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che al pensiero è lecito
definire in questo o quel modo, giacciono in questo stesso rapporto, tutte le
categorie non sono che un unico intelligibile, che chiamiamo ontico
intelligibile o essere razionale, da cui promanano in tutto il volume di un
unico fascio modi differenti, ossia differenti “qualità”intelligibili e in cui
ogni “qualità” intelligibile, o categoria, esiste solo in concomitanza
indisgiungibile dalle altre e con ciò comprende in sé tutte le altre ed è
compresa in ciascuna delle altre; non è una distinctio formalis ex parte rei,
perché nell’unità complessiva delle categorie è la materia stessa di ogni
categoria che fa tutt’uno con le altre, e tanto meno è un’ ineffabile unicità
plotiniana: essere e categorie stanno fra loro nello stesso rapporto in cui un
intelligibile che vada tra le specie degli ultimi gradi si pone con quei suoi
predicati che sono attribuiti di diritto all’intera sua connotazione, predicati
che non sono, come Duns Scoto ha preteso, esclusivamente formali, ma sono anche
materiali: e considerando il rapporto di ragione che intercorre fra la nozione
di ontico intelligibile in generale e
una delle categorie, fra una categoria e una delle altre, fra un intelligibile
in generale e un predicato che dia intelligibilità all’intera sua connotazione,
si potrebbe avere il diritto di parlare di rapporto di ragione reciproco o
categoriale, intendendosi per questo il nesso di dialettica necessaria che si
pone tra due intelligibili ciascuno dei quali è principio dell’esistenza
dell’altro: per siffatto rapporto, perviene ad intelligibilità non la ragione
della duplice dialettica, bensì la ragione delle due esistenze, in quanto
nessun intelligibile altro dai due dati fonderà il nesso per cui non si dà il
pensamento e quindi l’esistenza dell’uno senza il pensamento, e quindi l’esistenza
dell’altro e viceversa, mentre la nozione generalissima di una relazione tra
due pensati ed esistenti nel pensiero l’esistenza e pensamento dell’uno dei
quali è ragione dell’esistenza e pensamento dell’altro e viceversa, è ragione,
con la sua relazione di immanenza da ((??dia??)) principio o conseguente, di
tutti i rapporti sussumibili sotto di essa: se il pensiero ritrova il diritto
di assumere un generico a principio dello speciale di esso dall’immanenza della
connotazione del primo nella connotazione del secondo e dall’ufficio di essenza
che quella esplica in questa, immanenza e ufficio che per definizione fan tutt’ uno con i concetti di genere, di specie e di nesso genere-specie, se
il pensiero trae il diritto di assumere un concetto-causa a principio del
correlato
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concetto effetto dalla
costante e uniforme simultaneità dei due eterogenei e dall’antecedenza o
priorità logica del primo rispetto al secondo, simultaneità e priorità che per
definizione fan tutt’uno con le nozioni di causa, di effetto e di nesso
causa-effetto, lo stesso pensiero pone a fonte di legittimità della funzione
simultanea di principio e di conseguenza che una categoria assume nei suoi
rapporti con la nozione di essere e con un’altra categoria, dalla coestensione
delle due rappresentazioni e dalla deduzione della ragione di esistenza di
ciascuna nozione dall’esistenza dell’altra, coestensione e deduzione che per
definizione fan tutt’uno con i concetti di essere, di categoria e di nesso
essere-categoria o categoria-categoria. La sussunzione dal rapporto
categoria-categoria sotto un principio
di ragione categoriale, se può rendere ragione della necessità, ma non
della modalità, di quel rapporto tra qualitativo e quantitativo che il secondo
(?) canone della metodica staliniana rileva e che di continuo osserviamo in
natura nelle dipendenze funzionali delle modificazioni qualitative dalle
variazioni quantitative, offre altresì parecchi nuovi punti di vista sulla
struttura delle nozioni e del razionale in generale: premesso che non
necessariamente conduce a un universale immanentismo o un sostanziale
immobilismo dell’ontico perché le due descrizioni presuppongono non solo il
principio di ragione categoriale ma anche un’equazione del reale con il
razionale che questo principio non
coinvolge in sé, la suddetta sussunzione vale a fondare l’unità in generale di
tutta la sfera dell’intelligibile, in quanto sostituisce alla argomentazione a
posteriori della sintesi delle denotazioni generiche con le denotazioni
specifiche un’argomentazione a priori; ancora, vale a fondare la necessità
dell’addizione di una denotazione specifica a un generico apriori e non
aposteriori, e di conseguenza, a giustificare la definizione della serie delle
specie di un genere con un discorso deduttivo e induttivo e a consentire la
previsione del particolare dal generale. Tuttavia, oltre a questi due servizi
la cui indagine rimandiamo a una occasione più idonea, la stessa sussunzione
consente la soluzione di quel problema intorno alla predicabilità delle
denotazioni di una specie precedentemente o successivamente al completamento
del genere nella specie, al problema cioè del diritto di predicare al genere
predicati riferiti alla specie, da cui eravamo partiti. Se è evidente che la
distinzione di un genere da una specie è fondata su una differenza tra le
denotazioni di ciascuno la quale riguarda sia la quantità che la qualità e che,
perciò, richiede una eterogeneità tra
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le denotanti in cui le due connotazioni si articolano,
