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diritto, quello che abbiamo chiamato rapporto di
intelligibilità, per cui l’un intelligibile consente l’intelligenza dell’altro
e quindi si pone a ragion sufficiente
della validità delle sue pretese di universalità e necessità,
garantendone la pensabilità di diritto, e come rapporto di pensabilità di fatto
o rapporto di esistenza, per cui l’un intelligibile pone l’esistenza in sé e il pensamento in generale ad esistenza
per il pensiero dell’altro, delle cui pretese ad esistere e ad essere
rappresentato, in quanto antecedente logico e logico-diacronico, si erige a
ragion sufficiente; dal punto di vista aristotelico, il fatto che
l’intelligibile, conseguente in ordine di intelligibilità, stia al principio
come un tutto che lo contiene come sua parte, impone che quello sia pensato
come principio dell’esistenza e della pensabilità di fatto di questo con un capovolgimento del rapporto di
ragione già esistente tra i due, che ritrova
la propria validità, già data per la conoscenza di tipo umano che muove
dalla acquisizione in atto intuitiva dell’intelligibile totale ed autosufficiente,
confermata nell’ontico in sé in cui la relazione da attuale a potenziale tra il
denotante escluso dal rapporto di intelligibilità nel conseguente e lo stesso
denotante nel principio assegna una priorità ontica al primo: se è evidente che
il conseguente in ordine di intelligibilità è il punto di applicazione
dell’astrazione isolante il principio e consenziente l’analisi immediata di
questo, sicché nella sfera del pensiero di condizione umana al rapporto da
principio a conseguente ai fini della pensabilità di diritto corrisponde un
rapporto inverso ai fini dell’esistenza
e della pensabilità di fatto, è altrettanto evidente che in un universo in cui
tutto l’attuale non è se non la definizione di un indistinto alle delimitazioni
parziali di questo dev’essere anteposta una totale sua elaborazone in vista di
una sua totale definizione che non è se non l’attualità del contenente a cui
poi potranno seguire, sia pure acronicamente, definizioni ed atti della stessa
materia che sono sue parti e suoi contenuti;anche la teoria platonica dice
qualcosa di genericamente identico, quando afferma esistere tra il conseguente
di intelligibilità e il suo principio il rapporto di un tutto indistinto ed
omogeneo a una sua parte che acquista distinzione ed eterogeneità relativa per l’atto della sua separazione
dal tutto, sicché, anche se il rapporto in cui i livelli di intelligibilità si
pongono per inserirsi in una relazione da principio di intelligibilità a
conseguente è il capovolgimento di quello affermato dalla teoria aristotelica,
resta qui come là valido che il rapporto da principio a conseguente conserva lo
stesso ordine sia in vista dell’intelligenza, sia in vista dell’esistenza in
quanto quest’ultima si rifà al rapporto da contenente a contenuto dei due;
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solo tuttavia sul piano dell’ontico in sé, in quanto nel
pensiero di condizione umana sia in forza dell’acquisizione per memoria sia
perché il conseguente ripete in sé, come sua parte, quanto di evidente si dà
nel principio, lo spontaneo rapporto di esistenza resta il capovolgimento del
rapporto di intelligibilità; di qui la quarta condizione che vuole che due
intelligibili siano principio di intelligibilità l’uno per l’altro quando al
secondo sia lecito porsi come principio dell’esistenza e pensabilità di fatto
del primo, come quello dei due che è contenente e tutto dell’altro, sua parte e
suo contenuto; la qual condizione non è che un corollario della prima. Il
giudizio, che è espressione del rapporto di intelligibilità, a segno della
funzione di principio di intelligibilità pone la funzione di soggetto assunta
dalla parola indice dell’intelligibile principio, a segno della funzione di
conseguente pone la funzione di predicato assunta dalla parola indice
dell’intelligibile conseguente, a segno del rapporto di intelligibilità o una
parola specializzata o una certa uscita del predicato o la tonalità secondo cui
le due parole meramente giustapposte sono pronunciate, essendo la funzione del
soggetto e la funzione del predicato non necessariamente stabilite, sotto il
punto di vista formale, dalla posizione reciproca assunta dalle due
corrispondenti parole: ((nota a matita dell’autore:”indagare la frase nominale
in Platone e nei prearistotelici “)) siffatta struttura ricalca oggi
generalmente l’interpretazione e l’analisi date del rapporto di intelligibilità
dalla teoria aristotelica. E’ logico, quindi, che il giudizio riscontri
anch’esso, nella sua forma, tutte le condizioni cui il rapporto di
intelligibilità deve sottostare: perciò, la parola con funzioni di predicato
designa insieme l’intelligibile che è principio di intelligibilità e contenuto
o porzione o sfera denotante della
comprensione della parola-soggetto; la parola-predicato è indice di un
intelligibile, articolato su denotazioni concatenate necessariamente tra loro e
insieme con la denotazione che
nell’intelligibile, indicato dalla parola-soggetto, è sovrabbondante, sicché la
parola-soggetto è il segno dell’unità dell’intelligibile corrispondente in sé e
in unione con l’intelligibile di cui la parola-soggetto è indice; la
parola-predicato deve porsi a soggetto di tante parole-predicati quante sono
introdotte nel linguaggio ad indicare gli intelligibili che son principi di
intelligibilità del suo intelligibili ((intelligibile??)), e ciascuno di questi
nuovi termini deve porsi a predicato della parola-soggetto e generare
un identico numero di giudizi, ciascuno rispettante le due precedenti
condizioni; la parola-soggetto indica un intelligibile che è principio
