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disattenzione
o superficialità contingenti, non di effettiva indipendenza reciproca dei due
momenti; perciò, ogni teoria metafisica si è sempre presa cura di stabilire e
determinare i nessi di determinazione che intercorrono tra la proposizione
prima in ordine gnoseologico e la proposizione prima in ordine metafisico:
l’illuminazione di Agostino, l’intelletto attivo dell’aristotelismo, la
reminiscenza platonica, lo spinoziano pensiero come attributo della sostanza,
la kantiana appercezione originaria, la reciprocità di reale e razionale
proclamata da Hegel, l’intuizione bergsoniana, l’universale matematicismo
metafisico di Galileo, sono i prodotti di siffatta cura.
E’ certo
allora che ciò che è primo nell’ordine
gnoseologico è il principio della deduzione di ciò che è primo
nell’ordine metafisico, e ciò che è primo nell’ordine metafisico è il principio
della deduzione di ciò che è primo nell’ordine gnoseologico: l’aporia prende
corpo in un circolo vizioso che nessuna teoria metafisica determinata supera se
non rifacendosi alla metafisica pura o indagine metafisica indeterminata delle cose,
che altro poi non è se non l’analisi critica della situazione umana; ma anche
qui è dubbio che il circolo possa essere effettivamente scalzato ed eliminato
attraverso una sua riduzione a passaggio da principio reale a conseguenza
reale. Poiché io qui non ho preteso di svolgere una metafisica pura, ma solo un
momento di essa, trascuro l’aporia, o piuttosto una sua soluzione che prenda
posto in una rassegna di metafisica
pura formalmente ordinata: può darsi che alcune delle conseguenze ultime cui
arrivo contengano implicito il suo superamento; con ciò il problema primo
aporetico di diritto viene ridotto a problema solubile di fatto, il che è
valido se ci si attiene per il momento a una portata descrittiva e non
conoscitiva della sua indagine.
Una volta
stabiliti i canoni di validità del processo gnoseologico che ha condotto
all’enunciato primo metafisico, il primo problema non è ancora totalmente
risolto perché siffatti canoni fondano
il diritto della predicazione generica
nel primo giudizio metafisico, non il
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diritto
delle modalità della predicazione reale di tale giudizio, stabiliscono cioè il
valore in sé della predicazione, non la veridicità del contenuto della
predicazione: sia nel caso della conoscenza del principio metafisico reale tramite
testimonianza sia nel caso della conoscenza dello stesso ente per via di
analisi dell’intuito, il giudizio primo metafisico gode di certezza e di
assenso per la rapportazione generica predicato-soggetto, non per la
rapportazione reale; più semplicemente la validità della proposizione è fondata
formalmente, non materialmente, perché nulla dei modi della fondazione
dice della portata gnoseologica che
essa ha offerto, nulla dice se la conoscenza dalla fondazione convalidata rende equivalente il conosciuto e il
conoscibile. Nel primo problema ci sono due aspetti: quando ci chiediamo del
diritto che abbiamo avuto di enunciare
il giudizio primo, ci troviam di fronte il giudizio da un lato e le sue ragioni
dall’altro, ma queste ci garantiscono la validità della predicazione, ossia la
sua congruenza che è aspetto formale e la sua corrispondenza al reale che è
aspetto gnoseologico o materiale; ma le ragioni ci parlano della completezza
del primo aspetto, della sua totale soddisfazione, non della completezza e
soddisfacimento pieni del secondo. La veridicità di un testimone, sia che
testimoni di sé sia che testimoni di altri, e la puntuale applicazione di un
metodo analitico legittimo garantiscono che il predicato è formalmente e
gnoseologicamente congruente col soggetto, non che il predicato esaurisce il
soggetto, e con ciò nulla dicono dell’esaustione della conoscenza del principio
metafisico.
E’ corollario del primo problema che un
‘ulteriore indagine debba esser svolta e che debba essere condotta su una rapportazione
del processo di conoscenza che ho condotto al primo giudizio metafisico col
primo giudizio metafisico stesso.
