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a parte che non è qui il caso di discutere se i tre
enunciati siano la postazione del principio del sillogismo o una mera
descrizione di ciò che di costante e di generale vi si ritrova, mi pare che
l’orientamento del pensiero aristotelico sia molto più nella direzione
dell’estensione e della quantità dei termini del sillogismo che nella direzione
dell’eterogeneità qualitativa delle loro comprensioni; non mi pare quindi che
abbiano torto i logici medievali e anche moderni i quali ritengono di avere il
diritto di attribuire ad Aristotele la formulazione per estensione della legge
generale dei sillogismi: “ Quiquid universaliter dicitur de aliquo subiecto,
dicitur de omni quod sub tali subiecto continetur;quidquid universaliter
negatur de aliquo subiecto, dicitur de nullo quod sub tali subiecto continetur
“, formulazione riducibile alla formula: “ Quidquid de omnibus valet, valet
etiam de quibusdam et singulis, quidquid de nullo valet, nec de quibusdam ed
singulis valet “; o alla formula proposta dal Dopp:” Pars partis est pars
totius, omne extraneum toti est extraneum parti “; o all’enunciato di Wolff, in
cui alle indefinite espressioni generico - quantitative si sostituiscono gli
indici tecnici della funzione degli intelligibili in un ordine sistematico:”
Quicquid de genere vel specie omni affirmari potest, illud etiam affirmatur de
quovis sub illo genere vel illa specie
contento; quidquid de genere vel specie omni negatur, illud etiam de
quovis sub illo genere vel illa specie
contento negari debet “; il ripudio della formula in forza di una sua
impotenza a porsi a ragione della apoditticità del sillogismo in generale o
perché pone nel termine-soggetto, il cosiddetto termine minore, l’equivalenza
tra la sua rappresentazione qualitativa e la sua rappresentazione quantitativa
(S= qualche M = S) o perché schematizza la struttura del sillogismo in Barbara
che diviene così principio degli altri, non ha nessun valore a meno che per
principio fondante la necessità logica
di qualcosa d’altro non si voglia intendere un rappresentato del tutto eterogeneo dalla sua conseguenza o a
meno che non si riesca di
dimostrare che un sillogismo in
Barbara non è la figura cui tutte le
altre si riconducono; il dictum de omni, piuttosto, se con le parole “dici” o “
valere” o “affirmari” intende indicare l’atto dialettico con cui il pensiero
trae dall’esistenza e dal modo di esistere necessari di un intelligibile l’esistenza o il modo di esistere necessari di un altro, e se con la parola
“negari” intende indicare l’impossibilità di tale dialettica, rileva la costanza e uniformità, condizioni di
legittimità, di un modo di operare del pensiero pel quale è necessario che la conseguenza di una
conseguenza di un principio sia conseguenza del principio, e, con ciò, chiama
in campo l’estensione degli intelligibili, dal momento che il principio di
intelligibilità adottato nel sillogismo, il suo predicato, ossia ciò che o
“dicitur” o “valet” o “affirmatur” o “negatur”, è da un lato la
rappresentazione di una qualità universale e necessaria dall’altro una classe o
serie di intelligibili la cui intelligibilità
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è mutuata dal possesso di
questa qualità e di cui le classi o serie indicate dagli altri due
intelligibili sono parti; ma il dictum
nell’atto in cui assume a suo
principio sia l’assioma geometrico che una parte di un tutto è sempre più
piccola del tutto e ne è contenuta sia
il corollario qualitativo che ne deriva che ciò che di essenziale o intelligibile o universale e necessario si ritrova nel tutto debba essere anche essenziale della parte e quindi
rappresentato come intelligibile o universale
e necessario in essa, esclude la nozione del diritto che ha un tutto a
porsi come parte di un altro tutto e pone
le cose in modo da lasciar
credere che la dialettica del pensiero pervenga immediatamente e spontaneamente
a inserire una totalità di intelligibili entro la totalità di altri
intelligibili nella veste di un aggregato che è parte frazionaria di un
aggregato più numeroso; qui sta la deficienza logica del dictum e qui si
ritrova la sua inettitudine a porsi come principio del sillogismo in generale,
perché, se la validità del sillogismo sta nella inerenza di una classe entro
una classe in quanto la prima inerisce
a una terza classe a sua volta inerente
alla seconda, tutto appare evidente all’infuori del diritto che hanno la prima
classe a pretendere di costituire assieme ad altre la seconda e questa a
pretendere di comporre con altre la terza, all’infuori del diritto che hanno
tutte le classi a porsi ciascuna come un qualitativo eterogeneo dalle altre,
all’infuori degli strumenti che al pensiero debbono pur essere dati per
controllare le pretese e che non possono certo esser forniti da uno o più
prosillogismi i quali null’altro fanno che accampare in altro modo le stesse
pretese; il dictum fin che ignora l’aspetto qualitativo, o meglio fin che
prende in considerazione solo la qualificazione che ha a suo indice il nome o
comune o proprio e che è ridotta alla esclusiva denotazione specifica delle
comprensioni dei termini fondante la loro eterogenea, non solo lascia aperta la
porta ad obiezioni meramente tautologiche o formali, come quella che misconosce
al sillogismo di equiparare un aggregato, omogeneo agli aggregati assieme ai
quali costituisce una classe o un’estensione, a un qualitativo unitario
eterogeneo dagli altri aggregati della sua stessa classe, ma trascura la parte
originaria e primaria delle dialettiche
operate dal pensiero per prendere atto solo degli ultimi loro movimenti, con la conseguenza che lascia
cadere quel fondamento di omogeneità il cui rilievo o ritrovamento è la ragion
sufficiente della conclassificazione di tre eterogenei; come nel giudizio
categorico,
