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che loro deriva di dedurre la necessità propria e dei
propri rapporti da altro e da fuori di sé; il che è quanto dice appunto Kant
quando fa delle categorie dei trascendentali cognitivamente, ontologicamente,
funzionalmente eterogenei dalle rappresentazioni sotto cui si sussumono
necessariamente quando il pensiero tratta il giudizio categorico assertorio
come un apodittico, e con ciò distingue le unità rappresentative ontiche dalle
unità rappresentative o pretese o apparenti; non si deve pensare che
l’assertorietà sia attribuita al giudizio categorico pel semplice fatto che non
è dato al pensiero di condizione umana nessun intelligibile che abbia la mera
funzione di soggetto di giudizio categorico e insieme goda del privilegio di
essere fonte di intelligibilità per tutti i suoi predicabili, perché, come
vedremo di qui a poco è questo uno degli pseudoproblemi che insorge
dall’identificazione del razionale con il giudizio categorico e del giudizio
categorico con le condizioni di esistenza della sostanza in sé: basterebbe,
infatti, per ripristinare l’apoditticità del giudizio categorico
indipendentemente dalla ipotetica esigenza kantiana della rappresentazione di
un intelligibile che si ponga a soggetto assoluto di un categorico per non
dipendere per la propria intelligibilità altro che da se stesso, tener presente
quanto già aveva notato Aristotele che l’intelligibile che è soggetto assoluto
e non dipende da altro per l’intelligibilità è dato da quella nozione la cui definizione, coincidente con la
giustapposizione delle denotazioni assolutamente essenziali, non racchiude in
sé nessuna rappresentazione né implicita né esplicita immanente in un altro
intelligibile, e che come tale costituisce, assieme alla sua stessa
definizione, un principio di scienza; ma, di questo, più sotto; e neppure,
d’altro canto, per giustificare la apodittica forma assertoria di un giudizio
categorico, occorre tener presente che il pensiero di condizione umana a un
medesimo intelligibile predica con assoluta indifferenza entro un univoco
schema di giudizio categorico, sia le denotanti manifestamente contingenti e
accidentali, insussumibili sotto una qualsivoglia categoria necessitante, sia
le denotanti per intuizione e per raziocinio apodittiche e attributive, perché
siffatta differenziazione di diritto non è inferibile né dalla teoria kantiana,
per la quale tutti i predicati di un intelligibile assunto a soggetto-sostanza
sono contingenti in sé e apodittici relativamente all’azione unificatrice della
categoria di sostanza, né dalla teoria aristotelica,
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per la quale la nozione di accidentale non può essere
certo sinonimo di contingente, ma tutt’al più di relativamente irrelata
rispetto ad altre denotazioni dello stesso soggetto, in forza dell’attributo di
sinolo che a questo spetta e per il quale non si riesce a scorgere nella sua
rappresentazione nessuna nota che gli inerisca oggettivamente e che non sia
l’attuazione apodittica nella sua materia di un attributo apoditticamente in
atto nella sua forma; dunque, la pretesa assertorietà del giudizio categorico o
significa soltanto la condizione umana
di un pensiero che a priori è determinato a procedere a tanti giudizi
categorici quante sono le denotanti di una rappresentazione assunta a sostanza
senza riuscire a dimostrare la legittimità della predicazione se non con
raziocinii aposteriori, e con ciò stabilisce lo stato di precarietà in cui
versa il giudizio categorico che voglia sottrarsi a qualsiasi controllo e
verifica e senza questi pretenda porsi ad apodittico, non già la statica sua
natura escludente qualsiasi apoditticità - ma questa interpretazione non
s’adatta certo né a Kant né ad
Aristotele, affermanti entrambi l’ontità di una categoria di sostanza la quale
suscita nella connotazione di un intelligibile vincoli necessari fra le
denotanti e l’unità della connotazione e fra denotante e denotante -, oppure
vuol sottolineare soltanto la costante inadeguatezza del giudizio categorico
effettuale al giudizio categorico ideale, quale è pensato sotto la definizione
che ne eguaglia l’essenza al rapporto sostanza-inerente o al primato del
rapporto tra soggetto e predicato da principio di esistenza a conseguente,
inadeguatezza che, non essendo mai riscontrata nei dati su cui al giudizio
categorico è lecito di fatto costruirsi l’apoditticità che l’ideale esige,
priva in generale il giudizio categorico di apoditticità; è questa la posizione
della logica kantiana e, indirettamente
dell’aristotelica: ora, è il caso di sottolineare l’incongruenza fra l’intera
gnoseologia di Kant e di Aristotele e la attribuzione di un’assertorietà
esclusiva del giudizio categorico, al fine non di isolare gli assurdi di un
sistema, cosa che siamo d’accordo con Croce a bollare come inutile se fatta
scopo a se stessa, ma di isolare l’errore, eterno errore, della loro
definizione del giudizio categorico, definizione costruita non secondo la
deduzione logica da premesse logiche e gnoseologiche, da cui non può venire se
non l’apoditticità del giudizio categorico, bensì nell’intento di fare del giudizio
categorico qualcosa di più di quello che legittimamente
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è, precisamente lo strumento
unico e privilegiato del pensiero in
vista dell’indagine e della conoscenza dell’ontico sostanziale in sé; b)
