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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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  • Prot. 101 -150
    • 143
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la più minuziosa precisione le rappresentazioni che il mio pensiero si è dato quando ha appreso la teoria kantiano-aristotelica del giudizio categorico convalidato da un sillogismo, a sua volta convalidato da un prosillogismo erigente la concatenazione in un polisillogismo che dovrebbe essere al suo estremo sommo aperto all’infinito: la prima decisione da prendersi riguarda il valore rappresentativo dell’enunciato di un giudizio categorico qualsivoglia, ossia il reale momento della dialettica del pensiero fissato e contraddistinto da due termini S e P posti nella relazione da soggetto a predicato e vincolati oppur no dalla copula “ è”; non si tratta, come vorrebbe qualche logico, di trovare la struttura linguistico-verbale uniforme e univoca alla quale tutte le possibili strutture linguistico-verbali in cui una parola è riferita a un’altra come un P ad un S sono ricondotte come al loro equivalente, perché questo modo di impostare la questione continua ad identificare la forma logica di una dialettica di pensiero con la forma verbale della sua espressione e surrettiziamente reintroduce quel rapporto da primario a secondario tra l’espressione della forma logico-dialettica del pensiero e la forma stessa, che necessariamente e di fatto elide quando per decidere della comune natura dei giudizi categorici deve oltrepassare il velo della parola per toccare direttamente la relazione tra le rappresentazioni; che il giudizio, ossia la dialettica tra rappresentazioni alla quale una certa serie di parole rimanda, non sia una sussunzione e quindi non riguardi la denotazione delle due rappresentazioni, è affermazione difficilmente sostenibile, perché, se per sussunzione è da intendersi il rapporto di ragione in cui due rappresentati vengon posti relativamente l’uno all’altro quando l’uno attende dall’altro la giustificazione del proprio esistere e del proprio modo di esistere in quanto rappresentazione il cui esistere e il cui modo di esistere son posti come necessari dall’esistere e dal modo di esistere del primo, è certo che la forma di rapportazione tra due rappresentati che si chiama giudizio attribuisce all’uno dei rappresentati  il compito di fare della propria esistenza e del proprio modo di esistere nel pensiero l’origine e quindi la ragione del necessario esistere e del necessario modo di esistere nel pensiero dell’altro, con le conseguenze che questo si pone in un rapporto di sussunzione rispetto al primo e la sua ontità, corposamente immaginata per metafora, dev’essere proiettata entro lo spazio in un rapporto di sottordinazione o sottoposizione all’immagine corposa dell’ontità dell’altro, e che, se la sussunzione è il modo di relazionarsi di due rappresentati di cui il sussunto

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è pensato entro l’area dell’estensione del sussumente, il secondo è parte dell’estensione del primo ed è un costituente della sua denotazione; l’obiezione di qualche logico che la predicazione della rappresentazione di una qualità sensoriale esterna alla rappresentazione di un percepito esterno non può essere ridotta alla sottoordinazione o sussunzione di questa sotto la rappresentazione di tutte le percezioni aventi siffatta qualità sensoriale esterna, o perché con il predicato vien pensato solo la qualità e non la sua inerenza a una percezione in generale o perché in nessun altra percezione la qualità si ripete nello stesso modo in cui è conosciuta entro la percezione considerata, ignora che la predicazione è posta tra due universali o meglio, se si vuole, tra due pretesi o ipotetici universali e che il rapporto di cui la predicazione è segno stabilisce appunto quella conseguenza necessaria dell’esistere e del modo di esistere della percezione in ciò che si pretende abbia di necessario e universale in certe condizioni dall’esistere e dal modo di esistere della qualità, rappresentata in sé e astrattamente da ogni percezione in genere, in ciò che si pretende abbia di necessario e di universale nelle stesse condizioni, conseguenza che chiamiamo sussunzione ed è partecipazione all’estensione e alla denotazione della rappresentazione predicata; parimenti la pretesa che il rapporto del giudizio categorico sia la rappresentazione dell’immanenza della rappresentazione del predicato nella rappresentazione del soggetto ed escluda qualsiasi altra rappresentazione nel pensiero, qualora intenda alludere all’unità assoluta dei due rappresentati entro un unico atto di pensiero il quale sarebbe la trasposizione a livello intelligibile dell’assoluta unità di tempo e di luogo degli intuiti corrispondenti ai rappresentati, ignora che l’unità assoluta, intesa come equo valore di tutte le componenti dell’unica rappresentazione contemplate nella loro unificazione  entro questa, esclude qualsiasi rilievo dato ad una o a più o a tutte le componenti in quanto distinte dalle altre e dal tutto cui appartengono e che compongono e, con ciò, impedisce al pensiero quella distinzione fra il tutto e le parti  che consente la dialettica dal primo alle seconde e dalle seconde al primo - il pensamento di una collezione di distinti attraverso l’unità che li colleziona, se non s’accompagna a un rilievo dato a uno o a più o a tutti i distinti, è contemplazione di un uno tutto che perde il senso e il valore  della collezione per presentarsi come una unicità semplice su cui il pensiero deve fermarsi staticamente senza riuscire a spostare la sua energia attentiva su di un altro eterogeneo che non gli

