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raddoppiamento, quelle nozioni, che prima erano puri predicati
privilegiati, si traducono in ontici privilegiati, come quelli che dotati in sé
di costanza, e di permanenza, estendono la propria costanza e permanenza a
tutti gli ontici in cui si ritrovano come parti costituenti; ora, senza tener
conto dei vari problemi che a questo punto insorgono, la questione del rapporto
di priorità ontica fra l’essere e le categorie
e fra le categorie e gli ontici che le contengono, la questione del
metodo da seguirsi nell’individuarle, ecc., pare che il pensiero umano non sia
capace di rappresentarsi una ed una sola categoria, una sola nozione cioè nella
cui connotazione compaia la nota della costanza, o dell’universalità-necessità,
ma pare che esso debba immettere la nota della costanza in più rappresentazioni
le cui comprensioni concorderanno solo in tale nota e nel fatto di essere la
classe delle classi dei predicati, con la conseguenza che le differenti
dottrine che han la pretesa di offrire la rappresentazione delle ragioni della razionalità attraverso l’indicazione e
la dimostrazione di una teoria categoriale, vedono variare l’elenco delle
proprie categorie in funzione dei
mutamenti nei principi della ricerca, ma si trovano concordanti nello stabilire
la molteplicità dei concetti categoriali
; e ancora siffatti concetti, in esse, sono strutturati in modo tale
che tra gli uni e gli altri s’instaura
un condizionamento di intelligibilità che si traduce sul piano
dell’ontico in un condizionamento delle esistenze, e sul piano del pensiero in
una successione immodificabile o ordine; è lecito che nello stabilire
quest’ordine l’indagine parta o dalla connotazione delle stesse categorie
assunte come riproducenti degli ontici in sé o dalla connotazione degli
intelligibili sussunti sotto le categorie e assunti come riproduzioni di ontici
in sé o dalla connotazione degli intelligibili, sussunti sotto le categorie, ma
assunti questa volta come rappresentazioni condizionate dai reciproci rapporti
in cui il pensiero li situa al fine di pervenire alla loro intelligenza -
essendo le categorie A B C, il loro ordine è conosciuto o ricercando i rapporti
ontici sotto cui A B C debbono essere pensati in sé indipendentemente dalla
loro funzione predicativa e dal pensiero di condizione umana che se li
rappresenta, o ricercando i rapporti ontici in cui si pongono A1 B1
C1, sussunti di A B C e rappresentazioni di ontici equivalenti ed
esistenti indipendentemente da un pensiero di condizione umana che
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se li rappresenti, o indagando i rapporti di intelligibilità, ossia le
relazioni secondo cui vengono a disporsi in un pensiero di condizione umana che
pretenda fondarne l’intelligibilità, in cui entrano A’ B’ C’ sussunti sotto A B
C -; evidentemente la prima e la seconda analisi debbono sfociare in un
medesimo risultato; non necessariamente, invece, identico o diverso il
risultato cui pervengono da un lato la prima e la seconda indagine, dall’altro
la terza; nel caso, ad esempio, di un sistema aristotelico, in cui il rapporto
di ragion sufficiente in ordine all’esistere non coincide con il rapporto di
ragion sufficiente in ordine all’intelligere, [[Nota a matita
dell'autore:”in nota stabilire il perché e confrontare con Kant e
Hegel”]] è naturale che l’ordine delle categorie indotto dalla successione
cronologico-dialettica con cui il pensiero dispone i concetti per giungere alla
loro intelligenza sia altro dall’ordine con cui si susseguono le stesse
categorie quando le riguardi dall’opposto punto di vista; la conseguenza,
allora, è che un duplice ordine di categorie è presente al pensiero, il quale
però vede ridotto il suo diritto a distinguere tra categorie oggettive e
categorie soggettive solo limitatamente all’ordine di ragione che le schiera, e solo relativamente a se stesso e
alle proprie esigenze, non all’ontico in generale entro cui le categorie
conoscono uno ed un solo ordine di ragione; b) se non è preposta la negazione
della razionalità dell’ontico in generale o se non è introdotta una facoltà
cognitiva dell’ontico in quanto razionale, altra dalla ragione, la teoria delle
categorie soggettive, ossia dei predicati di tutti i predicati del pensiero di
condizione umana, è da ritenersi esclusiva rappresentazione dell’essenza una e
permanente dell’ontico; alla teoria si giunge pel medio della conoscenza di ciò
che deve intendersi per intelligibile in generale; la teoria quindi ha a suo principio la nozione di ciò che si
potrebbe chiamare l’ontico intelligibile od ontico per il pensiero
intelligente, e costruisce la comprensione di questa nozione con note le quali
differiscono dalle denotanti di qualsivoglia altra nozione in questo che
nessuna di esse è segno di una porzione soltanto del contenuto rappresentativo
della nozione, ma tutte sono immagini che il pensiero si dà dell’intero
contenuto della rappresentazione o
pensato in sé o riguardato nei suoi rapporti con uno degli intelligibili sotto
cui è lecito sussumerla; la nozione dell’ontico intelligibile si pone così come
l’immagine dell’universalità e necessità in genere della ripetizione immutata e
quindi sciolta in generale da qualunque dipendenza funzionale da altro o
condizionamento funzionale di altro con cui si ponga un rapporto, di una
immutabilità in genere, la quale o riguarda
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l’intera connotazione dell’intelligibile che, senza esserne specie
immediatamente sussunta, ossia categoria, primo dovrà essere sotto di essa
