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che sfociano in rappresentazioni di uno o più specie del
genere le quali, quantunque l’intuizione o non verifichi mai o non sia in grado
di verificare se non pel medio di dati intuitivi in supposta connessione
necessaria con quelli che dovrebbero essere offerti da un concreto contatto
immediato, depongono l’abito dell’ipotesi per quello della certezza fornita
dalla necessità delle operazioni con cui ogni specie è dedotta dal genere.
Quest’osservazione qui è stata fatta per rilevare come il pensiero non abbia il
diritto di prendere per apodittiche l’equivalenza tra il rapporto genetico
giudiziale e i rapporti genetici gnoseologici ed ontologici, e l’univocità del
rapporto genetico gnoseologico dalla specie al genere, in quanto se è vero che
ciò è statisticamente verificato e che in un altissimo numero di casi la processione
è dalla specie al genere, è pur vero che la rapportazione delle denotanti di
genere agli intelligibili noti che non sono sue specie rende note le
integrazioni che su di una o su più delle denotanti devono articolarsi onde
l’intelligibilità della connotazione del genere sia sufficiente e, con ciò,
fornisce la rappresentazione di molte o di tutte le denotazioni specifiche che,
unificate al genere, lo integrano nelle varie o in tutte le specie sotto di
esse sussunte, sia che queste siano già tutte conosciute intuitivamente, sia
che una o più di esse siano temporaneamente o staticamente ignote; ci si è
soffermati su questo operare del pensiero di condizione umana, aberrante dallo
schema aristotelico, non per costruire una definitiva teoria gnoseologica che
stabilisca una volta per sempre il rapporto genetico della specie dal genere o
del genere dalla specie e risolva definitivamente la questione dell’intuitività
o discorsività originarie delle nozioni umane, ma soltanto per constatare che
l’univocità dello schema aristotelico è tutt’ altro che garantita
dall’esperienza interiore, dalle teorie sui metodi, dalle decrizioni delle
genesi ontica e cognitiva, dai principi sulla contingenza o necessità
dell’universo; quel che qui interessa è che lo schema del rapporto tra
intelligibili come relazione tra identificantisi in una sfera delle rispettive
denotazioni, tra contenente e contenuto, tra unificantisi in unità, non è
apodittico e uniforme per quel che riguarda la necessaria sua inversione quando
si prende a punto di vista la genesi esistenziale, con la conseguenza che la
contraddittorietà intrinseca a ogni intelligibile per la quale esso è principio
di intelligibilità e conseguente di esistenza, e il corollario di essa che là
dove non si dia principio di
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intelligibilità si darà esclusivamente principio di
esistenza e là dove non si dia principio di esistenza si darà esclusivamente
principio di intelligibilità, non sono nozioni legittimamente apodittiche; il
che d’altra parte è in parte confermato e confortato da varie altre
osservazioni, ad esempio che la struttura aristotelica dei rapporti di
intelligibilità tra i generi in generale e le denotazioni di un intelligibile
subordinato, ossia la struttura per canali paralleli, può essere tranquillamente
sostituita da differenti schemi, il platonico e il qualitativo, e sembra
portare acqua allo schema genetico dalla specie al genere, piuttosto che
riceverne, o che l’unità aristotelica di un intelligibile, tratta com’è a posteriori dal dato di fatto della loro
unificazione nell’unità della specie,((o??)) aposteriori dalla loro comune
sussunzione sotto il generico supremo dell’ontico in generale ossia del mero
carattere formale dell’universale e dell’intelligibile, non consente alcuna
materialmente determinata rappresentazione dell’apodittica connessione tra
denotante e denotante e sembra essere fatta più per consentire l’assoluta
discrezione fra il generico e lo specifico e quindi l’assoluta autonomia e la
totale insufficienza del genere rispetto alla specie che per rendere
ragione dell’apodittica articolazione
dello specifico sul generico e quindi dell’apodittica prosecuzione del genere
nella specie. Una volta privato di necessità il dato dell’inversione del rapporto
come condizione della sua validità ai fini dell’intellezione, anche la
struttura aristotelica del giudizio si riduce
a una delle possibili strutture che al giudizio è lecito assumere e
depone l’unicità e l’univocità: il rapporto da termine-soggetto a
termine-predicato in quanto indice di una relazione da conseguente a principio
di intelligibilità, da contenente a contenuto, da principio a conseguente
nell’esistenza e nella pensabilità di fatto, diventa uno fra vari rapporti che
sono altrettanto legittimi pur che si modifichi qualche denotazione formale
entro i concetti del rapporto e delle strutture dei rapportati; è lecito così
al pensiero attribuire funzione di soggetto e funzione di predicato a termini
che sono indici rispettivamente di concetti genere e di concetti specie,
conservando o mutando i contenuti del rapporto di intelligibilità posti dalla
teoria aristotelica; è lecito cioè accogliere come legittime strutture di
giudizi da affermarsi assurde e impossibili quando si muova dai principi
dell’aristotelismo. Si assuma il punto di vista della teoria platonica: per
questa, le specie sono intelligibili
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che in ordine all’esistere sono preceduti dal loro