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è dato -, mentre, qualora faccia di quella rappresentazione di immanenza il risultato di un rilievo privilegiato attribuito ad una certa rappresentazione immanente nella totalità dell’altra rappresentazione  e, per conseguenza, ammetta quella distinzione fra il tutto e la parte che consente la dialettica dall’uno all’altra e dall’altra all’uno, ignora che le condizioni di legittimità della dialettica, ossia l’universalità e necessità del tutto, della parte, dell’immanenza della parte nel tutto, comportano che la relazione reciproca dei due non si limiti al riconoscimento dell’inerenza sic et simpliciter, ma imponga al pensiero di assumere la rappresentazione parziale, in qualità universale e necessaria, come genesi e ragione della necessità dell’esistere e del modo di esistere, in quanto universali e necessari, della rappresentazione della totalità, e, per ciò, ignora che l’immanenza s’accompagna sempre a una sussunzione e a una partecipazione del tutto all’estensione e denotazione dell’immanente; quest’ultimo concetto del giudizio come forma logica  esclusivamente costituita da una comprensione la ritroviamo nel concetto del giudizio come forma logica di un’identità parziale: la definizione del giudizio come identità parziale tenta di superare lo scoglio in cui la riduzione del giudizio a mera comprensione va ad urtare, ossia l’impossibilità di una dialettica da giudizio a giudizio  una volta circoncluso il rapporto del predicato al soggetto entro una relazione assoluta di immanenza di quello in questo, introducendo a fianco dei due rappresentati in predicazione la rappresentazione del pensato entro cui i due immangono, sicché ogni giudizio categorico sarebbe la rappresentazione dell’identità del rapporto di immanenza del soggetto nel tutto di cui è costitutivo e del rapporto di immanenza del predicato nello stesso tutto, la quale interpretazione del giudizio, a parte che non riesce a rendere conto della struttura di quei giudizi categorici che hanno a soggetto la rappresentazione di una percezione, ignora, al pari di quella della comprensione, l’ufficio di intelligibilità del predicato, sia che pretenda che il predicato sia pensato come immanente nel tutto in cui è immanente il soggetto, nel qual caso la pretesa e malamente espressa identità parziale sarebbe equivalenza di due o comprensioni o estensioni, sia che pretenda che il predicato sia pensato come immanente  nel soggetto a sua volta pensato immanente nel suo tutto, nel qual caso si avrebbe l’equivalenza o

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di una comprensione con un’estensione o di due estensioni differenti; d’altra parte, una spiegazione della forma logica del giudizio categorico che riduca la struttura della relazione esclusivamente al rapporto di sussunzione  tra predicato e soggetto e spieghi il loro rapporto come la rappresentazione del primo in quanto contenente nella propria estensione  il secondo, si lascia sfuggire la rappresentazione dell’estensione in generale, la rappresentazione del diritto in generale per cui un rappresentato si pone con una estensione e una denotazione, e la rappresentazione in particolare del principio o ragione per la quale un soggetto di un giudizio categorico dev’essere pensato nell’estensione o denotazione del suo predicato: anzitutto quando si parla dell’estensione di una rappresentazione intelligibile, viene spontanea l’immagine di un centro di luce o piuttosto di ontico qualitativo universale e necessario da cui scaturisce un cono o triangolo di illuminazione o meglio di qualificazione universale e necessaria entro cui vanno a sistemarsi un numero più o meno grande di altre rappresentazioni che sono pervase, in seguito a ciò, da una luce o qualità identica a quella che tipizza l’intelligibile della cui estensione si parla; ma, poiché il pensiero ha che fa ((??fare??)) con rappresentazioni di totalità unitarie  ontiche intelligibili e non con rappresentazioni di sfere qualificative che tutt’ al più sono rappresentazioni di rapporti, il giacere o contenimento degli intelligibili entro l’estensione di un altro è la rappresentazione della presenza di questo entro ciascuno di tutti gli altri; in secondo luogo, quando a un intelligibile viene attribuita una estensione, l’estensione diviene per l’intelligibile un fatto che si di diritto solo se esso verifica i modi logici che debbono essere pensati perché più intelligibili entrino  nell’estensione di un altro, appunto la presenza di esso entro la totalità di ciascuno dei vari intelligibili, con la conseguenza che la rappresentazione di un intelligibile in sé accompagnata dalla rappresentazione dello stesso intelligibile in quanto però immanente  nella comprensione di ciascuno di altri intelligibili più o meno numerosi è la condizione che dev’essere verificata perché esso intelligibile venga dotato di un’estensione entro cui si contengono gli altri, e quindi il principio necessario che fonda  di diritto le pretese di esso intelligibile a contenere nella propria estensione gli altri; infine, perché un intelligibile sia legittimamente relazionato ad un altro secondo il rapporto da soggetto a predicato di un giudizio categorico




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