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attribuendo alla formula l’intendimento di trattare le
“notae” e le “res “ come connotazioni che sono rappresentate una tantum dal
pensiero e non possono venir dal pensiero ripetute tante volte quante sono gli
intelligibili aventi nella propria connotazione la connotazione della “nota” o
della “res”, e la seconda obiezione avrebbe ragione in quel che pretende
sostenere solo se la contemplazione di un intelligibile come inerente alla
connotazione di un altro non avesse per il pensiero alcun’altra costituente
all’infuori del mero rapporto di parte a tutto o di connotante a connotazione
tra il primo e il secondo dei due intelligibili; in altri termini la prima obiezione
se nega al principio qualitativo l’attitudine ad albergare in sé la presa in
considerazione delle estensioni e delle quantità dei termini, perché come a
quello che considera solo delle connotazioni che coincidono con un unico
intelligibile, sicché il suo enunciato sarebbe valido solo per sillogismi che
affermando che S è P fondano la validità del rapporto sull’inerenza di P in M e
di M in P in quanto enti unitari immanenti in enti unitari, il che non potrà
mai esser dato perché almeno due dei termini, P ed M, sono sempre ripetuti
tante volte quanti sono gli intelligibili delle loro rispettive classi, ed
anche l’altro S non è ripetuto tante volte quanti sono gli intelligibili della
sua classe se non nel caso che S sia un intelligibile assolutamente singolo,
distorce il principio stesso facendogli dire quel che non intende dire, perché
è evidente che se l’intelligibile A è “nota” di una “res” B perché è “nota” di
una “ nota notae “ della “res” B, il fatto descritto si ripeterà tante volte
quante volte il pensiero è tenuto a pensare B nella cui C si dà A, nel senso
che se “il mammifero è animale perché vertebrato in forza dell’immanenza della
nota animale nel vertebrato che è nota
del mammifero, il pensiero non può prendersi il lusso di pensare una sola volta
il rapporto, come le parole che l’enunciano potrebbero far credere, ma è tenuto
a ripeterlo tante volte quante volte esso pensa il mammifero entro le
connotazioni di cui il mammifero è nota; la seconda obiezione, se pretende che
il principio qualitativo non sia in grado di fornire nessun appiglio alla
definizione dei rapporti tra le estensioni dei termini, procede storcendo il
principio stesso col fargli dire che
sarebbe sufficiente trovare nella connotazione di un intelligibile una nota e
nella connotazione di questa un’altra nota per poter affermare inerente
quest’ultima entro la prima e per poter quindi muovere da questa inerenza per
trattare tutti gli
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intelligibili che sono conclassari di ciascuno dei tre
termini nello stesso modo con cui son trattati i singoli intelligibili, usati
come termini, entro il sillogismo, il che il ”nota notae” non dice né
esplicitamente né implicitamente, perché è evidente che esso tien conto del
fatto che, perché P sia trattato come nota non solo di M ma anche di tutti gli intelligibili M1
M2 M3...Mn che hanno M a nota e perché P sia
trattato come nota non solo di S ma anche di tutti gli intelligibili S1
S2 S3...Sn che hanno S a loro nota, è
necessario che i rapporti P-M1, P-M2 ecc., P-S1,
P-S2 ecc: verifichino le stesse strutture che sono caratteristiche
rispettivamente del rapporto P-M e del rapporto P-S; ma le due stesse
obiezioni, se si limitano ad affermare che il principio qualitativo del
sillogismo è parziale e insufficiente finché resta aderente alla formulazione
kantiana, hanno ragione: non basta affermare che il predicato spetta di diritto
al soggetto ogniqualvolta è la rappresentazione di una connotante una
connotazione a sua volta connotante la connotazione del soggetto, o che il
predicato non spetta di diritto al soggetto ogniqualvolta è la rappresentazione
o di un intelligibile contraddittorio a una connotazione che è connotante la
connotazione del soggetto, e come tale impossibilitato a porsi come connotante
la prima connotazione o di un intelligibile connotante una connotazione
contraddittoria e impossibilitata a porsi come nota della connotazione del
soggetto, per aver chiara e completa la condizione di tutti i sillogismi,
giacché l’enunciato è principio di sillogismi in Barbara, Celarent, Camestres,
i quali però abbiano a soggetto un intelligibile assolutamente singolare, cioè
a premessa minore e conclusione giudizi individuali, ma non può essere
principio per tutte le altre forme di sillogismi; se si parte dalla considerazione del sillogismo come rapporto
di nota a connotazione tra due intelligibili (P ed S) necessitato dal rapporto
formalmente identico tra il primo intelligibile e un terzo (P ed M) e il terzo
intelligibile e il secondo (M ed S), la stessa considerazione deve porsi a
principio di un’altra, che nel rapporto inerenziale le note non si limitano a
porsi come mere parti dei tutti delle loro connotazioni, ma acquistano la
funzione di principi di intelligibilità nei confronti dei tutti stessi delle loro connotazioni, sicché nell’atto stesso
in cui la direzione del pensiero si dà dalla connotazione alla nota come dal
tutto alla parte, la dialettica del pensiero