dell’esistenza o pensabilità di fatto dell’intelligibile indicato dal
predicato. Se come punto di riferimento della
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connessione degli intelligibili in quanto rapportati
secondo intelligibilità si assume il sistema degli intelligibili strutturati
nell’ordine scalare da genere a specie ossia in rapporti di sovraordinazione,
stabilita dall’identità ed isolamento dei denotanti che sono assunti ad essenza
e condizione fondamentale di tutti gli intelligibili dati nei due livelli, e di
subordinazione, stabilita dall’articolazione sulla denotazione essenziale di
tutte le note che ne sono integrazione complementare, indipendentemente dal
fatto che l’intreccio secondo
intelligibilità sia generatore del nesso sistematico o ne sia generato appare evidente esserci
tra i due una dipendenza funzionale se non altro perché l’ordine sistematico
ripete quell’identità di una porzione delle comprensioni e quelle relazioni da
contenuto a contenente che sono l’essenza e la condizione dell’altro ordine: la
descrizione aristotelica delle strutture dei generi e delle specie assegna ai
primi la funzione di principi di intelligibilità, alle seconde la funzione di conseguenti e verifica in
qualsiasi rapporto da genere a specie le quattro condizioni che debbono esser
date perché un nesso tra intelligibili sia di intelligibilità, inferendo da ciò
la liceità di costruire su di un genere e su una sua specie il giudizio, che ha
a soggetto la specie, contenente il genere, costituente con questo un’unità
assoluta, tollerante tutti i predicati del genere, principio dell’esistenza e
della pensabilità di fatto del genere, e a suo predicato il genere, contenuto
nella specie, strutturato secondo un’unità relativamente assoluta e
integrantesi in unità con la specie, conseguente di intelligibilità dei suoi
generi, principio dell’intelligibilità e della pensabilità di diritto della
specie. La quarta condizione, del capovolgimento del rapporto di
intelligibilità in un rapporto che è fondamento della pensabilità di fatto di
entrambi i rapportati, non è apodittica e univoca se non in forza di una teoria
la quale identifichi il concetto logico-formale della struttura del rapporto di
pensabilità di fatto con il concetto gnoseologico della genesi nel pensiero o
acquisizione del pensiero degli intelligibili in generale, e quest’ultimo con il
concetto ontologico della genesi ontica degli intelligibili l’uno dall’altro:
solo se si afferma che il pensiero di condizione umana acquisisce gli
intelligibili per intuizione immanente, cioè con un atto di contemplazione che
offre la rappresentazione dell’essenziale delle percezioni fenomeniche, si
pongono all’origine della cognizione per universali noti la cui connotazione
totalmente integra e assolutamente autosufficiente sciorina la successione
delle denotazioni in una serie disarticolabile
in membri condizionati e in membri condizionanti e assicura la liceità
dell’astrazione e dell’isolamento dei secondi, col che
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si descrive l’arricchimento ed ordinamento degli
intelligibili come un’inferenza dei generi dalle specie: la genesi allora degli
intelligibili è dalle specie al genere, e il giudizio in cui il predicato
rimanda al genere come al principio dell’intelligibilità è garantito in tutt’ e
quattro le condizioni, compresa l’ultima che la specie-soggetto sia principio
di esistenza per il predicato-genere; solo se si afferma che nell’ontico in sé
l’intelligibile avente in atto la quantità più elevata di denotazioni antecede
tutti gli intelligibili in cui inferiore è il numero delle denotazioni attuali,
si erigono le specie in sé a principi di esistenza dei generi in sé e, di
conseguenza, si assegna all’ontico indipendente dal pensiero umano un ordine
reciproco che è quello dell’ontico per il pensiero e al giudizio formulato dal
pensiero il diritto di esprimere entrambi i sistemi, quello del pensiero e
quello dell’ontico in sé. Ma, una volta fondata la legittimità del rapporto da
specie a genere come rapporto dal principio di esistenza al suo conseguente
sull’equivalenza di esso, in quanto pura condizione che dev’essere verificata
onde sia legittimo l’inverso rapporto
di intelligibilità, con la relazione di identica direzione e verso che tra specie e genere si dà sul piano cognitivo e sul piano dell’ontico
assoluto, perché siffatta equiparazione fosse apodittica non dovrebbe mai essere intuita nel pensiero
nessuna operazione che non verificasse un’acquisizione di una specie da un
genere e che, per questo, rompesse la costante simmetria fra l’ontico generarsi
dei concetti l’uno dall’altro e l’affermazione della loro genesi secondo lo
schema specie→genere: ma ci sono casi in cui il pensiero, partendo dalla
contemplazione dell’intera articolazione in denotanti della connotazione di un
intelligibile genere e dalla rassegna analitica di tutte le specie e di tutti i
rapporti in cui le specie tra loro e le specie col genere vengono ad
allacciarsi col genere entro il fenomenico naturale, deve operare un’inferenza
apodittica di una specie ignota dal genere, rompendo in tal modo il suo
orientamento, che dovrebbe essere classico, dalle specie per risalire ai
generi; è vero che in siffatti casi la specie si pone sempre come un’ipotesi
che attende verifica con l’intuizione, ma è pur vero che l’intuizione ha il
compito ben limitato di garantire l’esistenza della specie, non di darne
conoscenza secondo tutte le sue denotazioni la quale è già anticipata
dall’inferenza; d’altra parte, ci sono operazioni, condotte con elaborazioni
sulle denotanti di un generico,
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