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e da una
identica rappresentazione meramente problematica degli intelligibili che vi si
succedono, è insieme condizionato da un altro modo dello stesso canone
precauzionale in forza del quale il pensiero è costretto a darsi una serie
infinita di rappresentazioni ciascuna delle quali coglie l'immanenza di un
membro seriale nell'estremo infimo pel medio dell'immanenza del primo in un
altro membro seriale e di questo nello stesso estremo, mentre lo schema formale
finito dello stesso polisillogismo ha le sue fonti in questa modulazione del
canone precauzionale e in una definizione della serie che è posta finita dalla
rappresentazione ontica degli intelligibili che la costituiscono.
Si offre a questo punto il problema se i tre
fattori siano originariamente interdipendenti e vincolati in unità, se cioè per
condizione originaria di una dialettica che tragga dalla rappresentazione di
una successione seriale di intelligibili le conseguenze operazionali consentite
il dictum de omni in formula kantiana lo schema infinito e lo schema finito
siano elementi astrattamente disgiunti di un'unica formula operativa cui il
pensiero di condizione umana è tenuto ad aderire in ogni applicazione di
siffatta dialettica, oppure se gli stessi tre fattori siano originariamente
indipendenti e svincolati in dualità, se cioè per le condizioni originarie di
siffatta dialettica è dato al pensiero l'arbitrio di valersi del dictum de omni
in formula kantiana in due differenti modi in funzione di due differenti
strutture della serie e sotto l'impulso di due differenti esigenze; è lecito,
infatti, pensare che il canone del dictum de omni influenzi il pensiero con assoluta incondizionatezza dal modo
ontico degli intelligibili in atto e con la spontanea produzione di uno schema
polisillogistico infinito il quale, da un lato presupponendo a postulato una
serie intelligibile infinitesimale N, N-1, N-2, N-_3,....N-N+1
con un numero infinito di medi tra N e N-N+1, dall'altro scaturendo
dall'applicazione al postulato del dictum e del canone precauzionale, faccia di
ogni prosillogismo un episillogismo, e che lo stesso canone del dictum,
ogniqualvolta al pensiero di condizione umana è imposta dall'ontico
intelligibile una serie finita, conduca la dialettica che si dà lecita per
questa serie allo schema infinito il quale si offre per dir così come una
falsariga su cui vengono scritte le varie operazioni il cui complesso
costituisce lo schema formale finito ad episillogismo infimo e prosillogismo
sommo assoluti, nel qual caso è offerta per dir così una confluenza tra il
canone del dictum lo schema infinito lo schema finito, secondo un rapporto per
cui il primo è ragione e condizione di esistenza del secondo e questo del
terzo; ma è anche lecito pensare che il canone del dictum entri in azione
anzitutto per ciascuna serie
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l'ontico
intelligibile dà finita e che dalla successione degli incontri con la
corrispettiva delineazione di polisillogismi finiti risulti lo schema formale
finito a prosillogismo sommo ed episillogismo infimo assoluti, e che, solo
dietro la considerazione che in siffatto schema ogni sillogismo esercita una finalità di legittimazione delle
rappresentazioni che ne discendono e patisce l'azione di tale finalità dalle
rappresentazioni sovraordinate, insorga l'esigenza di garantire a tutti i
membri l'azione e la passione della finalità legittimatrice, con la conseguenza
che lo schema formale vien reso infinito previa l'introduzione a mo' di
postulato della serie infinitesimale degli intelligibili problematici, nel qual
caso l'immagine da unitaria che era ((si??)) spezza in due e i tre fattori si
scindono in due moduli disgiunti sulla
base di un quadro che fa del dictum e dello schema infinito da una parte e del
dictum e dello schema finito dall'altro
due disgiunti rapporti irrelati, da condizionante a condizionato e da
ragione a conseguenza, ciascuno dei quali trae nascimento da una propria
situazione che nulla ha che fare con l'altra, il primo essendo la risultante
dell'applicazione meccanica del dictum alla serie ontica, il secondo
dell'applicazione finalistica dello stesso dictum a una postulata serie
problematica.
Se la dialettica conosca il primo o il
secondo modo di formazione dalla propria formula, e se quindi sia data una sola
formula valida, quella finita, di cui l'infinita è una mera condizione
astratta, o siano date due formule entrambe valide ma per due condizioni eterogenee,
sarebbe dato stabilire solo alla condizione, che qui non si vuole stabilire, di
decidere se l'orientamento delle operazioni su intelligibili sia
rispettivamente meccanico o finalistico: tuttavia l'assenza di una soluzione
della questione non pregiudica la conclusione definitiva che un polisillogismo
in generale conosce due schemi, uno infinito in funzione di una serie infinita
perché infinitesimale, uno finito in funzione di una serie finita, e che
essendo date alla intellezione in atto serie ontiche di intelligibili che sono
finite lo schema dei nostri polisillogismi validi e legittimi sono finiti, di
una finitezza la cui formula è l'identità fra il numero dei sillogismi membri e
il numero degli intelligibili diminuito di due unità.