genere e traggono da esso genesi in seguito all’infrangersi dell’unità di
questo, con la conseguenza che ogni specie è una parte solo del suo genere, ha
la sua connotazione contenuta nella
connotazione del suo genere, deriva la sua intelligibilità dal suo genere in
nome dell’identità che si pone tra la sua materia intelligibile e la materia
intelligibile che si disegna nel genere
per la sottrazione da essa della specie cogenere, assume a principio del suo
esistere e del suo essere pensata di fatto l’esistere e il pensamento di fatto
del suo genere; d’altra parte [[Nota a matita dell'autore:”
Tutta questa parte riguardo al Platonismo dev’essere riguardata e corretta sulla scorta dello scritto a
matita di pag.136 “], la stessa teoria platonica, dovendo dare atto al pensiero
di condizione umana della sua originaria impossibilità a possedere con un atto
di contemplazione unico ed intuitivo l’intero sistema degli intelligibili e
della sua necessaria dialettica processuale e progressiva all’acquisizione del
sistema, ammette che nelle condizioni attuali del pensiero l’apprendimento
iniziale sia delle specie da cui si risale ai generi; di qui, la duplice
struttura che il giudizio nella teoria platonica dovrebbe assumere, dico
dovrebbe perché di fatto ogni platonismo aggiunge alle due diritto((??)) una
terza struttura: se un platonismo muove dalla struttura del sistema degli
intelligibili quale si dà nell’ontico in sé, in cui il genere sta a una sua
specie come un principio di intelligibilità e di esistenza al suo conseguente,
come il contenente a un suo contenuto, come un sussumente a un sussunto
sussumibile assieme al suo sussumente sotto tutti i sussumenti di questo,
stabilisce l’equivalenza tra la struttura ontologica, la struttura
esistenziale-genetica, la struttura gnoseologica per intuizione afenomenica del
sistema intelligibile, e, muovendo dal criterio che nel giudizio il termine che
ha funzione di soggetto sia indice dell’intelligibile che ha funzioni di
principio o sostrato di esistenza nel
sistema binario, non può non dare funzioni di soggetto al termine indice del genere,
donde la struttura tipico-ontica del giudizio platonico, in cui soggetto e
predicato hanno la portata di indici di due intelligibili in rapporto reciproco
di genere a specie, di principio di intelligibilità e di esistenza a
conseguente, di contenente a contenuto, di problematica specie di generi a
specie del genere dato e di tutti i suoi generi - di contro alla struttura
aristotelica del giudizio A è B in cui A soggetto e B predicato, sia in forza
del criterio che assegna al termine soggetto il compito di rimandare al
concetto che è base e sostrato di esistenza un qualunque nesso di intelligibili
sia in forza della presupposta equivalenza tra il processo acquisitivo della
conoscenza umana e il rapporto ontologico ed intelligibile tra concetti, sono
indici rispettivamente
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di uno ed altro intelligibile che stanno tra loro come
una specie a un genere, come un contenente a un contenuto, come un conseguente
al suo principio di intelligibilità, come un principio di esistenza al suo
conseguente, come un principio di esistenza e un conseguente di intelligibilità
a tutti i generi del suo genere, si pone la struttura tipico- ontico del
giudizio platonico A è B, in cui, sia in forza di un identico criterio di
valutazione del soggetto sia in forza dell’identità dei rapporti cognitivo per
intuizione, esistenziale, intelligibili, il soggetto A e il predicato B sono
indici rispettivamente di un primo e di un secondo intelligibile che stanno tra
loro come un genere a una specie, come un contenente a un contenuto, come un
principio di esistenza al suo conseguente in sé, come un conseguente di
intelligibilità al suo principio, come un conseguente di intelligibilità e di
esistenza a principi che sono generi suoi e della sua specie; per questo A
nell’”A è B “ aristotelico sarà costantemente soggetto di tutti i predicati di
cui B ha diritto di erigersi a soggetto, e B nello stesso “A è B” aristotelico
sarà soggetto di tutti i suoi generi, mentre A nell’”A è B” platonico sarà
predicato di tutti i soggetti di cui B dev’essere predicato, e B resterà costantemente
predicato di A e di tutti i soggetti di cui A è predicato; per questo il
giudizio “mammifero è uomo “, dal punto di vista aristotelico, come giudizio
universale e affermativo, è assurdo ed impossibile, e la sua espressione “il
mammifero è uomo “ è un flatus vocis, mentre è apodittico e intelligibile come giudizio particolare e affermativo, e
la sua espressione “un mammifero è uomo “=“uno dei mammiferi è uomo “ = “
qualche mammifero è uomo “ è significativa; per questo ancora, lo stesso
giudizio “ mammifero è uomo “, dal punto di vista platonico, in quanto
universale è affermativo, è legittimo e apodittico, e la sua espressione “il
mammifero è uomo” è significativa nella sua accezione non distributiva, nel
senso cioè di “ l’ente mammifero è uomo “, non nel senso di “ tutti gli enti
che sono mammiferi sono uomini “, perché quest’ultimo giudizio è assurdo
potendosi dare l’unità del mammifero in sé e la pluralità di mammiferi solo in
unità con una delle note specifiche del mammifero, e, con ciò, rende assurda la
portata particolare e affermativa del giudizio e inespressiva la sua
espressione “ alcuni mammiferi sono
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