sussunto, o costituisce la denotante inescludibile di almeno una nota della
connotazione di siffatto intelligibile; e così pure lo stesso intelligibile si
pone sia come conoscenza di un uno, in quanto ontico intelligibile irrepetibile
se non nelle composizioni dialettiche binomie
in cui di variabile non c’è se non l’intelligibile che il pensiero
sintetizza con la nozione di essere, sia come conoscenza di un vero; e si deve
stare attenti nel considerare queste denotazioni a non incappare in un errore a
cui il modo aristotelico di concepire la dialettica della denotazione potrebbe
condurci: parrebbe che, essendo le note su esposte, la conseguenza della
sussunzione dell’immagine dell’essere sotto certi intelligibili, come la
qualità, la quantità e la relazione, si finisse di cadere nella contraddizione
di porre a principio della teoria delle categorie una nozione che non può essere
connotata se non muovendo da altre nozioni che acquistano la funzione di
principio, sicché il nostro principio sarebbe tale solo alla condizione di
presupporre principi altri da esso; si
tenga presente quanto si è detto che la sussunzione di un intelligibile sotto
un altro non è soltanto una dialettica di intelligenza dal secondo al primo, ma
è anche la definizione di un rapporto di struttura intercorrente fra i due per
il quale il sussumente è sempre e soltanto parte del sussunto che di esso
diviene un tutto comprensivo, e questa relazione fondata su di una differenza
di struttura si ripete sia pur capovolta nelle interpretazioni ontologiche di
Platone e di Aristotele circa i rapporti tra intelligibili in reciproco
rapporto di sussunzione; si ha quindi il diritto di parlare di una relazione di
principio a conseguenza tra due intelligibili quando la sussunzione instaura un
rapporto di parte a tutto ed è quindi una equivalenza fra il tutto
dell’intelligibile sussumente e una
parte solo dell’intelligibile sussunto; ma quando poniamo la sussunzione del
concetto di essere al concetto di qualità e da tale sussunzione inferiamo la
denotazione del secondo
da parte dell’universalità, necessità, permanenza di identità con se
stesso, quando cioè costruiamo un processo dialettico trinomio in cui le denotanti fan da medio tra il sussumente primo
e il sussunto ultimo, non compare il rapporto strutturale di parte a tutto, bensì le due strutture
permangono identiche ((??)), nel senso che la qualità speciale dell’universale
fa tutt’uno con l’immagine dell’essere, e anche quando ci si riferisca a
quell’intelligibile che è il primo ad esser sussunto sotto l’intelligibile
dell’essere senz’essere una categoria, l’universalità od ontità intelligibile
di questo si diffonde per tutta la sua connotazione, sottofondo uniforme di cui
le singole denotanti non sono che sfumature; d’altra parte, se((??)) si
confrontano le
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connotazioni della nozione di qualità in genere e della nozione di
universalità, necessità, ecc., le due strutture risultano equivalenti nel senso
che entro la sfera dell’intelligibilità o ragione l’unica qualità che possa
esser principio di intelligibilità di tutte le altre è l’universalità, sicché
l’universalità, necessità, ecc. non sono
specie della qualità in quanto definito modo generico della razionalità,
ma ne sono l’equivalente identico; donde segue che in forza dell’identità
strutturale fra la nozione di essere, la nozione di universale, la nozione di
qualità, la sussunzione della prima alla seconda e della seconda alla terza non
verifica la condizione di rapporto del tutto alla parte che deve verificarsi
onde la sussunzione sia segno ((??regno??)) di un rapporto di principio di
intelligibilità o derivato di intellezione; lo stesso discorso si ripete per la
quantità che nella sfera dell’intelligibilità pura è l’unità, come dimostra il
fatto che la ragione ignora il due e il più di due e quando si trova di fronte
la dualità o la triade ecc., o espunge da sé come intelligibili in sé le
rappresentazioni che aggiunte all’unico intelligibile generano il molteplice o
elabora la pluralità in modo da ridurla ad unità; e lo stesso dicasi per la
relazione che in una ragione di tipo umano è anzitutto conoscenza ossia
riduzione di due distinti all’unità di un atto rappresentativo che non
sintetizza già due diversi, ma fa dell’uno il ripetitore e il sostituto equivalente dell’altro, e a
tutto ciò dà il nome di vero; c) la teoria delle categorie soggettive cresce
poi su se stessa quando nel passare in rassegna tutte le rappresentazioni
aspiranti alla intelligibilità le
sussume sotto la rappresentazione che si è data dell’ontico intelligibile in
generale, e dalla sussunzione posta trae il dato di fatto che le denotanti della
nozione di essere non si ritrovano nei sussunti né da sole né in
giustapposizione contingente con altre note, ma in apodittica connessione con
queste: la predicazione dell’essere a qualsivoglia altro intelligibile mostra
una differenza latitudinale delle connotazioni, per la quale il concetto
soggetto si pone come un tutto, analizzabile e disarticolabile in differenti
porzioni di cui l’una è data dalle denotanti dell’essere, mentre le altre sono
allineate a questa; e qui entra in gioco una delle proprietà del pensiero
nostro la quale giustifica quella
condizione umana con cui noi finora l’abbiamo specificato; sembrerebbe che
soltanto l’analisi, partendo dal criterio che ogni rappresentazione che
pretenda all’intelligibilità, dovendo riscontrare in tutta la sua comprensione
il segno dell’essere, l’intelligibilità dell’essere
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