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descrizione contraddittoria del giudizio categorico come
una rappresentazione che è apodittica per principio e assertoria per
dimostrazione; ma la contraddizione è al principio stesso di un errore di
surrezione che è fondamento di tutta la dimostrazione: questa muove sia dal
presupposto che problematicità assertorietà apoditticità siano degli eterogenei che non hanno il diritto di coesistere nell’unità
sostanziale di un unico intelligibile sia dalle nozioni, ottenute per altra
via, delle connotazioni formali del giudizio categorico dell’ipotetico del disgiuntivo, delle
rispettive differenze, dell’immanenza sostanziale della problematicità nell’unità
del disgiuntivo e dell’apoditticità nell’unità dell’ipotetico, e ne deduce
l’assertorietà essenziale del categorico; ma per far ciò deve ricorrere al fine
dell’impossibilità di un’inerenza sostanziale di un attributo fuori della
sostanza e in altra sostanza, all’attribuzione della apoditticità al giudizio
categorico in genere, della quale si
vale appunto per affermare l’immanenza sostanziale del problematico e dell’apodittico rispettivamente nel
disgiuntivo e nell’ipotetico, con la conseguenza che, dopo esser mossa
dall’affermazione di principio dell’impossibilità di predicare
assiomaticamente o postulativamente uno
dei modi delle modalità al giudizio categorico e dopo aver prefissato, sia pure
argomentativamente e indirettamente, l’assertorietà come denotazione
essenziale del categorico,
surrettiziamente introduce a lato di siffatte due nozioni originarie il
concetto contraddittorio dell’apoditticità del categorico e ne deduce il
diritto di predicare i tre tipi dei
giudizi di relazione rispettivamente con uno solo dei tipi dei giudizi della
modalità; ora, non c’è bisogno di questo lungo discorso per dimostrare che la
definizione del giudizio categorico con la denotante dell’assertorietà in
quanto esclusiva delle sue cogeneri è contraddittoria, giacché basta muovere
dalla definizione dello stesso giudizio in quanto giudizio, ossia atto di un
pensiero che dialettizza universali e necessari secondo rapporti universali e
necessari, per concludere nell’apoditticità di tutti gli atti che son tali e quindi anche del giudizio categorico, e
nella contraddittorietà di una sua predicazione con un’assertorietà esclusiva
delle sue specie cogeneri; assurdità del concetto di giudizio categorico per la
contraddizione tra la necessaria sua apoditticità e la necessaria sua
assertorietà, e vizio di surrezione dell’
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argomento della sua assertorietà sono conseguenza
dell’errore più profondo e più celato, della sostituzione, nella definizione di
giudizio categorico, all’essenza ontica e legittima della sua struttura formale
della pretesa essenza del suo nesso di
ragione esistenziale: quando si pretende
che il rapporto da sostanza a inerente con la conseguente funzione di
autosussistenza sostanziale del soggetto e di inerenza immanente del predicato
costituisca l’unica natura prima ed originaria del giudizio categorico si
debbono dedurre alcuni strani
corollari, anzitutto che nella definizione
del sostanziale ontico in sé unico ed esclusivo strumento di invenzione sia la funzione di
soggetto che in un giudizio categorico assume come esclusiva la
rappresentazione equivalente all’ontico
cercato, che cioè l’unica via che il pensiero di condizione umana ha per stabilire che cosa sia sostanza
nell’ontico in sé sia costituita dalla
funzione di soggetto che la rappresentazione della sostanza in sé assume entro
un giudizio categorico, poi che tutte
le determinazioni formali e materiali che il pensiero ha diritto di pensare
della sostanza siano offerte solo dalle relazioni, condizioni, modi, ecc.
