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una parte
del principio almeno sia, secondo uno qualsivoglia dei pensabili modi della
partecipazione in generale, nelle cose, perché una negazione siffatta, a parte
tutte le contraddizioni, aporie, impotenze gnoseologiche cui dà luogo,
contraddice al rapporto generale che passa tra principio e conseguenza,
rapporto che è pure di continuità, secondo uno qualsivoglia dei modi con cui il
pensiero può determinare la continuità in generale. Dunque, il fenomenico o
sensoriale è usufruibile comunque come fonte di predicazione per il principio.
Con ciò il problema della conoscibilità del principio non è stato neppure
sfiorato.
Il problema
della conoscibilità del soggetto del giudizio metafisico primo o conoscibilità
del primo nell’essere è in sé problema del rapporto tra la fonte della
conoscenza, testimonianza o metodo, e quindi tra il conosciuto in atto che da
essa sgorga e il conoscibile del soggetto, e quindi la connotazione esaustiva
del concetto del principio. La sua solubilità in generale è abbastanza facile
perché il rapporto è atto a ricevere
due e solamente due determinazioni, essendo esso rapporto o tale da
offrire in atto o in potenza una equivalenza quantitativa tra il principio da conoscersi
e il conosciuto offerto dalla fonte o tale da non poter offrire né in atto né
in potenza l’equivalenza quantitativa fra ciò che può e deve conoscersi del
principio e ciò che del principio la fonte rende noto in atto. Ma si è detto
che il principio della conoscenza del principio nell’essere dà di questo
nozioni e rappresentazioni che sono dell’ordine sensoriale sicché la solubilità
in generale, tradotta nei suoi termini effettivi, suona che la conoscibilità
del principio è adeguata o adeguabile dalle rappresentazioni - immediate o mediate,
s’intende - delle sfere((sfera??)) naturali o che la conoscibilità non è né
adeguata né adeguabile dal conosciuto che direttamente o indirettamente
attingiamo dal naturale sensoriale. L’unicità e univocità di questa che è
soluzione indeterminata e possibile del problema della conoscibilità del
principio non è né postulato né pregiudizio, ma conclusione necessaria di un
raziocinio congruente: stabiliamo come necessario che tutte le nostre
conoscenze, comprese quelle
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che una
dottrina metafisica determinata e sistematica asserisce presenti in noi per
comunicazione immediata da parte del principio stesso - del tipo, ad esempio,
del concetto essenziale di ente sostanziale in una teoria razionalistica di
struttura platonica o spinoziana, o del tipo dei quattro principi di ragione in
una teoria dell’illuminazione di modello agostiniano -trovino costantemente
riscontro nella sfera della natura secondo una simmetria che dipende da un modo
le cui ragioni sarà poi compito della dottrina metafisica determinata offrire,
ma che pur sempre garantisce la liceità
di trapassare, in ordine alle conoscenze stesse, dalla rappresentazione
al fenomenico e dal fenomenico alla rappresentazione; poniamo quindi come
necessario che nessuna delle nostre conoscenze sia tale da
trascendere
effettivamente e stabilmente l’ordine della natura, e che nel caso che una
siffatta trascendenza si dia, essa è tale da riguardare solo il quantitativo
dell’ente conosciuto e non il qualitativo, avendosi sempre che fare con una
differenza di grado di perfezione e non di natura e di essenza - la necessità
di questa tesi da nulla è dimostrata se non da questo che io, almeno
limitatamente alle analisi che ho condotto su me stesso, ancora non sono
riuscito a trovare in me nessuna rappresentazione che non abbia riscontro nel
fenomenico, e che anche per quelle rappresentazioni che paiono riferirsi ad
enti non dati nel fenomenico, mi trovo sempre dinanzi o immagini fantastiche o
immagini che io so essere fenomeniche solo per la loro portata metaforica, ma
che in nessun modo riesco a sostituire con altre non fenomeniche non appena io
tenti di abradere il fenomenico metaforico; d’altro canto, anche per quelle
immagini come le geometriche, ad esempio, per le quali mi risulta evidente che
la natura non offre nessun simmetrico equivalente, avverto che la differenza è
ancora quantitativa, nel senso che se è vero che il fenomenico non mi offre
quadrati in sé, è pur vero che il fenomenico mi dà superfici quadrate in altro,