Aristotele e, in fondo, anche Kant dichiarano essere soggetto per eccellenza di
un giudizio categorico la rappresentazione intelligibile di una specie infima,
simmetrica di una percezione, il che risulta in Aristotele da tutta la sua
logica e anche dalla sua metafisica, in Kant dalla negazione di un’attività
della categoria di sostanza estesa ad unificare le sensazioni in unità che
vadano al di là delle cose; ora, qui non interessano le difficoltà che poi in
entrambe le dottrine nascono quando ci si trova di fronte ad altre
rappresentazioni cui è lecito assumere la funzione di soggetto in un
giudizio categorico senz’essere specie
infime o denotanti immanenti in specie infime - intendo le rappresentazioni le
nozioni unitarie di universo in generale, di cielo, di mondo sublunare, di
stato ecc. -, perché tutt’al più sarà compito delle due teorie giustificare
l’uso logico e coerente del giudizio categorico con tutte le sue conseguenze
valide per una conoscenza in genere e per una conoscenza scientifica in
particolare quando i risultati cognitivi dei rapporti che lo costituiscono non
siano e non possano essere onticamente legittimati né da un’attualità che sia
l’effetto della determinazione teleologica di una forma né dall’unificazione
della categoria di sostanza; quel che qui interessa è la circoscrizione
limitativa che viene imposta all’uso del giudizio categorico con le
limitazioni, che ne conseguono, imposte alle forme e modalità cui la dialettica
tra gli intelligibili dovrà d’ora in poi adattarsi per esser valida: siamo da
tanti secoli condizionati dalla dialettica
aristotelica che ci paiono fissati da natura il fatto che il pensiero
possa predicare ad un soggetto un predicato solo se questo è una denotante
generica di quello, il fatto che il
passaggio dalla specie al genere comporti una decurtazione della specie la
quale però non impedisce affatto che il genere si ponga a classe della specie e
a classe di tutte le classi di questa, il fatto che si diano tanti generi di un
specie quante sono le sue denotanti le quali, in assenza di una loro cogenerità
comune, non si pongono tutte come classi di un’unica classe, sicché quando si
tratta di ordinare in un unico sistema gli intelligibili sussumenti un gruppo
notevolmente vasto di specie eterogenee, non c’è figura geometrica che riesca
si offra a intelaiatura sufficiente e adatta a lasciarsi costellare da tutti
gli intelligibili, ecc. ecc.; sarebbe il caso di operare un controllo sulla
naturale meccanicità e spontaneità della logica aristotelica, il che in parte
sopra abbiam fatto; ma un’osservazione semplice basta per ora a metterla in
dubbio: il pensiero di condizione umana non sembra
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concordare con la teoria aristotelica nell’uso del
giudizio categorico e nell’applicazione delle leggi e condizioni che lo
regolano, dal momento che non solo, come abbiam visto poco fa, adotta come
soggetti di giudizi categorici rappresentazioni che non sono specie infime, pur
essendo unità composite di denotanti intelligibili - ad esempio, il concetto di
scienza in genere e di ogni scienza in particolare, il concetto di ontici che sussistono non entro e per una
percezione, ma entro e per un collettivo di percezioni, ecc.-, ma assume
necessariamente e legittimamente nella
funzione di soggetto di un tale giudizio la nozione di un genere,
ogniqualvolta, ad esempio, si tratti di definire le condizioni sotto le quali
il genere si arricchisce di una sua differenza specifica oppure quando si
voglia definire un intelligibile attraverso i modi contrari secondo i quali
soltanto è intuito: e in questi due casi la logica aristotelica è impotente non
solo a giustificare le particolari dialettiche, ma anche a dare
un’intelligibile descrizione o denotazione dei rapporti che li costituiscono -
se son dati il genere A con le sue specie X Y....Z, articolanti le differenze
specifiche X1 Y1...Z1 su A, e con le
condizioni x1 y1....z1
per le quali X1 Y1...Z1 rispettivamente si
articolano su A, il pensiero esprime il rapporto tra A, X, x1 col
giudizio ipotetico “ se è x 1, A è X “, il cui predicato è un
giudizio categorico o, se non si vuole offendere la definizione dell’ipotetico
in quanto giudizio, la rappresentazione di un rapporto tra A e X, per il quale
A è principio di esistenza e conseguente ((??conseguentemente??)) di
intelligibilità di X e il quale quindi ripete in sé i modi del rapporto tra
intelligibili costitutivo di un giudizio categorico ma con capovolgimento dello
schema che Aristotele fissa per un giudizio categorico in genere; così se son
dati il genere A con le sue definizioni speciali e reciprocamente contrarie X e Y, il pensiero esprime il rapporto
nel giudizio categorico A è X e Y, in cui A è la rappresentazione del genere di
X e di Y, non di un membro della classe A in quanto mediata((??modiata??))
dalle classi X e Y, perché in questo caso il giudizio sarebbe un assurdo -; non si riesce a rendersi
conto della forzosa circoscrizione del
giudizio categorico entro limiti dentro i quali soltanto giacerebbero i modi di
esso legittimi e scientifici e fuor dei quali starebbero tutti quei modi che,
anche se necessariamente adottati dalle scienze, non sono validi perché
offensivi dello schema monovalente, se non alla condizione di cogliere la
dipendenza funzionale dell’identificazione del soggetto di un categorico con un
specie infima dalla definizione prefissata pel categorico
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