caratterizzanti il concetto della sostanza in sé in quanto soggetto di un
giudizio categorico relazionato solo con quei predicati che insistono in esso
concetto in quanto connotato da certe denotanti, poi ancora che nessun altro
nesso ((??mezzo??)) sia dato di stabilire tra nozioni formali e materiali
concernenti la sostanza in sé all’infuori di quelle che sono offerte dal
rapporto, rappresentato, tra l’immagine della sostanza in sé e l’immagine di
ciò che la denota, infine che la simmetria o equivalenza, che in generale deve
essere postulata dal pensiero tra le proprie rappresentazioni e l’ontico in sé
onde il pensiero conceda a se stesso il
diritto di trasferire al secondo quanto di essenziale c’è o si pretende ci sia
nelle prime, tra la rappresentazione di una nozione che si ponga di diritto
come immagine di una sostanza in sé e la sostanza in sé, abbia a suo centro o
luogo naturale del pensiero un giudizio
categorico, sicché tutto ciò che il pensiero riscontra in questo giudizio dev’essere
assunto come valido per l’ontico in sé, tutto ciò che nel giudizio non è
effettuabile per impossibilità formale o per offesa della materia che vi si
vuol strutturare alle leggi della forma del giudizio dev’essere negato
dell’ontico in sé, tutto ciò che il pensiero riesce a cogliere e descrivere
come denotante la sostanza pel medio di elaborazioni che non siano immediatamente condotte sulla
falsariga delle esigenze del giudizio categorico deve essere accolto come
valido per la conoscenza
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della sostanza in sé solo in quanto siano ritraducibili
negli schemi del giudizio categorico e non contraddicano alle sue leggi;
dunque, nell’atto in cui un Kant o un Aristotele definiscono a loro modo il giudizio categorico, non è
che relativamente alla descrizione e definizione del sostanziale in sé neghino
l’equivalenza del razionale con il reale e del reale con il reale, ma
subordinano o condizionano tali descrizione e definizione al giudizio
categorico e alla sua struttura e, con ciò, pongono l’equivalenza del razionale
sostanziale con l’ontico sostanziale e viceversa dopo aver premesso una
primaria equivalenza del razionale sostanziale con il giudizio categorico,
sicché finiscono per fare di questo la grande pietra di paragone verso cui
confluiscono sia tutti i dati astratti che il pensiero elabora come fonti di
conoscenza del sostanziale in sé sia tutti i dati intuitivi che il pensiero
ritiene di aver il diritto di accettare
come rivelazioni immediate della sostanza in sé, per esserne o convalidati o
invalidati; la prima conseguenza di questo è che una rappresentazione, che per
varie ragioni sia stata ritenuta degna di porsi a soggetto di un giudizio
categorico, deve riprodurre in sé l’unità del sostanziale ontico in sé,
un’unità quindi per la quale le componenti siano individualmente connesse al
tutto e viceversa sì che non solo non
sia immaginabile né l’elisione del tutto
con la simultanea sussistenza delle parti né l’elisione delle parti con
la simultanea sussistenza del tutto, né l’elisione di una parte con la
simultanea sussistenza delle altre e del tutto, ma sia anche pensabile di
diritto e di fatto il nesso relazionale e apodittico che vincola le parti fra
loro e al tutto e il tutto alle parti nel loro complesso e a ciascuna, il che è
lecito alla solita condizione che il rapporto fra parte e parte, fra parti e
tutto, fra tutto e parti, fra tutto e parte, stia in una rappresentazione non
meramente formale, ma anche materiale: infatti, la sostanza, se dev’essere
soggetto di un giudizio categorico, di un rapporto intelligibile e quindi
universale e necessario tra sé e una sua componente che gli inerisce
distinguendosi da tutte le altre, deve distinguersi da ogni suo inerente non
solo come un tutto collettivo dalle parti in collettività, ma come un uno, la
cui unità ed unicità è un dato qualitativo e formale eterogeneo dagli altri che
vi immangono, deve comprendere tutti i qualitativi ed eterogenei che lo
compongono in unità che è simultaneità di ciascuno di essi con l’unità che li
trascende secondo un rapporto unificatore noto sia nella sua necessità formale
che nella sua qualificazione materiale,
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deve riscontrare tradotta nei rapporti tra inerente
eterogeneo ed inerente eterogeneo la stessa unità essenziale costituita da un
nesso apodittico definibile formalmente e materialmente, giacché il vincolo tra
predicato e soggetto di un giudizio apodittico è un rapporto tra un uno e un
altro uno, tra un tutto e una sua parte che gli inerisce necessariamente in
forza della necessità che la vincola simultaneamente e definitamente al suo uno
tutto e alle altre parti eterogenei ((??eterogenee??)) predicabili al medesimo
soggetto; ma, di tutte le rappresentazioni che sono presenti a un pensiero di
condizione umana nessuna è tale da manifestare nella propria connotazione sia
una denotante di unità, che consista non nella semplice giustapposizione per
coesistenza delle varie note eterogenee, ma nella rappresentazione materiale di
una nota che astratta possa esser pensata come l’intelligibile della qualità
“uno” della sostanza, sia tanti nessi, qualitativamente e non soltanto
formalmente definiti, che diano a conoscere non solo il vincolo necessario di
fatto e aposteriori, ma anche la modalità di diritto e apriori di tale
apodittica connessione fra ciascuna denotante e l’uno della sostanza e fra
ciascuna denotante e le altre che le si giustappongono; donde deriva che quando
si tratta di andare a giustificare tale connessione necessaria il pensiero ha
a disposizione dei fatti che sono
ripetizioni costanti non dei legittimi
connotati da note necessarie in sé; e allora delle due l’una: o il
pensiero pretende di conservare la forma apodittica che il giudizio categorico
dovrebbe avere, e in questo caso non riesce a trovare nessuna rappresentazione
che soddisfi alle esigenze apriori che il soggetto deve riscontrare in quanto
immagine simmetrica di una sostanza in sé, o il pensiero riconosce a se stesso
di diritto quelle dialettiche alle quali procede di fatto negli infiniti
giudizi categorici che vien costruendo di momento in momento, e in questo caso
priva il giudizio categorico di qualsiasi valore apodittico in sé e lo
classifica sotto il modo dell’assertorietà, col che non intende affatto negare la liceità dell’apodissi al
giudizio categorico, ma si limita a definire di diritto quel che si verifica di
fatto, precisamente l’impossibità per gli intelligibili soggetto e predicato di
porsi a priori, pel semplice fatto di strutturarsi in un giudizio categorico,
come dei necessari in sé e nei loro rapporti e la necessità
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