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intelligibile prosegue fino al vertice sommo dell’ontico
intelligibile di assoluta genericità, il concetto di essere, immediatamente
preceduto dalle categorie; se l’oggetto primo dell’analisi è la
rappresentazione intelligibile simmetrica del dato immediato dell’unità
collettiva di tutte le percezioni o di un gruppo di percezioni cogeneri, il
pensiero ritrova o pretende di avere il diritto di ritrovare nella sua
connotazione la nota dell’intelligibile supremo, dell’essere, in unità
indivisibile con tutte le denotanti specifiche destinate a esplicitarsi via via
che il genere supremo si squaderna negli intelligibili specie; non
necessariamente tale unità dev’essere pensata come un’omogeneità semplice
gonfia di tutte le energie qualitative
e qualificative del razionale, perché a questa visuale platonica può
sostituirsi l’altra qualitativa di un uno articolato indivisibilmente in tutte le sue attitudini attributive; e
così, non necessariamente lo squadernarsi dell’ontico supremo nelle specie
sussunte è segno di una degenerazione o involuzione discendente in funzione
della progressiva perdita delle ricchezze intelligibili, perché a questo modo
d’intendere le cose è lecito sostituire l’altro, in forza del quale la scelta
di una denotante privilegiata e la sua messa in rilievo entro una specie
sussunta risultano atti di un certo rafforzamento energetico della qualità o
svantaggio delle altre cogeneri, che non necessariamente vanno pensate
estromesse, ma soltanto lasciate nel loro grado intensivo primario e con ciò
offuscate ed oscurate dalla cogenere ravvivata, e a vantaggio dell’espressione
o manifestazione ontica che l’intelligibile intende fare di sé; se l’una
analisi sia peculiare e condizionatrice di una certa interpretazione
scientifica degli esistenti in generale e l’altra di una differente loro
interpretazione scientifica, se l’una analisi, cioè, sia propria del metodo
delle scienze naturali e l’altra del metodo delle scienze metafisiche, è
questione da definire e che ora non intendiamo discutere; resta certo che
nessuna delle due analisi è sufficiente a se stessa e può fare a meno
dell’altra: l’analisi delle specie infime porta il pensiero alla strana
situazione di rappresentarsi al vertice alato del genere supremo dell’ontico
intelligibile pure tanti intelligibili quanti sono i generi supremi di ogni
denotante le varie specie e le differenze specifiche che via via debbono
aggiungersi ai generici supremi per farne le denotanti effettuali delle specie
sussunte ai vari livelli sottostanti, alla stessa situazione quindi di
rappresentarsi una rassegna di intelligibili giustapposti per la cui unità
nessuna ragione è data che non sia quella a posteriore della loro coimmanenza
nelle specie sottoordinate, sicché, se il pensiero non vuol cadere nell’assurdo
di inferire un
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intelligibile dal sensibile si tratterebbe, infatti, di
dedurre l’unità degli intelligibili di traguardo dalla loro simultaneità entro
le percezioni di intuizione sensoriale - deve in un modo o in un altro
ripristinare a livello dei generi sommi l’unità data al livello delle
percezioni e, quindi, ricostruire entro la nozione dell’essere una simultanea
compresenza di tutti gli intelligibili, che potrà anche essere quella
aristotelica basata sul rapporto tra l’attuale dell’essere e il potenziale di
tutte le sue denotanti specifiche, ma
che comunque ripeterà nell’intelligibile supremo l’immagine dell’unità
collettiva di tutte le percezioni; l’analisi della rappresentazione
intelligibile suprema simmetrica dell’unità di tutte le percezioni è
impossibile sia che l’intellegibile dell’ontico generale sia pensato come un
semplice omogeneo sia che lo si pensi come un individuo coestensivo di tutte le
sue qualificazioni attributive, perché nel primo caso manca l’eterogeneità
condizione prima di un’analisi e nel secondo la distinguibilità o discrezione
degli eterogenei condizione seconda di un’analisi, donde deriva che l’analisi
dell’ontico generale è preceduta dall’analisi di tutte le specie dell’ontico,
riproducente in conformità con esigenze di un pensiero di condizione umana
quanto si contiene entro il genere supremo. La conseguenza immediata di questa
insufficienza di ogni analisi è che in entrambe le dialettiche il giudizio “A è
B” è il segno di una limitazione e deficienza del rapporto di intelligibilità
che si riduca alla semplice relazione tra l’intelligibile contenente e
l’intelligibile contenuto: lo schema “ A è B” di tipo aristotelico, nell’atto
stesso in cui indica l’immanenza del generico B nello speciale A, guida il
pensiero a una porzione sola della connotazione di A, dalla quale restano
escluse sia tutte le denotanti che la compongono sia tutte le porzioni che le
si giustappongono, e gli impone da un lato di sostituire a B tutti i suoi
generi, dall’altro di allineare a questi tutti i generi della differenza
specifica che articolandosi su B costituisce A; per questo il tipo aristotelico
del giudizio tende a predicare al termine soggetto, indice di una specie, tutti
i termini che sono indici dei generi leciti di tutte le sue denotanti, e a
sostituire allo schema “ A è B “ lo schema A è B1 B2 B3....Bn
(= B articolato in tutti i suoi generi e in tutte le sue differenze specifiche)
e C1 C2...Cn (=C, differenza specifica di A,
articolato in tutti i suoi generi e in tutte le sue differenze specifiche; lo
schema “ A è B di tipo tipico-ontico di un platonismo o di tipo qualitativo,
nell’atto stesso in cui rimanda il pensiero al rapporto di intelligibilità tra
una specie, principio di intelligibilità, e il
