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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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  • Prot. 151 - 200
    • 193-94
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- 139 -


[pag 139 (193 F4 / 194 F1)]

non è fondata né sull'indefinitezza perché questa precluderebbe l'analisi compiuta, né sull'infinitezza che contraddirebbe alla completezza e determinatezza dell'intelligibile in generale, e, di conseguenza, la successione delle note deve essere posta apriori come definita e limitata: donde deriva che, se è vero che ogni predicazione trae la sua intelligibilità dalla precedente predicazione che riferisca come predicato una nota più generale al precedente predicato sia che la prima predicazione connetta due intelligibili in immediata successione sia che i due intelligibili legati dal primo nesso predicativo siano mediati da altri, e insieme è condizionata dalla validità di ulteriori predicazioni affermanti l'immanenza dei medi nel soggetto e del predicato nei medi quando la predicazione di partenza sia per nesso mediato, è del pari vero che, essendo data necessariamente una prima nota assolutamente generica, deve esser data una predicazione assolutamente prima di questo assoluto generico a un qualsivoglia intelligibile da essa sussunto che non è condizionata da nessuna predicazione precedente che pretenda porre l'intelligenza del suo predicato, ma rimanda per dir così solo a quelle predicazioni che la fondano stabilendo la sussunzione del suo soggetto sotto gli intelligibili sussunti sotto il suo predicato, il che null'altro significa che il processo ascendente delle predicazioni che muovono da una specie e quindi la costruzione di un polisillogismo non sono per presupposto se non finiti e limitati al vertice da un giudizio il cui predicato è un genere sommo e il cui soggetto è una sua specie infima; se una teoria della predicazione, ad es. quella kantiana, ne pone il principio -fondamento nel dictum de omni a base comprensiva e insieme pretende argomentare dal principio l'infinitezza della serie procedente da una qualsivoglia predicazione e quindi di un polisillogismo a qualsivoglia giudizio infimo, riesce a ciò solo se stabilisce la liceità di predicare un intelligibile a una successione se non infinita, almeno indefinita di intelligibili una volta che tale intelligibile sia stato predicato a un certo altro intelligibile determinato, e non può fondare la liceità se non sull'infinità o indefinitezza che debbono essere assunte apriori come attributi della comprensione di quest'ultimo; con ciò contraddice al principio già assunto della finitezza quantitativa delle note articolate e distinte nell'unità della comprensione di un intelligibile; la contraddizione, che nulla ha che fare con un'antinomia perché non insiste su di uno stato naturale ed originario del concetto, sta in una immotivata trasposizione del primato dall'induzione alla deduzione, ossia nella pretesa di conservare alla dialettica pullulante dall'analisi scompositrice della connotazione quella funzione di diffonditrice di luce intelligibile che appartiene all'altra dialettica, e di ignorare che la nuova dialettica ha tutt 'al più il compito di ricomporre per giustapposizione l'unità disarticolata dall'analisi, compito di cui l'illuminazione è un effetto secondo e derivato: in parole più semplici, quando Kant afferma esplicitamente che una predicazione ha il suo diritto in una seconda predicazione che la rende necessaria per la necessità della attribuzione del predicato a un intelligibile che è necessariamente predicato al soggetto,




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