Il pensiero di condizione umana non conosce
polisillogismi infiniti, il cui schema infinito è o una mera condizione
astratta del finito o un prodotto secondario e derivato, comunque non
costituisce la formula per un polisillogismo che il pensiero di condizione
umana abbia il diritto di legittimamente costruire. Resta allora da vedere per quali motivi Kant e quanti lo hanno
preceduto hanno individuato nel polisillogismo un apodittico processo
all'infinito, una natura infinita di diritto, e insieme hanno attribuito al pensiero
il diritto e la necessità di procedere all'infinito nelle catene
polisillogistiche secondo una dialettica infinita unicamente ostacolato dal
taedium infiniti dello stesso pensiero.
Cominciamo col considerare che cosa consegua al ricondurre il dictum de
omni all' estensione o alla comprensione: se, fondando la validità di una
predicazione o di una catena di predicazioni sulla sussunzione di un
intelligibile o di più intelligibili sotto un unico genere,
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si fa
dell'intelligibile sovraordinato il principio della predicazione e quindi si
riduce la dialettica del giudizio del sillogismo del polisillogismo a uno
spostamento d'attenzione dal sovraordinato al o ai sottoordinati che non è
preceduto da nessuna operazione consapevolmente analitica sui sottordinati, la
descrizione che si dà dei discorsi del pensiero di condizione umana è
necessariamente quella di una pluralità di manovre cui ogni intelligibile, ad
eccezione delle specie infime ((intime??)), è sottoposto per far piovere la sua
luce su quanti altri intelligibili legittimamente se ne lasciano illuminare;
partendo dal presupposto aristotelico-platonico che ogni ontico intelligibile
sia un'unità assoluta su cui nessuna funzione scompositrice riesce ad operare
in modo diretto e immediato disarticolazioni, da un lato si è costretti ad
attribuire la rappresentazione di tipo umano della sfera composita degli
intelligibili a un atto di intuizione di qualsiasi tipo che ne fa un possesso
automatico, dall'altro si conferisce alla dialettica dal genere alle specie il
primato su tutte le altre che sono sue mere applicazioni derivate, con la
conseguenza che la riduzione dell'unità di una comprensione alla molteplicità
delle sue note appare una pretesa illusoria se la si tratta come il fatto primo
che sta all'origine di tutte le dialettiche lecitamente operabili sulla
comprensione, e che la sussunzione della specie sotto i suoi generi, generici o
specifici, diviene l'effetto di una serie preordinata di fatti che debbono
anteriormente essersi verificati, e insieme la condizione della conoscenza
analitica delle comprensioni delle specie; ogni predicazione allora è il fatto
secondo preceduto solo dall'intuizione della totalità degli intelligibili
generici, e il principio dell'intelligenza della comprensione del soggetto,
coincidendo l'intelligenza sia con l'illuminazione da parte dei generici
predicati sia con l'articolazione di questi entro l'unità altrimenti
irriducibile del soggetto, e non con la semplice dichiarazione di immanenza
dell'intelligibile predicato nell'intelligibile soggetto né con la mera
trasposizione di intelligenza dal predicato al soggetto; ora, il primato della
dialettica deduttiva e il presupposto dell'apprendimento per intuizione delle
nozioni che consentono la deduzione, se da un lato s'accompagnano alla
illiceità dell'analisi diretta della comprensione di una specie e in
particolare della specie infima per l'unità assoluta che caratterizza la
connotazione e, con ciò, consentono di interpretare come indefinita la sua costruzione
per articolazione di eterogenei in rapporto di determinazione, nel senso che la
caratterizzano come l'organismo di generici e di specifici il cui numero è
definito solo dalla quantità definita delle sue sussunzioni sotto tutti gli
intelligibili che sono suoi predicati di diritto, dall'altro limitano il numero
delle predicazioni lecite e legittime a un intelligibile sussumendo alla
totalità degli intelligibili che acquisiti per intuizione, o per un meccanismo
altro dall'analisi del sussumendo, si pongono a generi del sussumendo, con la
conseguenza che, il pensiero di condizione umana solo se si trovasse nello
stato di completa rappresentazione di tutta la serie discendente degli
intelligibili e di apodittica esenzione da errore, godrebbe della certezza di
muovere da una predicazione prima e suprema fonte della luce intelligibile
prima e inderivata
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