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suo genere, conseguente di intelligibilità, esclude
dalla rappresentazione in atto sia tutte le specie cogeneri di B e con ciò
priva il genere-soggetto dell’intelligibilità di cui queste sono principio
apodittico, sia tutte le specie che
hanno a loro genere B e le specie cogeneri di B e che sono principio di
intelligibilità immediatamente di B e dei cogeneri di B e mediatamente di A, donde
consegue che tale schema è animato dalla tendenza a muovere il pensiero a
definire i cogeneri di B e le specie di B e dei suoi cogeneri, e a sostituirgli
lo schema “ A è B C...N “ (essendo C...N indici dei cogeneri di B) e B1...Bn
(=specie di B), C1...Cn (= specie di C)... N1....Nn
(= specie di N). Quel che qui
interessa è che nelle teorie platonica e qualitativa, il rapporto di
intelligibilità consegue una prima soddisfacente pienezza quando assume a
principio almeno la serie intera delle specie del genere di cui si cerca
l’intelligenza, e trova l’espressione della sua iniziale integrità in un
giudizio di schema “ A è B...N (=specie di A)”: ma questo giudizio in quanto
pone a predicati del soggetto gli indici delle specie di un genere relazionate
col loro genere stesso secondo un
rapporto da principi di intelligibilità al loro conseguente, costituisce il
modulo di quel giudizio della cui legittimità si andava in cerca: data
l’apodittica relazione di complementarità qualitativa fra il generico e lo specifico,
data l’identica legittimità della sussunzione del generico e dello specifico
sotto le stesse categorie, date le priorità dell’analisi della specie
sull’analisi del genere ai fini di una cognizione articolata e la priorità inversa
al fine di una definizione della genesi dell’un intelligibile
dall’altro, il giudizio categorico avente a soggetto il genere e a predicati
tutte le specie sussunte è legittimo; per la relazione che esso instaura fra i
due estremi di intelligibilità si ha il diritto di parlare di
un’identificazione parziale e non di un’equazione, in quanto alla meccanica
spontaneità con cui è posto il rapporto la riflessione aggiunge l’analisi del
sistema concettuale per cui, se il genere viene identificato con le sue specie,
queste risultano parti giacenti nella sua comprensione.
Con le nozioni fin qui raccolte siamo in grado di
stabilire una definizione del giudizio categorico: la definizione kantiana
stabilisce per esso che è un giudizio di relazione, ossia l’affermazione (o
negazione) di una dialettica da intelligibile a intelligibile per la quale i
due intelligibili sono assunti come immagini di due ontici in sé - dico due
ontici in sé e non due cose in sé, a sottolineare che l’in sé non
necessariamente ha un contenuto di metafisica trascendenza dell’intuito
fenomenico, in quanto per un pensiero
che aspiri all’intelligibilità del fenomenico, i dati sensoriali stanno
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alle loro rappresentazioni intelligibili come un ontico
in sé sta all’ontico per il pensiero che gli è simmetrico -l’esistenza dell’uno
dei quali è condizione del modo di esistenza dell’altro, e che è l’espressione
di una relazione da sostanza a inerente, nel senso a) che l’intelligibile, che
nel giudizio è soggetto, è pensato come l’immagine di un ontico unitario,
autosufficiente, composito, avente come componente del suo organismo l’ontico
che è pensato attraverso il predicato, e b) che per necessaria conseguenza
l’intelligibile, che nel giudizio è predicato, è pensato come l’immagine di un
ontico in sé che inerisce al primo, ossia che è parte costitutiva
dell’organismo unitario del primo: per Kant, dunque, il giudizio categorico è
la rappresentazione dell’immanenza di un ontico in sé entro la complicazione
qualitativa di un altro e, di conseguenza, è lo strumento con cui fondiamo i
rapporti di esistenza tra gli ontici in sé in generale, in modo che attraverso
di esso si ha il diritto di pensare un ontico in sé come onticamente esistente
solo alla condizione che sia rappresentato come parte costitutiva di un ontico
in sé onticamente esistente per sé; come rivela il fatto che l’introduzione
nella definizione del termine “sostanza” sposta l’analisi della comprensione di
un giudizio categorico in generale dalla sfera dei dati immediatamente intuiti
nel pensiero come funzione alla sfera di quei dati che sono le funzioni del pensiero e tutto ciò che il pensiero o
una sua interpretazione pretendono che valgano, la nozione kantiana non
distingue fra le operazioni del pensiero in quanto strutture formali
organizzate e strutturate secondo leggi costanti e le medesime operazioni in
quanto strutture formali il cui contenuto materiale è utilizzato in vista di
certi usi cognitivi e pragmatici, la cui determinazione non è univoca né nelle
pretese che il pensiero accampa nei propri confronti né nei dati che il pensiero pretende ritrovarvi analizzando le
proprie pretese; intendo dire che quando si fa della logica, ossia quando si
cercano rappresentazioni di ciò che di staticamente costante ed uniforme si dà
nelle dialettiche del pensiero di condizione umana, è opportuno distinguere
radicalmente da un lato la forma pura dei processi dialettici assieme a tutti i
principi, condizioni, modalità che la costituiscono, dall’altro tutto ciò che
il pensiero pretenda ritrovarvi sia dal punto di vista utilitaristico sia dal
punto di vista interpretativo dell’ontico
in generale di cui le forme
dialettiche sono sempre una parte; quando Kant parla di sostanza-inerenza come
del rapporto che è essenza del giudizio categorico, prende in considerazione
non solo
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