione non significa se non
da un lato che l’analisi degli intelligibili
denotati rivela nella connotazione di ciascuno la presenza del denotante
vincolato a tanti modi qualitativi ordinatamente antecedenti quanti sono gli
intelligibili sussumenti il denotante e ordinatamente seguito da un modo
qualitativo particolare del denotato in esame, dall’altro che l’intellezione di
ciascuno degli intelligibili denotati è condizionata dall’intellezione del
denotante comune a tutti, il quale risulta dotato di intellezione già in atto
in quanto totalità analiticamente rappresentata attraverso la contemplazione
degli intelligibili sotto cui è sussunto. In quest’ultimo moto dialettico a
finalità intellettiva l’intelligibile denotante è posto come principio mentre i
denotati risultano punti di arrivo, consistendo il diritto di tale spostamento
d’attenzione non tanto nella permanenza del denotante opposta alla variabilità
dei denotati quanto nella modalità del moto, univoca come quella che si ripete
costantemente ad ogni tentativo ((??)) di intellegibilità di un denotato, e
insieme necessariamente antecedente come quello che trae la propria
determinazione dalle molteplici differenze specifiche: dunque, la componente
generica
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comune alla connotazione di tutti i denotati è connessa a ciascuna
delle differenze specifiche non per semplice giustapposizione bensì per virtù
di un rapporto, il cui particolare carattere è di fissare sia la modalità sia
la condizione dalle quali i modi qualitativi del generico denotante ricevono la
liceità di sussistere; questo rapporto, chiamato impropriamente di
determinazione, non è un nesso di causalità, in quanto di questo possiede solo
la simultaneità e non l’autosussistenza di due eterogenee modalità di due
sussistenti distinti, è un nesso conformativo, nel senso che la nota speciale,
che di diritto formale è un eterogeneo dal generico cui si applica, trae la
necessità della propria esistenza dalla necessità della qualità generica di
atteggiarsi e conformarsi in un certo modo e non dalla mera necessaria
simultaneità dell’esistenza propria con l’esistenza di un eterogeneo-causa; in
altre parole, la differenza specifica sta alla denotazione generica come un
ordine sta a una struttura, essendo l’ordine un modo secondo cui la struttura
può e deve esistere e quindi un’ appendice, per dir così necessaria, che la struttura
deve trarre da se stessa se vuole sussistere, e non un eterogeneo sovraggiunto
dall’esterno; è certo, allora, che il generico continuerà a funzionare da
principio per l’intellezione sia della nota speciale che di tutto
l’intelligibile denotato dal generico, ma è pure certo che l’attenzione
intellettiva non ha bisogno di fuoriuscire dal generico per trovare la sorgente
esistenziale della nota speciale e specifica, la quale quindi dev’essere
pensata come parte esistente già nel generico stesso - siffatto modo di
guardare agli intelligibili risulta dall’interpretazione che, ad esempio diamo,
dell’animalità o vegetalità che possono giustapporsi alla vitalità in genere,
oppure della qualità rettangolare o acutangolare o scalenangolare nei confronti
della triangolarità in genere: è evidente che se da un punto di vista meramente
formale è sufficiente la giustapposizione delle prime rappresentazioni alle
seconde, dal punto di vista dell’intendimento della giustapposizione occorre
una certa interpretazione del generico che è qualcosa di più e di diverso dalla
mera elencazione ordinata delle note denotanti giustapposte nella sua
connotazione; l’interpretazione sarà relativamente facile e certa quando si
abbia che fare con rappresentazioni geometriche per le quali intuizione del particolare e intellezione
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dell’universale coincidono, sicché basta la rappresentazione immediata
di tutti i modi di relazionalità spaziale che è lecito assumano i modi
concepiti come essenziali per rendersi conto che questi non sono che un
impoverimento artificiale di quelli e i primi i modi che necessariamente
debbono assumere i secondi (una figura a tre angoli supplementari non potrà
avere ciascun angolo di misura autonoma rispetto alle misure degli altri; potrà
variare la dimensione di un angolo entro quei limiti che la sua supplementarità
con gli altri consente, limiti che son racchiusi tra l’angolo piatto come
limite dello scaleno e l’angolo piatto come limite dell’angolo acuto); la
stessa interpretazione potrà essere invece difficile e problematica per i
generici non geometrici pei quali, non essendo data un’intuizione immediata
coincidente con la rappresentazione essenziale, l’interpretazione consisterà
sempre in un rilievo dato a un essenziale anziché a un altro senza però che
tale rilievo riesca a fuoriuscire dalla natura formale di mera ipoteticità
(come si verifica, ad esempio, nell’interpretazione che Bergson dà del vitale,
entro la cui connotazione giacciono
evidentemente il vegetale e l’animale)-; d’altra parte, la liceità di assumere
la differenza specifica da altro fuori di sé, la liceità cioè che la
connessione tra la denotazione generica e la denotazione specifica venga
rappresentata come la confluenza con adattamento per incastro di due correnti
di intelligibilità di distinta origine, non può né formalmente né materialmente
essere attribuita a un intelligibile generico; dal punto di vista materiale,
infatti, ad un genere potrebbe essere assicurata la facoltà di attingere una
differenza specifica da una sfera di intelligibilità altra da quella cui esso
appartiene, alla condizione che denotazione generica e denotazione speciale
godessero di una certa modalità dell’eterogeneità. Veniamo qui a toccare il
discorso una delle cui foci è la nozione di intelligibile trascendentale. Il
pensiero di condizione umana, riflesso su di una rappresentazione intelligibile
a ruolo generico e destinata, per questo, a veder arricchita la propria
connotazione dal sovraggiungere di ulteriori note per le quali la
rappresentazione si fa specie di se stessa, è portato a porsi due domande: in
primo luogo, deve chiedersi se l’aggiunta, che chiamiamo determinazione, sia un
evento contingente e indeterministico, oppure sia un necessario divenire cui
all’intelligibile non è lecito sottrarsi; in secondo luogo, deve chiedersi se
la predicazione,
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