e che se nel fenomenico, neppure in quello artificiale, è dato trovare o,
rispettivamente, costruire una
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figura
perfetta, è pur vero che il simmetrico naturale differisce dalla definizione
per quantità e non per essenza, essendo l’identità un limite cui il fenomenico,
artificiale o naturale, tende; non mi pare che altra prova possa darsi di
questa necessaria equivalenza onnilaterale del conosciuto e del naturale,
all’infuori di questa che è puramente empirica o induttiva per semplice
enumerazione, a meno che non si voglia appellarsi a qualche principio altro da
quello puramente di esperienza, nel qual caso la necessaria equivalenza può
essere raggiunta come conclusione dimostrata o può essere negata come
contraddittoria alla conclusione della dimostrazione, ma in entrambi i casi non
vedo come il principio possa ricavarsi in altro modo che non sia quello di una
deduzione dalla teoria metafisica, e quindi come si possa evitare di finire in
un circolo, tant’è vero che ogni dottrina la quale abbia voluto affermare una
trascendenza del conosciuto, cioè di una parte del conosciuto, sul noto
empiricamente, senza appellarsi per questo a principi altri dalla semplice
disamina fenomenica e rassegnativa della totalità del noto, sempre ha dovuto
limitare la trascendenza a un indice quantitativo; che se ha voluto affermare
una trascendenza ad indice qualitativo, ha dovuto dichiarare ineffabile, o con
segni diretti o con segni metaforici o indiretti, il noto afenomenico -; questa
conoscenza necessaria porta necessariamente alla conoscenza che qualsiasi
predicazione io voglia utilizzare per connotare il principio sempre dovrò fare appello a conoscenze che sono
dell’ordine fenomenico; donde due possibili esiti di tale appello, che le
conoscenze che in uno o in altro modo traggo dal noto naturale sono in atto o
possono diventare tali da esaurire la
connotazione del principio, sì che il conosciuto adegua o è capace di adeguare
il conoscibile nel primo enunciato metafisico, oppure che le conoscenze del
noto naturale non adeguano in atto né sono capaci di adeguare la connotazione
del principio, con costante squilibrio quantitativo tra il conoscibile del
principio e quanto di esso effettivamente è conosciuto nel predicato
dell’enunciato.
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E’ una
soluzione indeterminata, quindi una solubilità o soluzione possibile del
problema, che le teorie attuate dal pensiero dimostrano esser stata determinata
sia nell’uno che nell’altro modo, sì che possiamo dire essere le soluzioni
determinate e reali del problema della conoscibilità del principio, due, e precisamente
la conoscenza completa del principio, fatta o da farsi, la conoscenza
incompleta del principio, non fatta e mai fattibile. S’intende che da questo
primo problema ne deriva subito un secondo, e precisamente la questione della
ragion sufficiente dell’una o dell’altra determinazione: la postazione stessa
dei termini, ossia il passaggio dal problema del quanto può essere conosciuto
del principio alla soluzione del problema più generale che si è dimostrata
condizione o principio della soluzione del precedente, e precisamente il
passaggio dal problema primo alla soluzione del modo e delle condizioni della
conoscibilità in genere del principio - abbiamo stabilito che possiamo
conoscere qualcosa del principio solo traendone la connotazione dal fenomenico
noto in forza di un diritto che rende legittima l’operazione e la cui negazione
o invalidazione renderebbe illegittima la predicazione ma non solo del
principio, bensì di qualsivoglia altro ente, e abbiamo stabilito che il
qualcosa che il noto fenomenico offre a connotazione del principio esaurisce e
può esaurire questa connotazione, o in alcun modo equipara il conoscibile del
principio - la postazione stessa dei termini del problema, ripeto, lascia
indeterminate e quindi problematiche le ragioni per cui dalla predicabilità in
genere del fenomenico al principio si deduca una predicazione o esaustiva o
inesaustiva. Il secondo problema della metafisica pura ha una sua analisi. Ma
la soluzione del primo problema può apparire ancora oscura in alcuni suoi lati,
e il primo problema stesso può sembrare discostarsi di molto da quello che
metafisiche determinate hanno assunto come problematica metafisica
fondamentale.
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