poiché l’eterogeneità è equivalente alla sussunzione delle denotanti sotto
predicati che debbono porsi come eterogenei almeno sino al livello, escluso,
del concetto di essere e dei concetti trascendentali, il criterio
quantitativo-geometrico, o, se si vuole, organicistico-geometrico,
dell’interpretazione del rapporto tra le due connotazioni esclude la liceità
che un predicato delle denotazioni esclusive della specie sia al tempo stesso
predicato delle denotazioni peculiari del genere; tanto nel caso che la genesi
della specie dal genere sia spiegata con la dicotomia platonica quanto nel caso
che sia descritta come un divenire per attuazione aristotelica, la sussunzione
((le sussunzioni??))della specie differiscono dalle sussunzioni del genere: dal
punto di vista dicotomico, infatti, ogni genere, riguardato in sé in quanto
genere e quindi in una dialettica che discenda ignorando i livelli
sovraordinati, ha a denotazioni alcuni dei koina peri pantwn (koina peri panton)
che poi s’identificano con quelli dei megista genh
(meghista ghene) che gli spettano legittimamente, e precisamente l’essere,
l’identità, l’unità, mentre una sua specie, in quanto specie, cioè
intelligibile in subordinazione da un intelligibile, affianca alle stesse
categorie il non-essere, l’alterità, la dissimiglianza che in alcun modo è
lecito predicare del genere; del pari dal punto di vista attuazionale, ogni
genere se è sussunto sotto alcune delle categorie, ad esempio la sostanza e la
qualità, non può essere sussunto sotto le altre categorie sussumenti sotto di
sé la sua specie, ad esempio, la quantità, perché questa sussume sotto di sé
l’area potenziale del genere ma con lo stesso diritto con cui quest’area è
sussunta sotto la relazione, il luogo, il tempo, ecc., ossia in forza di
ragioni ben altre da quella per cui la sussunzione della specie sotto la sua
particolare categoria è legittima; ora, a parte il fatto che non appare nessun
motivo per cui, una volta escluso il criterio geometrico in generale
dall’interpretazione dei nessi categoriali, lo si debba poi riassumere per
interpretare quegli intelligibili che sono per analisi equivalenti alle
categorie, a parte ancora il fatto che lo stesso criterio per divenire
sufficientemente atto a giustificare la genesi della specie dal genere deve gonfiarsi di nozioni che la
sfera dell’intelligibile di per sé non offre, appunta la nozione di una
funzione schizobia, di estrema complicazione ed anche contraddittorietà, in
quanto estesa a un aspetto solo dell’intelligibile e non a tutti gli altri, con
la conseguenza che dovrebbe essere presupposta una eterogeneità nell’intimo del
genere esclusa per definizione dalla
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teoria dicotomica, o la
nozione di una materialità o arazionalità dell’intelligibile, altrettanto
complicata e contraddittoria, a parte tutto ciò, resta sempre che il criterio
geometrico, una volta esteso, per necessaria congruenza, alle categorie e alla
loro connessione con il concetto di essere, non appare più idoneo a guidare
un’analisi degli intelligibili e dei loro rapporti che nel distinguere non
deformi l’originaria e pura struttura
degli analizzati e che al tempo stesso non dia luogo ad aporie altrettanto insolubili quanto lo sono quelle che
intervengono nella genesi delle specie dal genere - ad esempio, l’unicità
dell’essere e il simultaneo suo frazionarsi nelle categorie, la congruenza tra
diritto che la categoria ha di essere sussunta sotto il concetto di essere e il
diritto che questo ha di essere sussunto sotto la categoria, ecc.-; ma se si
assumono a principi dell’analisi il punto di vista qualitativo e il principio
di ragione qualitativa, le categorie, nel loro complesso totale, non tollerano
di esser pensate allo stato di elenco per giustapposizione, ma impongono di
esser rappresentate allo stato di apodittica relazione reciproca di
interdipendenza, secondo una serie le cui componenti categoriali potranno
mutare o in sé o nell’ordine di successione o in sé e nell’ordine di
successione, ma non potranno essere disgiunte l’una dall’altra in modo tale che
la rappresentazione dell’una si ponga senza la rappresentazione di un’altra:
infatti, due categorie della serie in immediata successione saranno sempre tali
l’una nei confronti dell’altra che la successiva avrà nella precedente il
principio della sua ontità intelligibile, sarà cioè legittimamente
rappresentata e pensata come atto legittimo
del pensiero in quanto traente dalla rappresentazione della precedente
il diritto a porsi come ontico intelligibile, mentre la precedente ritroverà
nella successiva il principio della sua completezza intelligibile, verrà cioè
legittimamente rappresentata alla condizione che la sua parzialità
rappresentativa ritrovi nel sovraggiungere dell’altra soddisfazione e
superamento; dunque, tra le due c’è un’unità, ma, appena il nostro pensiero si
ponga alla ricerca della ragion sufficiente dell’unità dei due eterogenei, si
deve stare attenti a non ricadere ancora nel criterio geometrico, che trova
spontaneo e comodo giustificare con la ripartizione dell’unità dell’intelligibile primo, il concetto di essere o intelligibile
in generale, in denotazioni tante quante sono le categorie, e con la
ricostituzione dell’unità originaria pel tramite dell’apoditticità reciproca
dei nessi tra parte-denotante e parte-denotante: se questo procedimento appare
tanto
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