inverte la direzione e si dà dalla nota alla connotazione come dal
principio alla conseguenza di intelligibilità essendo la prima dialettica nulla
di più che una ragion sufficiente della validità della seconda e del suo
diritto ad esistere legittimamente; e
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poiché, mentre la dialettica dalla connotazione alla
nota come dal tutto alla parte è tenuta semplicemente a rispettare i rapporti
quantitativo-spaziali ossia le condizioni di validità dell’assioma della parte
e del tutto essendole lecito affermare che la nota è parte della connotazione
pur che questa sia un’unificazione di distinti eterogenei uno dei quali è la nota,
la dialettica dalla nota alla connotazione come dalla ragione al conseguente di intelligibilità è tenuta a
definire le modalità del rapporto di cui si serve e quindi a distinguere la nota entro la connotazione non in quanto
mero distinto ma in quanto qualitativo intelligibile che entro la connotazione
esplica una funzione, o di generico o di specificante, che è mutevole in
funzione della differente struttura della connotazione cui inerisce, il primato
che la seconda dialettica acquista sulla prima in forza del fine
logico-cognitivo che è raggiunto da essa e non dalla prima, impone al pensiero
di assumere la nota, ossia il predicato, non come un mero eterogeneo
parziale di un tutto, ma come un
eterogeneo qualitativo e funzionale, come un intelligibile cioè che si dà altro
dagli intelligibili, assieme ai quali costituisce il tutto di una connotazione,
non solo dal punto di vista della qualità ma anche dal punto di vista della
funzione; il dictum kantiano infatti fonda il suo soggetto “nota notae” su di un
rapporto tra due intelligibili che acquista una certa denotazione se
considerato dal mero punto di vista quantitativo-geometrico, che presenta
invece ben altra denotazione se considerato dal punto di vista
quantitativo-funzionale: la predicazione di un intelligibile a una connotazione
di cui sia nota è mera affermazione di inerenza dell’uno nell’altra fin che si
riguardano le strutture geometriche dei due, diventa invece affermazione di un
certo modo qualitativo non appena le strutture geometriche dei due si riducano
a semplice delineazione esterna di un rapporto tra qualità l’una delle quali è
quel che è non in sé, ma in sé e nei vincoli che la connettono alle altre con
cui sussiste nel tutto della sua connotazione, il che è quanto si verifica non
appena il rapporto geometrico delle due strutturazioni si fa ragione del rapporto di
intelligibilità in cui le due strutture vanno a sistemarsi -siano dati
l’intelligibile A la cui connotazione sia A1 A2 A3...An,
e l’intelligibile B la cui connotazione sia B1 B2 B3...Bn;
sia A2 = B2; se il “nota notae” del dictum kantiano è
interpretato come indice del mero
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rapporto quantitativo-geometrico di parte a tutto tra
una nota e la sua connotazione, i giudizi A è A2 e B è B2
null’altro significano se non che il pensiero legittimamente pensa A2 come
nota di A e B2 come nota di B in virtù dell’immanenza di A2
e di B2 rispettivamente nei loro tutti A e B; ma se lo stesso “nota
notae” è indice della ragione in forza della quale la nota diviene principio di
intelligibilità nei confronti della sua connotazione, si ha non solo che i due
giudizi debbono significare la
legittimità dell’inferenza di un’intelligenza di A e di B rispettivamente da A2
e da B2, ma anche che A2 e B2 debbono
essere pensati come principi di intelligibilità fornenti intelligenza non solo
per quanto di qualitativo hanno ma anche per quanto di qualitativo loro viene
dal nesso che li vincola rispettivamente ad A1 e B1 come
specifici a generici, e dal nesso che li vincola rispettivamente ad A3...An
e a B3...Bn come generici a specifici; e poiché A1
e B1 debbono essere pensati come identici in forza dell’identità di
A2 e di B2, l’intelligibilità che promana da A2
e da B2 nei confronti
rispettivamente di A e di B non patisce variazione alcuna fin che
l’attenzione del pensiero considera la connotazione di A e di B relativamente
ai rapporti rispettivi di A1 con A2 e di B1
con B2, mentre l’intelligibilità di cui essi ((??cui??)) A 2
e B2 son fonti rispettivamente per A e per B non deve essere
considerata univoca quando l’attenzione si sposta dalle connotanti generiche
alle specifiche delle due connotazioni, perché in questo caso, data
l’eterogeneità che pur deve essere postulata fra A3...An
e B3...Bn se non si vuole che A e B siano la stessa cosa,
la qualificazione operata dai due
specifici sui loro generici, dev’essere pensata differente, anche se non
risulta chiaramente o meglio direttamente e immediatamente nota al pensiero; di
conseguenza, il giudizio A è A2 e il giudizio B è B2 sono
identici relativamente alla considerazione quantitativo- geometrica, date
l’identità dei rapporti A2 -A e B2- B e l’uguaglianza od
omogeneità assoluta di A2 e di B2, in quanto la funzione
di intelligibilità di A2, specifico di A1 e generico di A3...
An, non può essere materialmente identica alla medesima funzione di
B2, specifico di B1 e generico di B3...Bn;
l’osservazione condotta sui
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