Se da un
lato il primo conosciuto metafisico è predicazione o quindi
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cognizione
del principio e se la predicazione-cognizione è il punto di arrivo del processo
di cognizione, dall’altro il processo cognitivo stesso ha un suo principio che
è fonte di conoscenza e che stabilisce e condiziona sia il corso del processo
sia il modo i limiti la quantità della
conoscenza che del principio metafisico si ha nella prima proposizione
metafisica. Ai tre principi che finora si son presi in considerazione, la prima
enunciazione metafisica, il primo essere, il primo criterio, se ne deve ora
aggiungere un quarto cui si è accennato, ma che non è stato indagato in sé, il primo cognitivo, ossia il fatto
primo da cui sgorga la prima enunciazione che è conoscenza del primo essere. Il
principio cognitivo, testimonianza o analisi induttiva che sia - non mi soffermo
sull’intuizione come primo in ordine di conoscenza, un’intuizione di tipo
fichtiano o bergsoniano, perché è dubbio che quel che i due pensatori hanno
affermato essere un dato di conoscenza
immediata sia veramente tale nei confronti del primo essere -, è pur sempre una
conoscenza che riguarda la classe delle cose intuite e che è costituita da modi che o sono cose intuite o sono modi
attinti a siffatte cose: il testimone, o principio stesso manifestante sé o
principio stesso intuito da altro che attinge il principio immediatamente con
un moto che nella profezia è per così
dire dal principio all’intuente e nella mistica estatica è dal principio al
principio per il medio dell’intuito,
media il principio con lo strumento di immagini dell’ordine delle cose intuite;
l’analisi di cose intuite porta al principio muovendo dalle cose intuite
stesse. In entrambi i casi le conoscenze
che confluiranno nel predicato del primo giudizio metafisico sono
fenomeniche, il che non vuol dir altro se non che appartengono al sensoriale,
al conoscibile per sensazione. Il rapporto tra il processo di conoscenza e il suo termine è dunque
trasferimento di una nozione di natura sensoriale da un ordine ad un altro, o
per meglio dire da una funzione ad un’altra; il
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che tradotto
nel linguaggio dell’essere suona che momenti di una sfera del reale acquistano
la doppia natura di essere in sé e insieme di essere in altro. E’ qui appunto
che si apre una duplice possibilità alla soluzione del problema dell’equivalenza tra il conosciuto e il conoscibile
in ordine al primo metafisico, una volta però presa posizione nei confronti
dell’aporia che già il pensiero umano
con Kant ha individuato presente in tale relazione. L’aporia, che
sarebbe una sorta di insormontabile condanna gnoseologica a un sofisma di
surrezione, suona nel modo seguente: poiché qualunque conoscenza alberga nella
nostra mente appartiene come oggetto e come rapporto al fenomenico o sensoriale
che dir si voglia, non si ha diritto non solo di predicare qualche concetto di
un soggetto che sia enunciazione
dell’esistenza di un principio e quindi postazione di un reale altro dal
fenomenico stesso, ma neppure, a rigore, di enunciare un soggetto che sia mero
enunciato dell’esistenza di un principio, perché la predicazione è ricca
dell’assurdo che un o immediatamente o mediatamente fenomenico-sensoriale goda di inerenza e insieme non goda di
inerenza in altro dal fenomenico-sensoriale, e perché la pur mera postazione
del principio come soggetto è ricca dell’assurdo di proclamare esistente e
conoscibile un inconoscibile; che, se ciò nonostante, si persiste ad affermare
un giudizio metafisico in generale, si cade nel sofisma di muovere
dall’estromissione dal razionalmente conoscibile di una nozione contraddittoria
e di pervenire a una sua inserzione ed accettazione nel razionalmente
conoscibile previa l’ingiustificata attribuzione di una congruenza superficiale e fittizia a ciò che è intimamente
ed essenzialmente incongruo: la surrezione consisterebbe nell’indebita e ingiustificata
predicazione di intelligibilità a qualcosa che intelligibile non è, ma
sensibile. Ora, quest’aporia e il surrettizio suo superamento sono o effettivi e reali o sono apparenti o
tutt’al più condizionati da un certo modo di vedere le cose già metafisico di
per sé. Si prendano i due termini in cui Kant vuol sistemare l’aporia,
l’intelligibile e il sensibile:
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