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il rapporto di
intelligibilità fra il predicato -principio e il soggetto-conseguenza è il
punto d’approdo di un discorso che è partito dall’analisi della comprensione
del soggetto e dal rilievo dato a una o a qualche sua denotazione per assegnare
alla denotazione rilevata la funzione di porsi a luce di intelligenza del restante
della comprensione cui inerisce, e di qui procedere alla predicazione come
relazione da principio a conseguente di intelligibilità, così nel sillogismo il
diritto di tutte le pretese e il controllo di esse stanno tutti nella certezza
dell’immanenza del predicato entro la comprensione del medio e del medio entro la comprensione del
soggetto come loro connotanti; da queste operazioni primarie il pensiero trae
poi il diritto di procedere alla sussunzione e alla sussunzione del sussunto,
di comporre l’estensione di una totalità intelligibile che è aggregazione di
tanti singoli con molteplici aggregati di singoli uno dei quali è l’estensione
di un’altra totalità intelligibile a sua volta rappresentata nello stesso modo
della prima; in forza di queste operazioni primarie il pensiero si dà il
diritto di trattare i tre termini come tre omogenei relativamente all’identica
immanenza in ciascuna delle loro comprensioni di un’unica e medesima
connotante, e insieme come tre eterogenei relativamente all’articolarsi sulla
comune connotante di altre connotanti eterogenee da essa ((esse??)) e da quelle
degli altri due termini; grazie alle stesse operazioni primarie il pensiero è tenuto a strutturare
in vario modo le sue dialettiche non solo in funzione del ruolo che la
connotante rilevata esplica nelle tre connotazioni, ma anche in funzione della
quantità degli intelligibili conclassari la cui connotazione partecipa della connotante; infine, la
necessità del vincolo che unifica tutte le connotanti lascia libero gioco al pensiero di trattare la connotante
rilevata ora come un intelligibile al quale l’astrazione non arreca alcuna alterazione essenziale né
qualitativa né formale ora come un intelligibile che non può patire le alterazioni
di un’astrazione e che quindi dev’essere lasciato immanente nella sua
connotazione, purché il nesso vincolante venga pensato nella sua apoditticità formale, il che è
facile a farsi per un pensiero che non possiederà mai le definizioni materiali di tale apoditticità; [[Nota a
matita dell'autore:”trattare a questo punto il sofisma: Gli uomini
sono vertebrati, i gatti non sono uomini, i gatti non sono vertebrati;
dimostrare che dipende dal fondamento del sillogismo sulla comprensione (latius
hos)”]]; sembra, dunque, da preferirsi l’enunciazione data da Kant del
principio del sillogismo: “ nota notae est nota rei, repugnans notae repugnat
rei ipsi “, in cui, dati alle parole di “nota” e di “res” i rispettivi
significati di connotante, e non di predicato, e di connotazione
autosufficiente e irriducibile e connotante di un ‘altra
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connotazione, si ritrova descritto il rapporto dei
termini del sillogismo come rapporto tra le rispettive comprensioni, e
precisamente tra la comprensione del termine maggiore e la comprensione del
medio in quanto la prima è connotante della comprensione della seconda, tra la
comprensione del medio e la comprensione del termine minore in quanto questa è
la connotazione comprendente come nota
la prima, e quindi tra le comprensioni dei due estremi; la formula
implicitamente rimanda come a suoi principi all’assioma geometrico della parte
e del tutto e alla conseguenza derivante dall’immanenza del predicato nel
soggetto come parte di un tutto, che il pensiero è tenuto a rappresentarsi la
totalità del soggetto attraverso le rappresentazioni delle sue connotanti;
delle due obiezioni fondamentali mosse a questo principio qualitativo del
dictum kantiano, che il termine maggiore è predicato al termine minore non in forza del fatto che sia predicato a
un predicato del termine minore, ma in forza di questo che al termine minore è
predicato un altro predicato, e che il fondare i rapporti fra i termini sulla
base meramente qualitativa escludendo il rapporto tra le estensioni elide la
considerazione delle quantità e quindi dei limiti con cui un’estensione
dev’essere rappresentata entro un’altra onde sia dato delimitare le condizioni
di validità del sillogismo, mentre la prima critica il nota notae relativamente
a questo che per il principio sarebbe sufficiente la meccanica transizione
dalla nota alla connotazione e dalla connotazione alla connotazione di cui è
nota per trapassare dalla prima nota all’ultima connotazione, essendo invece
anche da tener presente che ogni predicazione
del sillogismo non è da una connotante a una
connotazione, bensì da una connotante a una molteplicità di connotati da una
certa connotante altra dalla prima, la seconda nega che il ridurre il rapporto
di predicazione dei tre giudizi del sillogismo a una relazione tra le qualità
intelligibili costitutive di ciascun termine del sillogismo sia sufficiente
un’analisi che intenda rilevare tutte le costituenti formali del sillogismo;
ora, le due obiezioni, se intendono scalzare il nota notae perché invalido come
quello che è assolutamente inetto a promuovere una transizione dialettica dalla
analisi qualitativa delle comprensioni all’analisi quantitativa delle loro
estensioni, sono infondate, tant’è vero che la prima obiezione potrebbe
riuscire a ciò solo identificando il termine”res” con un soggetto in genere di
un sillogismo, il che non è dato dalla formula la quale pone quel “res” in
senso relativo, nel senso cioè di una connotazione assunta dal pensiero come
una cosa intelligibile ossia come un temporaneamente o stabilmente irriducibile
a nota di una connotazione, e insieme solo
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